Progetta un sito come questo con WordPress.com
Crea il tuo sito

30 è il numero perfetto? I racconti sperimentali di Robert Coover

La sperimentazione mi ha sempre attratto, in qualsiasi ambito artistico. In letteratura negli anni ho cercato di capire quale senso trovasse James G. Ballard nel suo La mostra delle atrocità, mi sono perso nei deliri allucinogeni del Pasto Nudo di William S. Burroughs, ho cercato di visualizzare i brevi flash di cui è composto Anversa di Roberto Bolaño come fossero immagini di un film di David Lynch e ho sinceramente odiato (o quasi) tutte le novecentosessantasei pagine de L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon. Nonostante in qualche caso la lettura sia stata più un supplizio che un piacere non ho mai smesso di cercare nuove forme di narrazione: dopotutto sono arrivato ad adorare David Foster Wallace partendo prevenutissimo con Infinite Jest (chicca per i fan, visto che l’associazione musica-letteratura qui è di casa: andate a vedervi questo video dei Decemberists, lo adorerete), segno che la fiducia nella parola scritta è cosa buona e giusta.

Quando ho trovato in libreria La babysitter e altre storie, edito da NN Editore, non conoscevo affatto Robert Coover, ma la prefazione di Luca Pantarotto è bastata per decidere di avventurarmi nel suo mondo. Non capirne appieno le coordinate mi ha attratto, una curiosità “professionale” verso ogni modo di declinare la forma racconto e la fiducia nella casa editrice hanno fatto il resto.

Come ne sono uscito? Estasiato ed esausto, in realtà.

Nei trenta racconti della raccolta (affidati ognuno a un traduttore differente) Robert Coover dà prova di essere uno sperimentatore nato, caratteristica che nei più di cinquant’anni di carriera qui condensati è rimasta sempre fra le sue priorità. Ogni racconto ha delle particolarità di trama o di forma, se non di entrambe, che lo rende in qualche modo unico. Già alla partenza, con la rilettura biblica de Il fratello, Coover si lancia in una prosa senza pause che ho divorato senza capire, se non strada facendo, dove esattamente volesse andare a parare. Era il 1962, e per quanto sappia poco dell’editoria di quegli anni posso solo immaginare quanto fosse inconsueto uscirsene con un racconto del genere.

“…e io dico a mio fratello «senti bello guarda che io ho un sacco di roba da fare questa stupidaggine la devi finire da solo io sai che vorrei aiutarti in ogni modo» e lui guarda altrove e dice «il tuo lavoro non ha importanza» e io «col cavolo che non ha importanza secondo te io e mia moglie poi cosa mangiamo voglio dire da dove credi venga la roba che ti spazzoli? mica puoi mangiarti questa stupida nave pronta a marcire sotto un sole micidiale» e lui fa un lungo sospiro e dice «no è che davvero non ha importanza» e si siede su un sasso con un’aria come stanca e guarda lontano sembra persino stia per mettersi a piangere dio santo…”

Un fratello

Il citazionismo è di casa, tra fiabe osservate da punti di vista diversi (La casa di marzapane, Variazioni su Riccioli d’oro e uno dei miei preferiti, Il ritorno dei bambini oscuri), universi cinematografici rivisitati (You must remember this, Cappello a cilindro) e incursioni nel mondo dei fumetti (L’uomo invisibile, Cartoni animati, L’uomo stecchino). Coover però non si limita a questo, esplorando modi di narrare che coinvolgono direttamente l’autore come elemento della storia: è il caso del racconto L’attizzatoio magico, in cui il controllo che il deus ex machina ha della sua storia sembra sempre in bilico, o de Il rabberciatore, prosa libera e quasi poetica su un’entità che, per citare la prefazione, “convinta di aver creato la mente, si rende conto troppo tardi di aver invece inventato l’amore”.

“Il pifferaio aveva infuso nella comunità un terrore di tutta la musica, che fu bandita per decreto in perpetuo. Tutti gli strumenti musicali erano stati distrutti. Canticchiare in pubblico era un reato punibile con il carcere e i bambini, che non le prendevano quasi mai, venivano sculacciati per questo. Ancora una volta, dipendeva dai bambini che se n’erano andati e dalla maniera ingrata e raggelante con cui se n’erano andati: non si erano nemmeno voltati.”

Il ritorno dei bambini oscuri

Se la vena creativa di Coover è da applausi, e lascio ai temerari scoprire quali altre invenzioni si nascondono nei restanti racconti, ho trovato però nelle pagine della raccolta poca emozione. In maniera simile a quanto mi è capitato con altri autori (penso al racconto Click di John Barth, contenuto nella raccolta La vita è un’altra storia edito da Minimum Fax, ma anche al Foster Wallace de La persona depressa in Brevi interviste per uomini schifosi) nei racconti de La babysitter e altre storie ho intravisto più una passione per l’esperimento in sé che per il coinvolgimento del lettore. Il racconto Il fantasma del palazzo del cinema, col suo confuso affastellarsi di visioni sovrapposte, mi sembra esplicativo di questo sguardo autocompiaciuto: un cinema abbandonato in cui lo sperduto custode si ritrova vittima delle stesse proiezioni a cui ha votato la sua vita, universo affine alla trilogia del Drive-in di Lansdale ma con molta più anarchia e in cui finisce per latitare, causa sovrabbondanza, la tensione.

“Annaspa contro l’alta marea di luce sfolgorante, che gli piomba addosso dalla cabina di proiezione, animata da ombre guizzanti, urtando il suo corpo come un fascio di raggi gamma. «Non mi serve la lancia, è solo un leoncino!» tuona una voce attraverso la cupola, una bomba fischia e alle sue spalle c’è un fragore come di un enorme specchio che cade. «Attenzione. È…aaarggghhh!». «Mi perdoni, signora». «Per tutti i diavoli, che cos’è quella roba?». «Passione che arde in tempi pericolosi e…». «Non vorrai dire che…?!». Il clamore si intensifica – «Quale terribile verità?» – e i suoi movimenti si complicano come in un sogno.”

Il fantasma del palazzo del cinema

La lettura di questa raccolta di racconti non è da affrontare a cuor leggero, e di sicuro non consiglierei il libro a chi cerca qualcosa di rilassante prima di andare a dormire. Sviscerare i mondi di Coover richiede impegno, e un plauso va a tutti i traduttori che hanno affrontato la sfida di rendere al meglio l’originale inglese nella nostra lingua. Una lettura ideale per chi non ha paura di scoprire qualcosa di nuovo e per chi scrive, e un buon modo per farsi un’idea di quanto può essere multiforme il mondo della narrazione.

Racconti preferiti: Il fratello, Il trucco del cappello, Il ritorno dei bambini oscuri, Farsi una birra, Variazioni su Riccioli d’oro.

Ti è piaciuto questo racconto/articolo? Segui la pagina Facebook di Tremila Battute!

Pubblicità

Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

Una opinione su "30 è il numero perfetto? I racconti sperimentali di Robert Coover"

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: