Racconto in musica 169: Cosa vuol dire bruciare delicatamente (72-Hour Post Fight – CANDLEFACE THEME)

Nelle ultime tre settimane ho avuto la fortuna di partecipare, scoprendolo sempre all’ultimo momento, a due piccoli festival musicali: la festa per il diciannovesimo compleanno di To Lose La Track, svoltasi il 23 marzo al C. S. O. A. Cox 18, e lo Psychodelice Spring Fest, svoltosi giusto ieri sera all’Arci Bellezza. In entrambi i casi a fare da catalizzatore principale è stato Johnny Mox, musicista poliedrico di cui avrò modo di parlarvi prossimamente (anche perché mi ha girato il testo di una sua canzone su cui da anni voglio scrivere un racconto ma, essendo pessimo con l’inglese, non ho mai capito esattamente di cosa parlasse), e in entrambi i casi ho finito per godermi un sacco di concerti di artist* che in parte conoscevo di nome, in parte di fatto ma che, Mox escluso, mai avevo visto dal vivo. L’elenco sarebbe troppo lungo, e di sicuro di molt* di loro risentirete parlare su queste schermate (non che ne abbiano un bisogno essenziale per la loro carriera eh): il punto è che i festival sono belli anche e soprattutto quando non conosci tutt* l* artist* che vi partecipano (magari non all’estremo di andare a un evento di K-pop se vi piace il punk, ma ci siamo capiti), e bisognerebbe avere la capacità di buttarsi e andare a curiosare anche se magari, come è capitato a me ieri, non avete nessuno che vi accompagni. Lo dico perché il 17 novembre 2023 mi sono fatto frenare da quelle stesse motivazioni, e non posso neanche usare la scusa che era un giovedì e dovevo far uscire un articolo per il blog visto che quella settimana ho paccato: al Base quella sera hanno suonato otto band fra cui i Leatherette (di cui abbiamo recensito entrambi i dischi) ed ho il vago ricordo di un qualcosa a cui dovevo presenziare prima delle 21, ora di inizio della maratona musicale, ma neanche questa è una scusa accettabile anche perché così mi sono perso, salvo recuperarli subito dopo almeno su disco, i 72-Hour Post Fight, che se non si fosse già capito dal titolone a inizio articolo sono la resident band della settimana.

La band milanese è una di quelle per cui è stato creato il termine “eclettico”, anche nella composizione: due producer (Carlo Luciano Porrini aka Fight Pausa e Luca Bolognesi aka Palazzi D’Oriente), un batterista (Andrea Dissimile) e un sassofonista (Adalberto Valsecchi), uniti da un amore per la musica che, se non è a 360 gradi, almeno a un 270 ci arriva. Hip hop, ambient, jazz, post rock, questo e altro viene frullato nelle loro composizioni magicamente coese che arrivano alle orecchie dell* ascoltator* per la prima volta nel 2019, anno di uscita del primo disco omonimo (uscito per La Tempesta International): vero e proprio flusso sonoro ininterrotto la cui divisione in otto tracce è puramente funzionale (e sicuramente spaventa di meno l* ascoltator*), 72-hour post fight crea un’atmosfera sospesa in cui le varie anime del progetto si intersecano alla perfezione, la musica che ti aspetteresti di ascoltare in un lounge bar se in quel lounge bar suonassero dal vivo jazz su basi hip hop. La natura a dir poco ibrida del progetto si manifesta ulteriormente nell’album di remix che esce a distanza di pochi mesi sempre nel 2019, dove otto artist* internazionali “giocano” con le canzoni originali, modificandole ed espandendole (nelle mani di Ben Vince la traccia Death quadruplica la sua durata e assume un’aria sottilmente inquietante).

