Per un po’ di anni l’estate per me è iniziata in primavera, precisamente verso fine maggio. Era il periodo in cui si svolgeva il MiAmi, il festival musicale organizzato da Rockit che metteva insieme al Circolo Magnolia di Milano il meglio (ma pure il peggio, tipo Tommaso Paradiso che canta Bollicine di Vasco Rossi o Luca Carboni che era indipendente prima di voi) della musica indipendente italiana. I gusti sono gusti, come disse il gatto leccandosi il culo (questa l’ho rubata a un amico), e io ho sinceramente preferito le vecchie edizioni a quelle invase dall’indie-popanni80 di questi ultimi anni, ma la possibilità di ascoltare delle band sdraiato sulla collinetta, iniziando dal tardo pomeriggio e arrivando fino a notte fonda, era un’esperienza meravigliosa che, si spera, torni presto NEL PIENO RISPETTO DELLA NOSTRA VOGLIA DI VEDERCI UN CAZZO DI LIVE.
Ricordo con particolare affetto l’edizione 2013, perché al venerdì (che bello prendersi il pomeriggio libero e fiondarsi su a Milano…ok la smetto) c’era una fantastica concentrazione di band che facevano un sacco di rumore: attaccarono sul palco principale Gli ebrei e gli ZEUS!, poi fu la volta dei Gazebo Penguins sul palco in collinetta, seguiti a ruota da una band di cui sentivo il nome da anni ma di cui avevo ascoltato pochissimo: erano i Bachi da Pietra, resident band della settimana qui, sul palco virtuale di Tremila battute.
L’impressione che ebbi guardando Giovanni Succi (che di qui è già passato) e Bruno Dorella (Ronin, OvO, batterista sul primo album dei miei amatissimi e scrausissimi Wolfango e creatore di Bar La Muerte, storica etichetta che lanciò anche il mio compaesano Bugo) sul palco del MiAmi fu quella di un gruppo violento, una violenza primordiale che non guarda in faccia a nessuno. Per le mie orecchie ai tempi era passato solo il loro quinto disco Quintale (che contiene, fra le altre, una traccia geniale sul tema della pirateria), un album in cui le distorsioni si facevano strada in modo possente, ma gli inizi per il duo erano stati ben diversi, anche se legati da un filo conduttore di oscurità. Formatisi nel 2004, il loro primo disco arriva l’anno dopo: registrato nella cripta della chiesa di Sant’Ippolito a Nizza Monferrato, Tornare nella terra è blues minimale allo stato puro, tutto atmosfera con una batteria scarnificata, accordi di chitarra taglienti e la voce sulfurea di Succi a condire il tutto, un viaggio ipnotico e claustrofobico in cui la luce non filtra neanche per sbaglio. Con Non io (2007) e Tarlo terzo (2008), editi tutti dalla benemerita Wallace Records che produrrà la maggior parte dei loro lavori, i Bachi da Pietra consolidano il loro suono, comunque in continua evoluzione: lo dimostra lo sperimentale disco live Insect tracks (2010), metà con pubblico e metà senza, in cui eseguono alcuni loro vecchi brani rielaborati e due inediti, il tutto registrato da Francesco Donadello dei Giardini di Mirò con mezzi tecnologici monofonici degli anni cinquanta (potete godervi il risultato qui). Nello stesso anno arriva il quarto disco, Quarzo, seguito da uno split coi Massimo Volume in cui le due band si coverizzano un brano a testa e piazzano un inedito, che nel caso di Succi e Dorella rappresenta l’introduzione migliore alle distorsioni molto più incisive che si troveranno in Quintale, uscito nel 2013 per La Tempesta. Due anni e altrettanti Ep dopo (Festivalbug e Habemus Baco, quest’ultimo realizzato per il decennale della band) esce Necroide, deriva metal fieramente rimarcata fin dal brano che apre il disco, Black metal il mio folk: Succi sfodera growl possenti e i Bachi dimostrano di sapersi reinventare pur non perdendo niente di quell’energia sotterranea e ancestrale che tanto mi ha colpito dal vivo ormai otto anni fa. Impegnati nei rispettivi progetti per un certo periodo, finalmente i Bachi da Pietra stanno per regalarci un nuovo album: il 7 maggio uscirà per Garrincha Dischi Reset, anticipato dalle canzoni Comincia adesso e Meriterete, e chissà quale nuova svolta porterà nel discorso musicale portato avanti dai due bachi che, per l’occasione, si trasformano in trio con l’ingresso di Marcello Balatelli (Il Teatro degli Orrori, Non Voglio che Clara).
