C’è chi sa dare i titoli alle proprie opere e chi no: io sono fra i secondi. Quando devo dare il nome a un mio racconto non ho la liricità di un Houellebecq, che piazza con nonchalance titoli come Estensione del dominio della lotta o La possibilità di un’isola (ho partecipato di recente a un aperitivo letterario in cui si è parlato dell’ultimo libro dello scrittore francese, il che mi ha influenzato anche se il nuovo tomo si chiama semplicemente Annientare), e non ho neppure una formula semplice ma efficace come Carver, che prendeva una frase all’interno del racconto ed era qualcosa di comunque azzeccato tipo Di cosa parliamo quando parliamo d’amore o, per citarne uno meno abusato, Loro non sono tuo marito. Io no, io vado sull’inutilmente logorroico o su qualcosa che vorrebbe essere d’effetto e probabilmente sembra inutilmente enfatico ma chissà, forse la storia mi darà ragione.
Intanto la storia dà ragione ai Push Button Gently (Giulio Speziali voce e chitarra, Timothy Van Der Gen alla batteria, Gabriele Fazzini al basso, Natale De Leo al synth e Nicolò Bordoli alla chitarra), che con il loro primo album in italiano riescono ad azzeccare in pieno il titolo nonostante non sia né propriamente pop né ascrivibile a qualunque corrente della musica black.

Di pop il disco ha la capacità dei brani di entrare velocemente in testa, sia quando sono i synth a prendersi la scena che quando esce l’anima rock di una band che in quindici anni di attività ha consolidato la capacità di fare musica fuori dagli schemi consueti. Perché è facile far battere il piedino con motivetti che si adattano sul classico “verse-chorus-verse”, per citare l’autoironico titolo di una b-side dei Nirvana, lo è molto meno farlo con l’ansiogeno battito elettronico di Cannone o con le suggestioni spaziali dell’iniziale Satellite, che a metà strada in una delle varie digressioni mostra un magma sonoro oscuro e vagamente noise.
L’oscurità, eccola l’altra anima del disco, quella preminente in realtà. Il “black” di Black pop è soprattutto nelle parole di Speziali, voce eclettica della band che negli undici brani del disco esplora il concetto di identità, proponendolo quasi come una contrapposizione di buio (la parte falsa e “istituzionale” di sé, plasmata sulle aspettative degli altri) e luce (lo svelamento, non per forza ben accolto). Ecco così che quando “esplode il giorno/ non riesci più a dire chi sei” (Io ti inganno), i tempi bui, bizzarra fonte di quiete evocata in Ripeti, ripeti, vengono sorpresi dal giorno: la crisi dell’io arriva al punto che “nudo e sincero non sembri più vero”, come suggerisce la parabola cantautorale di Attore, tanto che l’iniziale Satellite sembra quasi un’idilliaca fuga verso un’altra oscurità, quella dell’universo sconosciuto, ancora più emblematica se contrapposta alla Terra della sepoltura con cui si conclude il disco.
Sul fronte sonoro i Push Button Gently spaziano dovunque con maestria, fra il rock catchy di Ulisse e i saliscendi ritmici di Ripeti, ripeti, caratterizzata da un maelstrom centrale in cui si sommano inquietudini ad ogni strumento che entra in gioco, passando per la cantautorale Attore e l’alternative rock di Io ti inganno, un brano che per energia e e cupa sensualità ricorda un po’ i Marlene Kuntz. L’abilità della band è esplicitata dal modo in cui ogni strumento si mette al servizio delle composizioni, facendo un passo indietro quando serve e lasciando ad altri il centro della scena, una caratteristica che rende Black pop un disco omogeneo nella sua disomogeneità, superiore nel complesso alla somma dei singoli brani, perché gli album migliori non sono quelli che cercano di apparire coesi ma quelli che ci riescono rischiando di apparire strambi, tipo mettendo dei coretti da simil-cheerleader nei ritornelli strumentali di Una follia.
Per Black pop vale un discorso simile a quello fatto per l’ultimo album dei Kick: quando c’è personalità anche le cose che convincono meno (l’eccessiva limpidezza sonora di Irriconoscibile, le tracce di passaggio Sicomoro e Tillandsia) vengono elevate, e i Push Button Gently dimostrano di averne tanta. Sono curioso di vedere la resa di questi brani dal vivo: me li sono persi il 26 marzo al Tambourine di Seregno, ma spero di poter recuperare presto.
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