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Andare dove ti porta la musica: DOMOMENTÁL, il nuovo disco dei Sabbia

È necessario che tutti gli schizzi evolvano in un disegno? Questa frase, non mia ma di una fonte che mi venisse un colpo se mi torna in mente (pensavo fosse presa dal meraviglioso Waking Life di Richard Linklater, ma se proviene da lì non riesco a ritrovarla), mi è balenata in testa già dopo il primo ascolto di DOMOMENTÁL, il disco dei Sabbia che arriva a cinque anni dal precedente Kalijombre (entrambi pubblicati dall’etichetta Kono Dischi). Per chi è un affezionato lettore di questo blog il connubio psichedelico tra stoner e jazz della band biellese non risulterà nuovo, visto che gli abbiamo dedicato uno dei primi racconti in musica, ma il bello di certe band è che non si accontentano di replicare quanto già proposto, anche se quello che hanno proposto è già di suo personale e fuori dagli schemi. Cosa aspettarsi quindi dai nuovi quattro + due brani (le tracce iniziali e conclusiva, Marcobit part 1 e Marcobit part 2, fungono fondamentalmente da eteree intro e outro)?

La risposta, che è anche la risposta alla domanda con cui si apre l’articolo, arriva già con Ombelico, la seconda traccia del disco. Lenta e ossessiva, trascinata lungo il suo percorso da radi accordi di chitarra e basso, percussioni, fantasmatici vagheggi elettronici e un sax dolente, nei suoi nove minuti di durata la canzone ci porta in un viaggio senza meta. L’inquietudine ossessiva che la alimenta ha un crescendo ma è di lieve intensità, pronto a deludere le aspettative che crea, poi si scema verso il silenzio senza capire bene cosa si è ascoltato. È un grosso rischio partire in questa maniera, con una breve traccia introduttiva perlopiù elettronica che sembra presa da un vecchio film di fantascienza e farla seguire da un brano che sembra non voler andare da nessuna parte, e io stesso ammetto di essermi trovato spiazzato, eppure è proprio questo il punto in cui i Sabbia fanno selezione all’ingresso: loro vanno dove li porta la musica, anche in nessun luogo se è lì che devono andare, e Ombelico è proprio un viaggio senza scopo, un’attesa potenzialmente infinita, una tensione che non si risolve.

TagliCollaCarta sembra seguire questo canovaccio statico, aprendosi su un ritmo tutto strambo disegnato da un sax mononota, ma se le sonorità mantengono le stesse atmosfere plumbee ecco che gli strumenti trovano libero sfogo nella graniticità di basso e batteria e nelle ragnatele costruite da synth e tastiere (in sottofondo, ad alimentare l’inquietudine, arrivano anche dei vocalizzi riverberati), almeno fino a quando non viene decretato lo stop. Da lì un nuovo inizio, suadente, una di quelle crescite che mi hanno fatto innamorare della loro musica, le note centellinate e i riff protratti fino al momento in cui ti aspetti di sentire l’esplosione e poi ancora un po’ più in là, una spaghettificazione dell’ascoltatore che viene tirato e tirato finché finalmente il sax non arriva a concedere il giusto sfogo alle orecchie, forse troppo breve per dissetare dopo aver ricercato così a lungo la fonte ma comunque capace di ricordare che a quel gioco lì, quello della costruzione dell’attesa e del successivo appagamento, i Sabbia sanno ancora giocare eccome.

Così come sanno giocare coi ritmi tutti matti. Dopo una breve parentesi ambient la successiva Sguazza parte lancia in resta con l’ennesimo giro di sax ossessivo e trascinante, a cui basso e batteria si accodano mentre la chitarra ci cesella sopra con arpeggi delicati. Sei lì che ti aspetti un brano più quadrato e diretto, invece a metà i Sabbia si prendono una pausa, riprendono ad accelerare, impazziscono e sembra di tornare ancora a quella storia degli schizzi, un finale convulso che sporca volutamente il quadro fino a lì dipinto: è ancora un’illusione però, un miraggio nel deserto, perché il vero finale è sensuale e malinconico allo stesso tempo, abbastanza da giustificare l’influenza dei film porno anni settanta che la band sbandiera sul proprio profilo Facebook.

E la sensualità, carezzevole, ammiccante, è la cifra stilistica che contraddistingue Arancione, col suo basso rotondo a disegnare note su un ritmo percussivo tenue e riflessivo. Arancione come il colore di un tramonto nel deserto, infatti vengono in mente i Kyuss di Space cadet messi ko da una dose troppo robusta di ganja, almeno finché la chitarra non decide di cullarci aprendo spiragli di una Summer of love mai finita. Potrebbero accontentarsi di questo i cinque membri della band, un tuffo in un passato idealizzato dove rinfrancarci e sperare di restare per sempre, ma la sensualità è mischiata alla malinconia e ci rendiamo conto, nostro malgrado, che il luogo dove ci hanno portato è solo l’ennesimo miraggio, che il viaggio non è ancora finito. Sono ancora le note di chitarra a mostrarci quanto la nostra nostalgia è alimentata da un luogo che non esiste, che abbiamo solo immaginato, alternando riff pacati e strimpellate riverberate come carezze che prima ci blandiscono e poi ci consolano. Siamo ormai arrivati, il breve tempo di un vagheggio elettronico anch’esso meno passato di quel che vorrebbe sembrare con Marcobit part 2 (rubo una citazione, virandola in domanda, al giornalista musicale Erik Davis a proposito del primo album dei Boards Of Canada, così come riportata nel fantastico libro Ex Machina di Valerio Mattioli: “È il modo in cui le macchine ricordano il loro passato?”) e si conclude.

Potrei parlare di DOMOMENTÁL come dell’album della maturazione per i Sabbia, ma la band biellese sapeva cosa faceva già dalla prima canzone pubblicata sul proprio Bandcamp. Il nuovo disco è semmai la certificazione che da loro ci si può aspettare di tutto, che non gli interessa seguire le proprie orme solo per compiacere sé stessi o i propri fan, che la musica è prima di tutto ricerca e che la loro ricerca continua. Parlare di immediatezza per un gruppo che fa musica strumentale dal minutaggio elevato è un azzardo, ma sicuramente DOMOMENTÁL è meno immediato dei precedenti dischi: perdercisi dentro, dargli tempo per rivelare i suoi segreti, seguire quelle strade sonore che possono non portare da nessuna parte od ovunque, rimane però un’esperienza altamente consigliata.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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