Il problema più importante, quello della morte, è trattato sempre e solo da incompetenti. Non conosciamo il parere di nessun esperto.
Francesco Burdin
Eh già, aveva proprio ragione Burdin (di cui consiglio la ripubblicazione del suo Manes. Sette variazioni su un tema universale a qualunque casa editrice, che trovarlo in giro mi sa che è parecchio dura): per quanto Epicuro abbia tentato già parecchi secoli fa di rassicurarci, affermando che “quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei non ci siamo più noi”, la morte ci dà ancora parecchio da pensare. C’è chi la affronta con spirito, seguendo il proverbio yddish (vado a memoria, l’ho letto su un Dylan Dog di anni fa) “polvere eri e polvere tornerai, ma fra una polvere e l’altra un buon bicchiere non ci sta male”, chi si tormenta di continuo come faceva Massimo Coppola da bambino, chiedendosi perché telegiornali, quotidiani e giornali radio non aprissero con la notizia “Purtroppo neanche oggi è stato possibile capire cosa sia la morte e che senso abbia l’esistenza”, chi ci ride sopra in maniera dissacrante e provocatoria come il sito Il morto del mese. La morte è anche al centro di un libro e di un podcast con cui sono entrato in contatto nell’ultimo mese, e gli approcci alla materia non potrebbero essere più distanti: sono Il vecchio gioco di esistere, raccolta di epitaffi scritti da Giorgio Manganelli pubblicati dalla casa editrice Hacca, e Helvete/Inferno, podcast sulla scena black metal norvegese a cavallo fra gli anni 80 e 90, realizzato dal giornalista di Radio Capital Antonio Cristiano e prodotto dalla piattaforma OnePodcast.
Con dolore e letizia
Giorgio Manganelli io l’ho conosciuto attraverso La morte. Non la sua, avvenuta nel 1990 quando il mio apice a livello di letture era rappresentato da Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain con attorno il nulla, bensì La morte, progetto ambient funereo di Riccardo Gamondi (Uochi Toki) e Giovanni Succi (di cui vi ho parlato più e più volte) in cui il secondo prestava la sua voce per leggere passi inerenti la grande mietitrice estrapolati da libri e non solo. Fra i vari estratti ce n’era uno preso da Dall’inferno, libro di Manganelli uscito nel 1985, e quello è stato l’input essenziale per recuperarlo e, in seguito, recuperare anche lo splendido Centuria, uno dei libri che più ha influenzato il mio amore per la forma breve. Mi sono ripromesso mille volte di leggere altri suoi libri ma si sa, poi c’è la vita e la maledetta colonna di letture in arretrato che continua inesorabilmente ad aumentare: quando ho avuto l’opportunità di mettere le mani su Il vecchio gioco di esistere, però, non me la sono fatta sfuggire.

Avete presente cosa sono, in ambito giornalistico, i coccodrilli? Fino a qualche mese fa lo ignoravo, poi è arrivato Francesco Costa con la sua rassegna stampa giornaliera Morning a darmi delucidazioni: sono gli articoli in cui si ricordano i personaggi famosi passati a miglior vita, che nell’ansia che ogni giornale ha di dare per primi una notizia pare abbia portato alla consuetudine di scriverli in anticipo. Già: da qualche parte, in qualche archivio digitale, c’è un pezzo su Silvio Berlusconi che aspetta solo di essere pubblicato. Dubito che durante la lunga carriera giornalistica di Manganelli ci fosse questa consuetudine, men che meno me lo immagino aderirvi e Il vecchio gioco di esistere ne è la migliore testimonianza: in questo breve volume, condito da una prefazione della figlia Lietta, lo scrittore affronta in lettere “con dolore e letizia”, per citare il modo in cui saluta la dipartita dell’amica Giuliana Benzoni, la dipartita di alcuni personaggi famosi della sua epoca, spesso a lui legati da un rapporto di amicizia e non solo.
L’uomo pudico, ma savio uomo di lettere, amò scrittori scurrili ed ebbri, talora ebbri di angoscia, di quel cruccio che Frassineti ospitò alla propria tavola, nella propria vita; quietamente, sempre. Quelle traduzioni sono assolutamente dei classici, sono testi perenni. Forse ho toccato la parola che spetta a Frassineti; disperso l’effimero orrore della morte, di Augusto Frassineti resta una pietra dura lavorata, qualcosa di esatto e infrangibile, una dolcezza fattasi perfetta durezza, la concisa lucentezza del classico.