Non passa nemmeno un anno che i 72-Hour Post Fight, pur impegnati singolarmente in vari progetti, sfornano un nuovo Ep di due brani, NOT/UNGLUED, tracce che pur mantenendo l’atmosfera ariosa dell’esordio manifestano un interesse maggiore per la ritmicità, con la seconda in particolare che condensa stimoli su stimoli fra pianoforte malinconico, batteria asciutta, sax scatenato ed inserti elettronici essenziali. Entrambe le canzoni confluiscono in NON-BACKGROUND MUSIC (2022), un disco opposto e complementare al precedente (come affermano loro stessi in questa intervista): resta invariato il mix di generi che rendeva così affascinante l’esordio, ma rispetto all’album omonimo qui le tracce sono distaccate e prendono direzioni diverse in cui condensare ora il lato più prettamente hip hop (MEDITATION ON INSTAGRAM FEEDS, con un featuring del vocalist sudafricano di stanza a Stoccolma Kamohelo, e MADE OF CLAY, che nel 2023 “acquisisce” anche una voce grazie a Clauscalmo e F4), ora quello jazz (l’iniziale CANDLEFACE THEME), ora quello elettronico/downtempo (SMOKE CUTTER), senza mai perdere però quell’innata capacità di restare non incasellabili e soprattutto, come indica il gioco di parole insito nel titolo del disco, impossibili da percepire solamente come musica di sottofondo. In questi anni la band ha suonato in lungo e in largo per l’Italia, venendo invitata ad esempio per ben due volte al C2C di Torino, e leggendo quest’altra intervista in cui salta fuori la definizione “ragazzi punk che cercano di esprimere emozioni da adulti” mi aumenta il rimorso per essermeli persi nel novembre scorso: sono di Milano e avrò facilmente modo di recuperare (anche se nel frattempome li sono già ripersi, prima o poi imparerò dai miei errori), teneteli d’occhio anche voi.

CANDLEFACE THEME è la già citata traccia d’apertura di NON-BACKGROUND MUSIC, un brano che unisce l’atmosfera da jazz club ad una vena d’inquietudine data dalla base che opera in sottofondo. Nella solita/insolita maniera in cui opera il mio cervello la canzone è diventata il sottofondo perfetto di una storia in cui il protagonista, complice la cover del disco, è un uomo con una candela al posto della testa: se volete addentrarvi un po’ nella sua routine di vita non dovete fare altro che andare più in basso, subito dopo il brano che lo ha influenzato e che, ovviamente, vi consiglio di ascoltare mentre leggete. Ci sentiamo settimana prossima, buon ascolto e buona lettura.

Se volete ascoltare questo e tutti (o quasi) gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti).

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Cosa vuol dire bruciare delicatamente

Come tutti gli uomini candela, ad esclusione di quei pochi che non sono impiegati nel settore hospitality e intrattenimento, alla sera devo lavorare. Attacco intorno alle diciotto, un po’ più tardi nei mesi caldi, arrivo al locale mezz’ora prima e smezzo una sigaretta col mio collega mentre ci organizziamo: quali tavoli abbiamo, i turni sul palco, varie ed eventuali. Mi trovo bene con lui, più che col precedente. Quello si lamentava sempre, diceva che il nostro è un lavoro noioso che potrebbe fare anche uno scemo e che gli avrebbero dovuto dare altre mansioni. L’ho incontrato per strada, un giorno, mi ha detto che lavorava in fabbrica alla catena di montaggio: sembrava soddisfatto.

Il responsabile ci lascia gestire tutto in autonomia, perché di quello che dobbiamo fare ne capiamo più noi di lui ed è abbastanza in gamba da riconoscerlo. Illuminiamo la cena di alcune coppiette, raramente gruppi di amici, osserviamo i brindisi per qualche ricorrenza o promozione e poi, quando è il momento, ci alterniamo al fianco delle ballerine e dei comici. Ci piacciono più le prime dei secondi, sono molto meno esigenti anche se avrebbero più diritto ad esserlo.

All’una chiudiamo i battenti, ogni tanto rimaniamo a dare una mano con le pulizie. Non ci spetterebbe e nessuno ce lo chiede apertamente, ma delle buone relazioni si costruiscono anche così ed è sempre meglio costruirne, coi tempi che corrono. Sulla strada di casa accompagno il mio collega agli incontri, a volte mi fermo anche io e ascolto qualche storia, più raramente parlo.

Un paio di mesi fa c’era un tipo che raccontava di non riuscire a spegnersi da tre anni, aveva paura di non riaccendersi il mattino seguente. Ha provato a superarla con la terapia, con gli psicofarmaci, ora ci provava con gli incontri. Ha detto che sua moglie non si sentiva sicura a dormirgli accanto, lo accusava di mettere in pericolo sia lei che la figlia: lui ha iniziato a mettersi un paralume ma non è servito, ha detto, né con la paura né con la moglie. Dall’altra parte della sala una ragazza mi ha sorriso, quando ci siamo alzati tutti l’ho raggiunta vicino alla macchinetta del caffè e l’ho salutata. Che coglione eh, mi ha detto indicando con la testa il tipo che se ne stava ancora sulla sedia, la testa che continuava a bruciare e a bruciare. Io ho bevuto il mio caffè ancora bollente, le ho chiesto scusa e sono uscito. A casa ci ho messo un po’ prima di riuscire ad addormentarmi.

Non li ho più rivisti agli incontri, né lei né lui.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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