Mi è capitato di nuovo, ovvero di come l’inconscio collettivo mi ha donato un’idea e di come Andrea Betti l’ha sviluppata molto prima di me

Doverosa premessa (versione corta, quella lunga la trovate qui): nel 2020, “grazie” al tempo libero concessomi dalla pandemia, finisco una raccolta di racconti in cui è compreso Un antidoto alla precarietà, storia di un dipendente che lavora per un’azienda che resetta il suo cervello ogni volta che esce dal capannone in cui svolge le sue (forzatamente misteriose) mansioni; due anni dopo fa il suo debutto sugli schermi di Apple Tv+ la serie Scissione, in cui il protagonista lavora per un’azienda che scinde la mente dei suoi dipendenti in modo che non possano sapere che lavoro svolgono durante la giornata; io ovviamente non faccio causa a Steve Jobs (anche perché era già morto) né al creatore della serie Dan Erickson (che avrebbe giustamente obiettato “chi cazzo è questo qui?”), penso a quanto è bello l’inconscio collettivo che fa girare la stessa idea in parti diverse del globo e mi metto in paziente attesa (dura ancora oggi) che qualcuno pubblichi quel racconto e tutti quelli che gli fanno compagnia nell’ancora inedita raccolta.

Arriviamo a qualche mese fa, gennaio per la precisione. Approfittando del tempo libero concessomi dalla nascita di Gesù e del nuovo anno mi metto a sviluppare un’idea che ho in testa da anni, che ha assunto varie forme nel tempo e che è riassumibile in termini molto stringenti col concetto “se sapessi con certezza assoluta che dio non esiste, cosa faresti?” Ora sostituite “dio” con “una civiltà aliena molto più avanzata”, immaginate che il contatto fra le nostre civiltà non avvenga perché gli alieni giudicano che non ne valga la pena (cosa che ci tengono a rimarcare arrivando in un batter d’occhio e andandosene molto, mooolto, moooooooltoooo lentamente) e provate a pensare a quanta gente si deprimerebbe in seguito a questa esperienza. Poche? Molte? E cosa cambierebbe in seguito a questa mancata interazione, a questa manifesta prova che esiste una civiltà più avanzata e che noi non siamo all’altezza della loro attenzione?

Provo a sviluppare questo germe in forma di romanzo, incentrandolo sull* invitat* a una festa che si svolge dieci anni dopo il mancato contatto: la gente pensa a sbronzarsi e fumare, ma dai dialoghi fra le persone emergono piccoli dettagli di ciò che è successo allora e di cosa è cambiato nella società per quanto riguarda il rapporto col divino, col sesso e con la morte (anche con un tot di altre cose, ma queste sono le principali). Arrivato a una quarantina di pagine scrivo un post su Facebook per chiedere pareri riguardo all’idea, qualcuno si mette pure a leggere questo delirio e due diverse persone (due su neanche una decina, mica due su mille) mi citano un romanzo che assomiglia molto, a livello di idea generale, a quello che sto scrivendo io. Quel romanzo si chiama Una breve visita, lo ha scritto Andrea Betti, lo ha pubblicato la casa editrice Wojtek a fine 2022 ed è la storia di come il mondo cambia dopo che una civiltà aliena arriva, si fa un giretto turistico per il pianeta senza calcolarci di pezza e poi se ne va come se niente fosse. Che intendiamoci, è un’idea che in forma completamente diversa era già passata per la testa (e per le pagine) dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij nel loro seminale Picnic sul ciglio della strada (di cui vale la pena recuperare anche la liberissima trasposizione cinematografica Stalker di Andrej Tarkovskij), ma che nel libro di Betti assume inquietanti analogie con quello che è il retroterra della mia storia.

Dal libro di Kibernetes, quattrocento anni circa nel Dopo

Nel mondo immaginato da Betti ci sono un Prima e un Dopo, e l’evento da cui si inizia il nuovo conteggio degli anni è la comparsa dei Cilestrini, razza aliena umanoide apparsa al Polo Sud che per un fine settimana vaga sulla Terra ammirando (e deridendo) opere d’arte, fissandosi sui posacenere come se fossero molto importanti, facendo giri in bicicletta ed evitando qualsiasi comunicazione o contatto ad esclusione di ruggiti con cui spaventano e aprono le folle che gli si assiepano attorno. Questo strano contatto avviene cinque anni dopo l’apparizione della Fessura, un’incrinatura nel tessuto spazio temporale ai confini dell’Eliopausa al cui studio dedicherà tutta la vita il professor Gustav Amirani, uno dei vari personaggi che animano, in un continuo andirivieni temporali, Una breve visita, sorta di bizzarro compendio di eventi fondamentali di quel periodo storico stesi da un monaco dell’ordine dei Kibernetes a quattrocento anni di distanza. Se tutto questo vi pare complicato aggiungeteci una colf di origine amazzonica che è anche una sensitiva, un gruppo di “terroristi culturali” (il RAD) che predica un ritorno dell’umanità alla sua forma più animale, una piaga depressiva battezzata Panacedia che ha portato una fetta notevole della popolazione terrestre a suicidarsi e ha fatto sprofondare altr*, fra cui il giovane Marcus, in una profonda catatonia, due galleristi che parlano di correnti artistiche inusuali e poi movimenti fondamentalistici religiosi, un occhio di vetro, droghe assortite e scienza a profusione. Basta?