Era un uomo di rara eleganza linguistica (su Augusto Frassineti)
I commiati di Manganelli, da quelli scritti per il proprio psicanalista Ernst Bernhard a quello per un grande della letteratura mondiale come Jorge Luis Borges, trasudano umanità ma non pietismo: la morte appare come un passaggio lieve nei suoi scritti, quasi come fossero vergati per qualcuno che è ancora lì al suo fianco di cui lodare le gesta. Sono minuziosi nell’inquadrare caratteristiche specifiche delle personalità, come la convivenza nella figura di Augusto Frassineti di ironia, timidezza e ingenuità, o la capacità del pittore Gastone Novelli (che per l’Hylarotragoedia manganelliana disegnò le mappe) di definire Grecia “una serie di appunti meticolosamente ignari di storia e cultura”, e allo stesso tempo hanno la capacità di condensare gli elementi fondamentali che hanno reso una vita e una carriera degne di essere ricordate. Ammetto candidamente di conoscere poche delle figure commemorate all’interno de Il vecchio gioco di esistere, ma è la scrittura di Manganelli il fulcro dell’esperienza, il suo modo di giocare con le parole e creare immagini e mondi anche quando ciò che esplora sono biografie e non invenzioni della propria fantasia: spiace solo che il viaggio sia breve, sessanta pagine per accomiatarsi, per rimanere in tema, con un altro esempio della sua superba scrittura.
Ci fu molta ironia nell’opera di Borges, ma non fu ironia scettica e perfezionista, fu quella particolare ironia che è propria della letteratura, l’arte di sopravvivere dentro l’ingegnosa struttura delle parole, la folla delle proposizioni; sopravvivere in quella maniera trionfante e marginale che Borges sperimentò in guise estreme. Venerato in modi anche incauti, cui egli consentiva con una recitazione che pareva gioco e burla, Borges rappresentò una sorta di scrittore per il quale in realtà non c’è indulgenza: lo scrittore che sa che egli non ha nulla da dire nel duplice senso; non dice nulla e dice il nulla.
Una piaga sul volto della storia (su Jorge Luis Borges)
Se le morti celebri fanno riferimento a figure con cui le giovani generazioni hanno avuto poco a che fare, l’estratto conclusivo della raccolta si lega puntualmente alla realtà dei giorni nostri. Non un coccodrillo, ma il racconto dell’apparizione su una spiaggia adriatica di un capodoglio, degli inutili sforzi per fargli riprendere il mare e delle cause che ne hanno decretato la morte: alcuni inutili colpi d’arma da fuoco e, soprattutto, l’inquinamento. Ecco allora che nel sottolineare come “piace all’uomo pensare che sia una resa, questo consegnarsi alla violenza scientifica del minuscolo intossicatore del mondo” Manganelli evidenzia un tratto del nostro mondo contro cui abbiamo fatto ancora troppo poco: il mare piagato e lebbroso di cui parla è il nostro mare, e per la malattia che lo affligge, di cui siamo responsabil*, non siamo ancora riuscit* a trovare una cura.
Una storia di musica, fiamme e sangue
Non sono un amante del black metal. Ok, è un modo molto diplomatico per dire che è un genere che proprio non riesco a sopportare: i suoni, la voce, le atmosfere, tutto mi urta. Eppure i dettagli di una storia che ha a che fare con quell’ambiente sono arrivati anche a me, sono diventati una mitologia che di bocca in bocca è arrivata anche a chi col metal, con qualunque tipo di metal, non ha mai avuto niente a che fare. In quella storia fatta di passione per la musica estrema, di chiese bruciate e di morte ha fatto ordine Antonio Cristiano con Helvete/Inferno, il podcast in sei puntate con cui ripercorre le gesta di coloro che facevano parte dell’Inner Circle, un gruppo di giovani spesso nemmeno ventenni che crearono una scena musicale e allo stesso tempo una specie di setta satanica, rendendo sfumati i confini fra le due cose.

Parte da lontano Cristiano, e parte anche un po’ maluccio. Il modo in cui si mette a mistificare la difficoltà di reperire la musica negli anni 80 rispetto alla realtà iperconnessa di oggi sa un po’ di boomerata, ma ci mette poco a mettere sotto gli occhi una pratica che effettivamente differenzia parecchio le due epoche: l’interscambio di cassette da una parte all’altra del globo fra appassionati, uno sbattimento a cui nemmeno il peer to peer pre banda larga (se siete abbastanza vecchi per ricordarvene) può essere minimamente paragonato. Dalla pratica di mettere la colla sul francobollo e farselo rispedire, in modo da poterlo riutilizzare togliendo i resti del timbro postale, arriviamo velocemente in Norvegia, dove alcuni giovani musicisti stanno per far partire una rivoluzione sonora: fra di loro c’è Øystein Aarseth, chitarrista dei Mayhem, che di lì a poco prenderà il nome di Euronymous.
Immagina una meravigliosa chiesa antica in legno… cosa succede quando brucia? I cristiani si disperano, la casa di Dio va in fiamme, e le persone comuni soffrono perché qualcosa di bello è andato distrutto. Così diffondiamo dolore e disperazione, che è sempre una buona cosa.
