La memoria, o meglio il vacillare della stessa, è un motore narrativo che ha spesso trovato terreno fertile nella fantasia di sceneggiatori e registi. Che si parli di cinema d’autore (Io ti salverò di Alfred Hitchcock), commedia (50 volte il primo bacio di Peter Segal), azione (The Bourne identity di Doug Liman) o fantascienza (Atto di forza di Paul Verhoeven, da non confondere col sequel brutto) praticamente ogni genere cinematografico ha sfruttato la vacuità dei ricordi come tema portante della narrazione, anche se in un mondo ideale avremmo visto più opere in cui è trattato in maniera estremamente originale come fece Michel Gondry (su sceneggiatura del sempre geniale Charlie Kaufmann) con Eternal sunshine of the spotless mind…e sapete tutti perché uso il titolo in inglese, vero?
Se c’è un film che mi è rimasto nel cuore, fra tutti quelli che hanno affrontato questo tema, non posso prescindere dal mettere sul gradino più alto del podio Memento, il primo lungometraggio di Cristopher Nolan. La storia di Leonard Shelby (Guy Pearce), affetto da perdita della memoria a breve termine (disturbo che sarebbe poi stato ripreso da 50 volte il primo bacio, già citato sopra, ma anche nel personaggio di Dory di Alla ricerca di Nemo della Pixar, chiaro omaggio al film di Nolan), è un esempio magistrale di come attorno ad una singola caratteristica si possa costruire una storia efficace e piena di tensione, tanto che ancora oggi lo ritengo il migliore dei film del regista inglese. Non è strano che mi sia tornato in mente guardando The father, la pellicola diretta e sceneggiata dall’esordiente Florian Zeller (tratta da una sua opera teatrale) che è valsa all’autore francese l’Oscar alla Miglior sceneggiatura non originale (premio condiviso con Christopher Hampton) e ad Anthony Hopkins la sua seconda statuetta come Miglior attore protagonista: a differenza di Memento qui non ci sono misteri da risolvere (anche se il trailer e l’orribile sottotitolo, Nulla è come sembra, cercano senza un buon motivo di suggerire il contrario), ma i punti in comune ci sono e appaiono evidenti sotto almeno due punti di vista.
Vivere la vicenda come i protagonisti
Né The father né Memento hanno vinto l’Oscar per il miglior montaggio, ma è significativo che entrambi abbiano avuto perlomeno la nomination: il lavoro di Giorgos Lamprinos e Dody Dorn nelle due pellicole è essenziale per farci scivolare efficacemente nelle vite dei protagonisti, mostrandoci il loro mondo non attraverso i loro occhi ma attraverso la temporalità distorta che sono costretti a esperire.

Leonard Shelby è un detective sui generis, autoassegnatosi il compito di trovare l’assassino della moglie dopo che la polizia si è dimostrata incapace di aiutarlo. A causa di un colpo alla testa infertogli dagli aggressori non è più in grado di immagazzinare nuovi ricordi, perché la sua memoria a breve termine si cancella ogni dieci minuti: metodico per natura, Leonard ha deciso di tatuarsi gli indizi trovati nel corso degli anni direttamente sul corpo, ma può davvero fidarsi del suo metodo e di chi si prodiga per dargli una mano? Nel raccontarci la storia di un uomo il cui mondo si “resetta” più volte al giorno i fratelli Nolan (la sceneggiatura è tratta dal racconto Memento Mori di Jonathan Nolan, anch’essa candidata agli Oscar) hanno la geniale idea di procedere per frammenti, narrando la vicenda fra un blackout e l’altro: viviamo così con Leonard l’angoscia di iniziare da capo la ricerca ogni volta, costretto a fidarsi di persone che, come scopriremo procedendo con la visione, hanno interessi divergenti dai suoi e solo accidentalmente gli sono utili allo scopo…ammesso che lui stesso abbia presente ormai qual è il suo scopo. L’idea di montare la storia a ritroso, partendo dall’epilogo per giungere all’inizio (o almeno ad UN inizio), è efficace per mantenere il mistero di una trama architettata a puntino, ma è sintomo di un’ossessione per la temporalità del regista inglese che diventerà chiara con gli anni più che una necessità legata al disturbo di Leonard: ciò non toglie che sia azzeccata, ma il film è assolutamente godibile anche nella sua versione con gli eventi montati in ordine cronologico, in maniera appropriata intitola Otnemem.

