Racconto in musica 167: Condivisione (Il Buio – Prima noi)

Mentre scrivo queste righe sono a Fà la cosa giusta, la fiera del consumo etico e degli stili di vita sostenibili che si svolge a Mi.Co., la vecchia zona fieristica milanese. Sono venuto qui a trovare la mia compagna, che lavora per una fondazione che promuove la parità di genere (e quindi, in maniera inscindibile, anche il contrasto alla violenza di genere) tramite attività sul territorio e formazione aziendale, ma anche perché la sostenibilità è un tema a cui sono molto sensibile. Questa sera andrò al centro sociale Cox 18 alla festa di compleanno dell’etichetta To Lose La Track. Poteste vedermi in questo momento avreste l’impressione, probabilmente, di un mezzo hippy vestito da capo a piedi con abiti etnici, consapevole dalla punta dei piedi ai capelli di tutte le problematiche e disparità in giro per il mondo.

Ecco, non è così.

O almeno, non è esattamente così. Faccio del mio meglio, ma il mio meglio non è questo granché. Detto che ogni gesto utile è lodevole, pena finire in una narrazione che ci toglie la voglia di agire positivamente in qualsiasi contesto (come mi ha insegnato Elena Granata nel suo libro Biodivercity), quanto detto nel primo paragrafo mostra un’immagine di me edulcorata e ben lontana della realtà. Per dire: ieri (che per voi che leggerete è l’altroieri, giusto per complicare le cose) ho mangiato una quantità di sushi che non farà la felicità della fauna ittica ed è lontano dal consumo sostenibile di pesce. Per dire: abito a metà strada fra un centro sociale (Il cantiere) e Citylife, e sono stato un sacco di volte in più nel centro commerciale vicino a casa di Chiara Ferragni e Salvatore Aranzulla. Per dire: il mio attivismo si limita fondamentalmente a questo blog e alle donazioni mensili a qualche onlus, tutte cose che posso fare senza sporcarmi le mani di persona per una qualsiasi causa. Non sono la persona peggiore del mondo, ma ho grande stima di chiunque per una causa ci mette faccia, voce, corpo e tempo e verso di loro provo gratitudine e una legittima e sacrosanta sindrome dell’impostore: tutto questo per dire che, sebbene non li conosca personalmente, gli Il Buio lottano e resistono in una maniera da cui io sono distante anni luce.

La band composta da Emiliano Fassina (chitarra), Francesco Cattelan (voce), Andrea Grigolato (chitarra), Piero Pederzolli (batteria) e Alberto Zòrdan (basso) l’ho conosciuta grazie a una delle serate di Tutto il nostro sangue, organizzate al Bloom di Mezzago da Andrea Pezzotta dei Requiem for Paola P., ed è bastato un niente ad innamorarmi della loro carica urticante e dei loro testi intelligenti ed impegnati. Originari di Thiene in provincia di Vicenza, si formano a cavallo fra il 2008 e il 2009 e già nel 2010 pubblicano il primo Ep omonimo (e autoprodotto) di cinque brani: Il buio esplicita già il legame fra testi impegnati ed elaborati con una musica che coniuga velocità e profondità, impronta hardcore che si apre a incroci fra gli strumenti (che a me fanno pensare sempre agli At The Drive-In, ma ognuno ha i propri riferimenti) e, nell’ultima canzone C’è mancato un pelo, Georg Elser (Elser è colui che, nel 1939, ideò l’attentato a Hitler in una birreria di Monaco, fallito per pochi minuti), si aprono anche a una lunga coda strumentale malinconica. Questo loro lato, pur rimanendo entro limiti diversi dalla traccia conclusiva dell’Ep (lunga oltre otto minuti), viene ulteriormente esplorato nel primo disco ufficiale della band, L’oceano quieto. Autoprodotto nel 2013 con la propria Autunno Dischi (che partorirà di lì a breve anche Ramadama degli actionmen), L’oceano buio è un disco più sfaccettato in cui la voce emerge con tutte le sue qualità, urlando ancora il proprio dissenso ma aprendosi a toni più intimi perché, come dicono loro stessi in questa intervista di Michele “V4V Records” Montagano, “a volte si può risultare molto più violenti sussurrando una frase piuttosto che urlandola a squarciagola”. Nel primo disco (anticipato da un sette pollici pubblicato dall’etichetta CORPOC, in cui oltre al proprio brano Via della realtà, 7 coverizzano Inno generazionale di noi sfigati dell’amico bergamasco Caso) mostrano le divisioni nella società contemporanea ma partendo dall’individuo, perché se è vero che la colpevolizzazione del singolo è il modo in cui il sistema cerca di dividerci è altrettanto vero che, una volta presa coscienza di questo, restare fermi a guardare è una scelta e non una costrizione: possiamo far parte dei manifestanti o del “plotone d’esecuzione istruito con poco pane e troppa televisione” che sta dall’altra parte dello schermo (Da che parte state), possiamo essere uno dei mille Mario che ogni mese cambia cellulare e magari finisce per morire in fabbrica (Marionette), a noi la scelta.