Avendo la fortuna di seguire Giovanni Succi sul suo canale Patreon Fuori di Testo ho potuto ammirare con quale cura e amore tratta la poesia, sia essa quella di Sanguineti, di Leopardi e o di un (ingiustamente) meno conosciuto Simone Cattaneo. Non poteva che essere allora Brutti versi, seconda traccia di Quintale, a ispirarmi il racconto di questa settimana: invettiva contro un sedicente poeta che con dei soldi prestati ha messo su carta versi che ora “restano e fanno male”, il brano mi ha ispirato un breve flusso di coscienza in cui non mancano la rabbia e qualche piccola stoccata al mondo dell’editoria a pagamento (che sì, pare che pure Tomasi di Lampedusa si sia finanziato da solo Il gattopardo, ma è anche vero che una persona pare sia risorta dalla morte e non per questo mi ammazzo sperando nel colpaccio). Trovate il racconto subito dopo il brano, as usual: a me non resta che augurarvi buon ascolto e buona lettura.
Se volete ascoltare questo e tutti gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti, questo è l’unico dove sono riuscito a trovare tutte le canzoni).
Debiti di versi
Me le tira fuori dall’anima di dio o chi per lui le parole che mi tocca dirgli, a sentirlo lamentarsi ancora di quanti soldi gli escono e di quelli che non gli entrano quando è lì che s’ingozza con la sesta birra e di ridarmi quelli che mi deve gliene fotte una minchia, li avesse usati almeno per un motivo uno che sia valido invece di sbatterli in quel libretto che non vale una sega, tutti lì ce li ha buttati e ce l’ho sulla punta della lingua di dirglielo che bel lavoro di merda ha fatto ma butto giù un sorso e mi trattengo, faccio il bravo che se no qua finisce a botte ma lui no, giù ancora a dire che almeno lo capisse il mondo dell’arte e invece un disastro anche lì perché, e lo dice con quel tono da saperne solo lui, il mondo dell’arte è una MERDA e lui è un INCOMPRESO e lì davvero non ci vedo più, perché cazzo va bene tutto ma se il libretto te l’ha pubblicato solo uno che t’ha stipato in casa metà delle copie a prezzo pieno due domande fattele, magari sul perché quei quattro versi non te li ha presi qualcuno che ci CREDE ma solo qualcuno che t’ha voluto INCULARE I SOLDI e ha fatto pure bene, fesso come sei e fesso due volte io che te li ho prestati, ma se sapevo che era per pubblicare quella MERDA io mai l’avrei fatto in nome di dio o chi per lui, che te ne darei il doppio adesso sull’unghia per non farne più, perché fanno davvero CAGARE AL CAZZO e facevi meglio a spenderli per comprarne di scritti da altri e meglio di così, che non ci vuole poi molto, e invece c’hai avuto pure il coraggio di chiedermene un po’ pure per una copia del libretto oltre a bermeli in faccia adesso mentre ti lamenti come se io non c’avessi di meglio da fare nella vita che ascoltarti, e già lo so che a tirargli ‘sta menata finiremo a fare a botte ma quando ci vuole ci vuole e tanto andrà come tutte le altre volte, non ci parleremo per un po’, poi ci ritroveremo davanti a una birra o una boccia di vino e faremo come se niente fosse raccontandoci ancora le nostre sfighe, più le sue che le mie, con fra di noi sempre la questione di quei soldi che mi deve e di quei quattro versi, che rimarranno anche quando noi non avremo più bocca per bere o insultarci e lo danni dio o chi per lui per questo.
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