In The father il disturbo che affligge il protagonista è altrettanto subdolo, ma contro di esso non c’è metodo che tenga: piagata dalla demenza senile, la memoria di Anthony viaggia in maniera casuale fra eventi distaccati temporalmente di minuti, giorni o anni, impedendo tanto al protagonista quanto allo spettatore di mettere ordine nella sua vita. Se Leonard Shelby deve affidarsi a chi gli sta intorno per poter proseguire nella sua ricerca, Anthony al contrario è costretto a dubitare per poter mantenere una parvenza di dignità e controllo: meglio diffidare delle badanti e dell’amorosa figlia Anne (interpretata con grande sensibilità da Olivia Colman) piuttosto che di sé stesso, negando fino allo stremo l’incapacità di tenere insieme il castello di ricordi che forma la propria persona. Il film di Zeller è sorretto da ottime recitazioni del ristretto cast, abili a impersonare personaggi che è facile amare e detestare allo stesso tempo (anche Anthony si dimostra in più punti crudele e meschino), ma è il modo in cui è narrata la vicenda a fare la differenza, o sarebbe meglio dire il come NON è narrata: non esiste una trama lineare, un percorso che prevede un inizio e una fine chiari, solo un coinvolgente affannarsi dietro ad eventi cui cerchiamo spasmodicamente di dare un senso, cercando di far finta di niente quando proprio non ci riusciamo.
Sguardi che ricercano la normalità
Io invece lo guardavo negli occhi e vedevo questo lampo di riconoscimento, ma ora so che uno finge, perché se pensi che qualcuno si aspetta che tu lo riconosca fingi di riconoscerlo, fingi per fare piacere ai dottori, fingi per non sembrare diverso.
Leonard Shelby, Memento
“Ti ho mai parlato di Sammy Jankis?”, questo è il tormentone che Leonard Shelby appioppa a tutti quelli che incontra: sospesa fra realtà e immaginazione, quella di Sammy Jankis (Stephen Tobolowsky) è una figura cardine del film di Nolan, perché è tramite la sua esperienza che Leonard viene a conoscenza della sindrome che lo affliggerà in seguito. Da semplice perito assicurativo rampante però Leonard non riesce a credere a Sammy, tanto più che ogni volta che va a trovarlo questi lo guarda come se lo riconoscesse: capirà solo in seguito che di fronte a uno sconosciuto che mostra di riconoscerci la reazione più immediata è quella di assecondarlo, fingendo per apparire normali ai suoi occhi quanto ai nostri.
In questo elemento sta il vero punto d’incontro fra le due pellicole, negli sguardi partecipi di persone che in realtà faticano a mettere insieme i pezzi di ciò che gli accade intorno. Il lampo di riconoscimento negli occhi di Sammy quando Leonard si presenta alla sua porta è lo stesso che Leonard cerca di mostrare col portiere del suo motel, e Anthony in The father non è da meno: la sua mancanza di appigli sul mondo, mimetizzata da una falsa sicurezza e dagli sbalzi umorali con cui cerca di chiudere ogni discorso, si fa evidente quando si assoggetta placidamente alla presenza di Paul (Rufus Sewell), il compagno della figlia di cui non ha praticamente memoria. Anthony finge perché è il modo più semplice per ignorare il problema, convincendosi che va ancora tutto bene e cercando allo stesso tempo di convincere chi gli sta intorno, per quanto la recita sia approssimativa e lo spaesamento si faccia sempre più doloroso da sopportare.

Non c’è modo più significativo per dimostrare quanto possa essere terribile non poter fare affidamento sulla propria memoria che quegli sguardi, docili e persi allo stesso tempo. Nolan e Zeller hanno perseguito obiettivi diversi con le loro opere ma è significativo che entrambi si siano concentrati su un dettaglio apparentemente marginale, capace però di fare la differenza fra l’avere una buona idea e il tradurla su schermo con la giusta sensibilità.
E ora, visto che qui si parla spesso di musica indipendente, una sigla di chiusura adeguata al tema.
Ti è piaciuto questo racconto/articolo? Segui la pagina Facebook di Tremila Battute!