Andrea Betti, l’ho scoperto solo a posteriori (perché non sono attento), l’avevo già conosciuto tramite le pagine di La scommessa psichedelica (ne avevo parlato qui). Il suo saggio Perché un rinascimento non si faccia restaurazione è una lucidissima analisi sui pericoli che il rinascimento psichedelico possa essere sfruttato per atomizzare ancora di più la società, creando una popolazione in pace come le mucche invece di aprire le menti per trovare sé stessi e la propria connessione col cosmo (“Non è Gesù Cristo che sono andato a cercare dai Tarahumaras, ma me stesso, il signor Antonin Artaud”, usando una citazione contenuta nel saggio), il tutto in un discorso che mischia le proprie esperienze psichedeliche con l’utopia potenzialmente sfruttabile dal capitalismo esplorata in Come cambiare la tua mente di Michael Pollan e i discorsi sociali di Mark Fisher.

[…] sarebbe ben triste, in questo mondo già triste, che le sostanze sacre venissero impiegate solo per creare persone docili in comunione col cosmo, da metter sotto a lavorare instancabilmente per pochi soldi, felici nel farlo, senza le conseguenze dannose degli stimolanti come cocaina e anfetamine […]

Andrea Betti, Perché un rinascimento non si faccia restaurazione

Quanto detto sopra dovrebbe bastare a capire quali e quanti stimoli Betti lanci anche passando alla narrativa pura, tesa fra la science fiction ironica di un Douglas Adams (o, ancora meglio, il Terra! di Stefano Benni) e quella speculativa, che cerca di immaginare le conseguenze sul domani delle problematiche di oggi. L’avvento dei Cilestrini è l’escamotage per avviare una riflessione sull’umanità e la sua necessità di sentirsi al centro del mondo, sull’arte, su droghe e piante sacre (Marcus, sua sorella Guinevere e un loro amico soprannominato Sputter sembrano parecchio associabili alla cultura rave, mentre la colf Ajuricaba si rivelerà essere una sciamana) e sui limiti della tecnologia, senza dimenticarsi di costruire intorno a questa overdose di stimoli una trama intricata fatta di continui balzi avanti e indietro nel tempo, in cui i ricordi d’infanzia di un personaggio si mischiano con l’assalto agli Uffizi da parte dei RAD e del loro leader Hyeronimus e la spiegazione pseudoscientifica dei tentativi di contatto cosmico attraverso la Fessura tramite la sonda a correlazione quantistica Deutsh-Josza/Gagarin.

«Gagarin. Fu una scelta felice secondo lei questo nome, professor Amirani?»

«Per quel che me ne frega, secondo me, sì. Alcuni polemizzarono, rivendicando un connotato maschilista. Sonda è femminile, dicevano; allora il comitato propose: Tereshkova. Ma ci fu da ridire: obiettarono che, nonostante la parola “sonda” sia femminile, una sonda in sé non è una femmina, è un oggetto privo di genere e sesso, o tutt’al più lo si poteva ritenere un simulacro intersessuale; a quel punto altri ancora contestarono che una sonda è oggettivamente asessuata. Mah… a me andavano bene entrambi (sia il primo uomo, che la prima donna nello spazio). E tutto sommato, chissene! Per me è Josza. Chiacchiere evaporate da tempo. Le proiezioni ad oggi?»

«Se tutto andrà bene raggiungerà la Nube di Oort in poco più di cinque anni. Sfruttando il gravity-assist di Saturno, poi quello di Nettuno. Un doppio trasferimento Hohmann».

«Come con Cassini-Huygens. Ma questa volta dobbiamo raggiungere una velocità mai raggiunta prima senza sbagliare nulla».

«La disposizione dei corpi celesti rilevata dal telescopio orbitante Herschel, trova riscontro anche con lo Spektr-r».

«Mmh… queste percolazioni hanno un pattern di diffusione sui bordi che sembrerebbe promettente».

«Materia oscura?»

«No… pensavo, più al Nulla…».

«Il Nulla, dottore?»

Una breve visita

A tratti Una breve visita sembra pervaso dalla fantasia e dalla frenesia del Foster Wallace di Infinite Jest (da cui penso non a caso mutua una divisione per nomi specifici dei periodi storici: là gli anni colonizzati dal capitalismo, qui i secoli identificati con nomi come “acidificato” o “del Fullurene”), tanto nella varietà linguistica che nella capacità di portare avanti e far incrociare a tempo debito sottotrame diverse, strizzando però quella mole di suggestioni in uno spazio enormemente più breve. È forse questo l’unico difetto che si può imputare al libro di Betti: poco meno di duecento pagine sono uno spazio ristretto per far esplodere completamente tutta la carica che si sente vibrare nel testo, e sebbene ci si affezioni anche a personaggi accessori (Nicanor, il marito di Ajuricaba, c’è in massimo dieci pagine eppure ti si stampa in testa) resta la sensazione di una storia risolta in un universo che poteva essere approfondito di più. Penso che l’autore l’abbia fatto apposta, perché Una breve visita diverte, intrattiene e allo stesso tempo ti frulla il cervello, lasciandoti con più domande che risposte ed evidenziando in questo la sua anima da speculative fiction.