Da un’intervista di una radio svedese a Euronymous nel 1993
Tempo fa ho parlato degli Slint in questo articolo, rimarcando come il loro successo fosse inspiegabile. In modo simile si può inquadrare la genesi del black metal, un genere che nasce in contrapposizione al death metal perché “quella era musica da poser”, che ha come pietra fondante un album la cui copertina doveva essere rosso sangue e invece esce rosa (un concetto su cui Cristiano calca particolarmente) che viene registrato in uno studio dove l’addetto al mixer praticamente non muove un dito: poteva uscirne fuori la demo dei [progetto morosa], il mio fallimentare progetto di reading distorto, invece ne esce fuori Deathcrush, il primo Ep dei Mayhem, l’inizio di tutto. Aarseth e il bassista e amico Jørn “Necrobutcher” Stubberud portano avanti il progetto dopo la defezione degli altri membri fondatori, piano piano il loro nome comincia a girare anche grazie a coincidenze fortunate (portano alcune copie in un negozio di Londra che si scopre poi essere fra i negozi presi a campione per le classifiche discografiche, il che li proietta nella Top 20 del magazine musicale Kerrang) e alla formazione si aggiungono il batterista Jan Axel “Hellhammer” Blomberg e un cantante che arriva dalla Svezia, Per Yngve Ohlin, che prenderà il nome di Dead: sarà lui a portare la morte vera nel black metal, dando avvio a una spirale che da autodistruttiva si espanderà alla nazione intera.
Cristiano è un narratore abilissimo e un biografo preciso, riesce a evidenziare i momenti fondamentali che hanno alimentato la spirale di fiamme e sangue che dalla primavera del 1991 ha cominciato a gravitare intorno all’Helvete, il negozio di dischi che Aarseth aprì a Oslo facendone il punto di ritrovo della neonata e crescente scena black metal. Ha la pazienza di aspettare il quarto episodio (su sei totali) per introdurre una figura fondamentale come Varg “Count Grishnackh” Vikernes, il musicista che con il moniker Burzum creò alcuni dei dischi fondamentali della scena e che per primo diede fuoco a una chiesa, la Stavkirke di Fantoft, dando il là a decine di roghi nei mesi a venire, e ha anche la capacità di rimarcare quanto gli atti criminali compiuti da alcuni membri dell’Inner Circle stridessero con attriti ben più banali, come la questione sui profitti che Aarseth, che distribuiva i dischi di Burzum con la sua etichetta Deathlike Silence, mai pagò a Vikernes: eppure furono proprio queste ultime motivazioni, insieme a una “lotta” per la leadership all’interno della scena, che portò il rapporto fra i due alle più estreme conseguenze.
Mi sono rimasti tutti fedeli tranne alcuni traditori. Solo i deboli e i falliti mi hanno tradito. Samoth e Faust degli Emperor hanno denunciato tutti alla polizia e hanno testimoniato il falso per salvarsi il culo. Sono codardi che si sono arresi senza combattere, cristiani del cazzo. Faust verrà punito, quando uscirà. Siamo tutti vichinghi, ci vendichiamo con il sangue: in questo paese comunista, con un cazzo di ebreo come primo ministro gli informatori sono considerati persone oneste.
Da un’intervista dal carcere a Varg Vikernes
Il più grande merito di Cristiano è però quello di mantenere distaccato il discorso musicale da tutto ciò che ci è girato intorno. Per quanto atroci siano stati i delitti commessi da alcuni membri dell’Inner Circle, per quanto confusamente fasciste e sataniste fossero le ideologie che li muovevano, gli album registrati dai gruppi della scena in quel periodo sono diventati pietre miliari del metal tutto, spesso registrati negli stessi Creative Studios di Kolbotn dove i Mayhem incisero Deathcrush solo perché era il primo studio discografico di cui avevano trovato il numero sull’elenco telefonico. Band come Immortal, Satyricon, Enslaved ed Emperor vanno avanti chi più chi meno con le loro carriere ancora oggi, i Darkthrone hanno il loro disco A blaze in the northern sky esposto nella Biblioteca Nazionale di Oslo, e di questo e degli altri dischi registrati agli inizi degli anni 90 Cristiano riesce a restituire le caratteristiche incuriosendo anche un profano del genere come me: martedì dopo il lavoro, bevendo una birra e fumando una canna con un amico, ci siamo concessi qualche breve ascolto di Deathcrush, e chissà che non approfondisca ulteriormente. Non mancano nel podcast interessanti contributi di chi quella scena l’ha vissuta parzialmente, anche se da lontano: i musicisti Fabban degli Aborym (attivi ancora oggi) e Roberto Mammarella dei Monumentum, quest’ultimo oggi dietro l’etichetta specializzata in black e doom metal Avantgarde Music. Nonostante la sua genesi il black metal è diventato parte integrante della cultura di una nazione, la Norvegia, da cui i membri più estremisti della scena volevano eradicare la cristianità: paradossalmente oggi, per diventare parte integrante del corpo diplomatico, la conoscenza del black metal è imprescindibile.
Nel 1985 usciva Dall’inferno di Giorgio Manganelli; un anno dopo, nel 1986, i Mayhem registravano in maniera grezza e casalinga la loro prima demo, Pure fucking armageddon. Che Euronymous, Necrobutcher e gli altri componenti della prima formazione della band norvegese abbiano potuto leggere il libro di Manganelli è altamente improbabile, eppure l’inferno a loro modo l’hanno comunque portato in Norvegia. La morte e non Satana lega le storie di Manganelli e dell’Inner Circle, ma questa piccola coincidenza sembra proprio puzzare di zolfo.
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