I modi in cui puoi conoscere musica nuova sono infiniti come infinite sono le vie della provvidenza, ma non essendo credente nel senso istituzionale del termine io per il momento ne ho trovati solo un bel po’. L’ultimo di questi, scoperto (senza chissà quale fantasia eh) su input di un amico che mi chiedeva “c’è qualche concerto interessante in data X”, è quello di scandagliare il programma di qualche locale bello in cui suonano molto spesso, tipo l’Arci Bellezza di Milano. Lo frequento meno di quanto meriterebbe, ma fra artist* italian* e internazionali porta sul palco davvero qualsiasi genere, che sia la trance strumentale dei cileni Föllakzoid o il rap mischiato con qualsiasi cosa dei milanesi Brucherò Nei Pascoli. Mi sono appuntato così un po’ di nomi da ascoltare la mattina mentre vado a lavoro (o la sera mentre ritorno), e vi esorto a immaginare la scena: sei lì che vaghi nella nebbia fra i paesini dell’hinterland milanese, la sola compagnia del traffico e di un sax acuto e malinconico che esce dalle casse, quando all’improvviso parte tutta la distorsione del mondo a scompigliarti i capelli. Questo è stato più o meno il mio battesimo del fuoco con le Divide And Dissolve, dall’Australia direttamente sulle schermate di Tremila Battute.
Ho detto le Divide And Dissolve ma sarebbe meglio dire LA, visto che il progetto è nato nel 2015 ed è tuttora portato avanti da Takiaya Reed, sassofonista e chitarrista nata negli Stati Uniti e di origine Tsalagi e afroamericana, ma a dare manforte a Reed dal primo disco Basic e fino al 2023 c’è stata la percussionista Sylvie Nehill, australiana bianca di discendenza Māori. Non sono solito specificare le etnie d* musicist*, ma nel caso delle Divide And Dissolve è importante perché il loro scopo, come riportato su Wikipedia da una loro intervista, è quello di “decolonising, decentralasing, disestablishing, and destroying white supremacy”: lo si capisce facilmente dai titoli del già citato Basic, che vanno da Black is beautiful a Black vengance passando per Black & indigenous, e proprio i titoli sono il veicolo della loro rivendicazione visto che, e sono arrivato sino a qui senza specificarlo, le Divide And Dissolve fanno doom metal quasi esclusivamente strumentale. La mancanza dei testi non impedisce loro di farsi sentire con parole e prese di posizione, come quando all’uscita del secondo disco Abomination (edito, come il primo, dall’etichetta DERO Arcade) pubblicano il video della canzone Resistance in cui sputano e gettano urina con una sorta di Super liquidator sulle statue dell’invasore dell’Australia James Cook e dello “scopritore” della ribattezzata Melbourne John Batman: YouTube prima lo rimuove, poi si scusa e rende possibile di nuovo vederlo, come potete fare anche voi dal link di cui sopra.
La loro musica e il loro spirito battagliero attirano l’attenzione di Rubian Nielson (di discendenza Hawaiiana e Māori), frontman della band psichedelica neozelandese Unknown Mortal Orchestra, che decide di produrre il loro terzo disco. Gas lit esce nel 2021 per la Invada di Geoff Barrow, ex membro dei Portishead, e il focus delle loro rivendicazioni vira lievemente: i titoli delle canzoni sono frasi sibilline che rimandano alla pratica del “gaslightning”, manipolazione che mira a destabilizzare l’integrità psicologica delle vittime spesso utilizzata nelle relazioni tossiche. A giugno 2023 è uscito Systemic, l’ultimo disco del duo, registrato a New Orleans e licenziato sempre dalla Invada: nonostante il clima rilassato in cui è stato registrato (come evidenziato in questa intervista) l’album appare ancora più oscuro dei precedenti e in Kingdom of fear ospita le parole della poeta venezuelana Minori Sanchiz-Fung, collaboratrice di lunga data già apparsa anche nel primo disco della band. Non so se sarò sotto il palco giovedì 8 febbraio all’Arci Bellezza, ma se siete nelle vicinanze di Milano e questo articolo vi ha incuriosito sapete dove andare.
Oblique è la prima traccia di Gas lit ed è esattamente la traccia che ho descritto a inizio articolo, un incrocio pericoloso di dolcezza malinconica che contiene al suo interno un nucleo di doom distorto e urticante. Non so quali percorsi abbia fatto la mia mente per tirare fuori la storia che state per leggere, mi sono fatto perlopiù suggestionare dall’obliquità evocata dal titolo immaginandomi un mondo altro, luminoso e dai colori allegri ma crudele nel suo ciclo di autoperpetuazione: per capire cosa intendo non vi resta che andare più in basso, a me non resta che augurarvi buon ascolto e buona lettura.
Se volete ascoltare questo e tutti (o quasi) gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti).
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Piano inclinato
Stalattiamo dal tello con pacata protuberanza: quello è il tempo della nascita. Emergiamo al globo fra i riflessi del bagliore lontano sulla sorra purpurea, ne cogliamo lo specchiarsi rubineo lungo le pareti. Scorgiamo le macchie bianche e blu di chi è già maturato, dev’essere doloroso l’impatto perché il loro strisciare è lamentoso. Il globo non ci mente: un giorno toccherà anche a noi.
La sorra luminosa sotto di noi è un piano inclinato. Il nostro destino è di scivolare, macchiare di nutrimento il globo e spargerci turchesi finché di noi non resterà che un guscio vuoto. C’è chi sostiene sia un processo di ascesi, ai più sembra semplicemente quella che è: una caduta.
Nessuno guarda volentieri verso l’estremo opposto del bagliore. Il laglieno sta in fondo, attende e ruota, sugge tutto ciò che scivola rapido verso il suo biancore, rimandando al globo quel che è del globo. Ciò che saremo da rinsecchiti stride mentre prende velocità, anche il silenzio che producono i gusci ci fa vibrare e lo avvertiamo per tutto il giorno, tutti i giorni. Crescendo la luce del bagliore ci appare più sfocata, la sorra purpurea più accogliente: il laglieno continua a infestarci da dentro.
Il sistema è la nostra vita. Nasciamo per morire, moriamo per rinascere: il dolore e la vibrazione sono complicazioni accidentali lungo il percorso. C’è chi sostiene esistano alcuni di noi che non crollano mai, finiscono per stalagmirsi: spero di vederne uno quando sarà il mio turno di scivolare, e gli chiederò come mai.
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