Un brand riconoscibile, potente, sintesi di valori e intenzioni. Anche se sei un iconoclasta non puoi farne a meno. La croce barrata dei Bad Religion, la DK stilizzata dei Dead Kannedy’s, la “A” azteca e teknusa di Aphex Twin. Il grip identitario è come un lazo lanciato con perizia da un vaccaro a cavallo, strizza il collo del capo di bestiame e lo riconduce alla mandria, all’insieme di sua pertinenza. Da sempre sventolano stendardi e loghi, marche e glifi. Ognuno di questi sintetizza la sua idea di mondo. Nell’esperienza bicentenaria del nichilismo (o così perlomeno abbiamo interpretato la vostra genealogia) i RAD non possono agire senza un segno di riconoscimento. C’è chi ancora vi liquida sbrigativamente come Black Bloc, ma i RAD non sono Black Bloc, giusto? Per quanto, secondo i nostri studi, molti di questi siano stati inquadrati nei vostri schieramenti. I RAD sono un fenomeno antropologico del tutto inedito come sostiene il Maestro Urmach, perché sistematicamente

[seguono grida]

Una breve visita

E fin qui ok, ma quella storia delle similitudini fra questo libro e quello che voglio scrivere io?

Sincronocità, madame

Come detto più in alto, l’idea di un mondo in cui gli alieni passano semplicemente a fare un giro (o, nel mio caso, saltano direttamente la fermata) non è una novità assoluta e può aver consciamente o inconsciamente influenzato sia me che Betti, ma le similitudini non si fermano qui.

  • Il Dopo immaginato in Una breve visita è piagato dalla già citata Panacedia, una depressione endemica che ha portato una fetta notevole della popolazione a suicidarsi in massa; nel mio romanzo viene suggerito, tramite gli eventi e i dialoghi della festa, che il suicidio sia diventato socialmente accettato e uno degli invitati è convinto, in orbita palesemente cospirazionista, che questa spinta al volerla fare finita sia causata dagli extraterrestri.
  • Il passaggio dei Cilestrini causa problemi strutturali, come onde radio nel caos e satelliti alla deriva, ma è il Trauma dell’Abbandono di Specie dovuto al loro vagare senza rapportarsi a noi a rimanere impresso e porta tanto alla depressione quanto alla formazione di movimenti sovversivi o pseudoreligiosi, il tutto in un mondo dove i governi e le grandi religioni si sgretolano; l’immagine delle astronavi extraterrestri che se ne vanno lentamente nel mio romanzo porta al contempo a un disimpegno totale di una parte della popolazione (seguendo il ragionamento “se non ci hanno cagato è perché non valiamo niente, perché impegnarsi a migliorare le cose?”) e ad un ampliamento dell’accettazione e dell’inclusività sociale dall’altro.
  • Le sostanze che alterano la percezione fanno spesso capolino in Una breve visita, e si riveleranno fondamentali in una parte dell’intricata trama; nel mio romanzo, pur non influenzando se non indirettamente gli eventi, la marijuana impregna la stragrande maggioranza delle pagine che ho scritto fino ad ora.

Basta questo a dire che io e Betti abbiamo scritto lo stesso libro? Ovviamente no, perché le divergenze sono maggiori delle assonanze sia per quanto riguarda lo stile che i temi trattati: basta però a farmi sorridere pensando agli scherzi del caso, che mi portano a sviluppare un’idea rimasta per anni in un angolo del mio cervello nello stesso periodo in cui un libro che parte da premesse molto simili è arrivato da poco sugli scaffali delle librerie. Nel periodo di sbornia post-marveliana che stiamo attraversando, in cui il multiverso è ovunque e vengono creati/abbandonati universi condivisi che uniscono di tutto (dall’abortito Dark Universe dei mostri storici Universal all’alleanza Godzilla/King Kong che ha appena partorito un nuovo capitolo cinematografico), sapessi minimamente come gestire una cosa del genere proporrei a Betti una finzione narrativa in cui i suoi Cilestrini e i miei extraterrestri (ancora) senza nome convivono nello stesso multiverso: chi ci mette i soldi per una saga?

«[…] ma in compenso ho letto alcuni suoi saggi, madame De Rivail. Mi hanno particolarmente impressionato quelli sulla rotazione consonantica occulta nelle risonanze vocali dei canti sciamanici della Siberia Occidentale. Illuminanti: il concetto di interferenza e risonanza – come immagina – sono il mio pane».

«La ringrazio, professore… fui ispirata da un viaggio alle isole Diomede; l’ultimo inverno prima della sospensione dei voli».

«Ma pensi: furono una delle mete prese in considerazione per costruire la fabbrica Deutsch/Josza».

«… e c’è chi le chiama ancora coincidenze!».

«Sincronicità, madame. Ma talvolta non sono sufficienti […]»

Una breve visita

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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