Ferm* tutt*, è uscito il nuovo album de iFasti

iFasti li ho conosciuti in un periodo molto strano della nostra vita: il lockdown. Avevo da poco aperto il blog (e stavo già capendo che sarebbe diventato solo una “aspirante” rivista letteraria), neanche tre mesi, e la band torinese era la prima che scoprivo e di cui capivo chiaramente che per vederla dal vivo ci sarebbe voluto tempo, molto tempo. Troppo tempo in realtà visto che a tutt’oggi ancora non ci sono riuscito, il che spiega, insieme all’apprezzamento per il precedente disco Tutorial (di cui potete leggere la recensione qui), quanto fossi ansioso di ascoltare qualcosa di nuovo. L’attesa è finita ed è arrivato Oltre, fresco fresco di uscita per I Dischi Del Minollo e Scatti Vorticosi Records.

È un disco di cui avrei fatto meglio a parlare ieri, 25 aprile, perché iFasti sono un gruppo fieramente politico in un periodo in cui non è più così normale esserlo in maniera un po’ più profonda di un Fabri Fibra, che ripubblica una versione aggiornata della sua In Italia che scommetto non cambierà la visione delle cose di nessuno come non ha fatto la prima volta. Se siete stat* ad una manifestazione in una grande città ieri (e magari, lo spero, era così anche nelle piccole città) nel corteo ci saranno stati dei carri che sparavano musica e, in certi casi, discorsi: avete fatto caso all’età delle canzoni? Quando Rocco Brancucci, voce recitante della band, esclama in 100 fiori che a Genova nel 2001 “ci avete picchiati, ci avete derubati di quel futuro che oggi è poi il presente” dice una verità che è (anche) emblematica della situazione della musica impegnata, uscita dalle televisioni e dalle radio, relegata al solo panorama indipendente dove vive alterne fortune. Avrebbero dovuto uscire anche loro dalle casse, come avrebbero dovuto uscirne i Vintage Violence o gli Il Buio e tant* altr* artist* di cui ho parlato qui o che ho solo ascoltato in questi ultimi anni (e spero che in qualche corteo e in qualche carro sia stato così), arrivare a più orecchie possibili come una volta capitava ai 99 Posse, invece viviamo un disimpegno, musicale e non solo (e io non ne sono esente, che il mio contributo alla causa si limita perlopiù a qualche tirata su questo blog e della beneficenza fatta comodamente dal divano di casa).

Ma non voglio precorrere i tempi, e se col precedente album ho iniziato parlando dei testi qui preferisco farlo partendo dalla musica e spiegando (anche) cos’è cambiato dal 2020 a oggi.

Ma quanto è bella la cover?

Oltre è probabilmente il disco più omogeneo de iFasti, e il più post-rock. Se si eliminasse la voce dall’equazione questo sarebbe più evidente: mai come in questo disco i due bassi (soprattutto) e la chitarra creano incastri continui, giri armonici protratti a lungo che in un album di genere si sarebbero prolungati per minuti e minuti e che invece la band, ancorata a una struttura perlopiù standard di strofe e ritornelli, sfrutta per il tempo necessario a creare l’atmosfera senza fare in modo che l’atmosfera sia tutto. Questo approccio sulle prime è frustrante, si percepisce che potrebbe esserci un mondo dai confini più ampi dietro quelle note e non dargli libero sfogo tende a rendere l’esperienza sonora più omologata, che si traduce anche in uno spazio della componente elettronica molto minore: poi si cominciano ad apprezzare le sfumature, le piccole differenze, la vena abrasiva della già citata 100 fiori o il beat sincopato di Giada, emerge il lavoro della batteria elettronica e la curva di soddisfazione sale, i brani iniziano a girarti in testa. Oltre ti prende piano piano, in maniera avvolgente, ha meno picchi fantasiosi di Tutorial (che, almeno da questi primi ascolti, continuo a preferire sul fronte prettamente musicale) anche perché cerca di fare qualcosa di diverso, più coeso e “morbido” alla sua maniera. Rinnoverò il paragone con gli Offlaga Disco Pax fatto quattro anni fa affermando che se Tutorial era il loro Bachelite, Oltre è il loro Gioco di società: può piacervi più uno dell’altro, ma è una motivazione più di gusto che di qualità visto che quest’ultima rimane sempre alta.

“E povera umanità che paga rate per costruire e comprare divani migliori”

Anche i testi hanno subito un’evoluzione, contraria però a quella della musica. Ai toni più calmi degli strumenti la voce monocorde (e non per questo meno efficace, anzi) di Brancucci affianca versi ancora più affilati, scomodi, diretti ma al contempo aperti a più livelli di lettura. Le piazze di spaccio in cui “con una birra in mano ho giocato anche al superenalotto” contrapposte al posto di lavoro dove alle lamentele segue l’arrivo del “vigilante che mi picchia sulle gambe” (Claudia) approfondiscono in poche frasi il problema della tossicodipendenza oltre i confini della responsabilità del singolo e portandolo su quello sociale (“preferisce eccitarsi oppure addormentarsi, che avere a che fare con questa platea di ipocriti matti”), la prima frase di 100 fiori rinnova l’annosa questione della pace fatta con le bombe, l’immagine del paese (non esplicitato) con la cannabis legale e il salario minimo aumentato del duecentocinquanta per cento in José ci costringono a ragionare meglio sul confine fra realtà e utopia.

Nella giornata di ieri e in qualunque 25 aprile le frasi delle canzoni di Oltre potrebbero e dovrebbero risuonare perché iFasti sono capaci sia di far ragionare che di creare slogan ad effetto, a volte più semplici di quanto la realtà non sia ma che servono a creare una frattura: puoi essere a favore o contro, non neutrale. “Non siamo venuti al mondo solo per svilupparci economicamente, ma per cercare di essere felici” (José), “Guidiamo come matti per portare caramelle nei centri commerciali” (Felici e salvi, che sarebbe perfetta anche nel corteo del primo maggio), “Ti piace ancora l’idea di una donna che sia una buona madre, che consegni a suo figlio un moschetto per la patria, per l’onore, senza piagnucolare” (Giada), parole perentorie che mostrano problemi che forse è troppo semplicistico risolvere augurandosi che “il sistema dovrebbe cadere di schianto” (l’ultima crisi bancaria ci ha dimostrato che a farne le spese non sono comunque i ricchi, ma è anche vero che quelle conseguenze sono frutto di un sistema che non è crollato veramente), ma contro cui bisogna prendere posizione in maniera netta, con un approccio simile ma non uguale a quello dei fascisti (pardon, dei “non anti-fascisti”) al governo che cercano di limitare col gioco delle tre carte il diritto all’aborto e pensano all’improvviso che uno dei problemi principali del paese siano le manifestazioni nelle università.

Ieri un cartello recitava “tax the rich”, forse dovremmo partire da lì e cominciare a lavorare per un mondo in cui essere come José, che “vive con ottocento dollari al mese e gli altri li dona”, magari facendosi due domande sull’impatto ecologico della sua maggiolino dell’ottantasette ma senza dimenticarsi delle mille altre fonti inquinanti che al potere fa comodo nascondere dietro il paravento della responsabilità soggettiva. Ascoltiamo Oltre, pensiamo, agiamo.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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