Due anni dopo la band fa uscire il sette pollici Tre passi / Gregory Peck, poi un lungo silenzio di quattro anni che porta, nel 2019, alla pubblicazione sotto Black Candy di La città appesa. Il mix di riflessione ed energia è ulteriormente affinato in otto tracce che passano dalle rasoiate di Prima noi alle mutazioni sonore di Una coperta scura, sette minuti in cui la band illustra e approfondisce il concetto per cui “la storia è sempre una guerra alla memoria” e “le tragedie che viviamo sono lo scarto di un calcolo di consenso e contabilità”: su tutto il rapporto con una città generica in cui ognuno di noi può rivedere le storture della propria (nell’intervista linkata sopra lamentavano, già nel 2013, la distruzione sistematica in provincia di Vicenza di ogni parvenza culturale legata alla musica da parte del governo ventennale della Lega Nord), perché “una città che non sa accogliere non sa cambiare / rigenera i propri mostri e li lascia invecchiare” (La città appesa). A oggi non sono usciti nuovi dischi de Il Buio ma la band continua a lottare e resistere con noi: vi invitiamo a cercarli sui loro profili social per sapere quando verranno dalle vostre parti a scardinare le orecchie e stimolare le menti.

Ascoltando mentre andavo a lavorare Prima noi, la seconda traccia di La città appesa e la canzone che più mi si era impressa in testa dopo il loro live, ho fatto una di quelle classiche coniugazioni di idee storte che mi hanno portato a chiedermi: e se i fascisti venissero trattati come una specie in via d’estinzione, da proteggere e tutelare? Sono partito da lì per coniugare in tremila battute racconti di ultrà della Pro Patria che irrompono ai concerti punk per fare rissa, un pizzico di surreale e mille domande inespresse su dove sarei io nella scena che descrivo. Fra la folla che guarda male i frequentatori del Centro Integrato? Fra i più deboli che vogliono sentirsi forti e reagiscono ai soprusi? Non certo fra i fascisti, ma temo che resterei a guardare, indignandomi comodamente sotto le lenzuola. Pensate anche voi in quale parte vi ritrovereste, leggendo il racconto subito dopo la canzone che lo ha ispirato: a me non resta che augurarvi buon ascolto e buona lettura.

Se volete ascoltare questo e tutti (o quasi) gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti).

Scarica il numero Zero e il numero Uno della fanzine di Tremila Battute!

Condivisione

Sono proprio come dicono. Io finora li avevo visti da lontano, da soli o in piccoli gruppetti, ma sabato ero al Centro Integrato e mentre c’era questa band che suonava ne è arrivato un branco ben nutrito.

Sembrano più grossi quando sono in tanti, dovresti vederli! Hanno cominciato subito a fare brutto e ad alcuni sono spuntati perfino attributi sessuali sulla fronte, il petto o i bicipiti. Hanno puntato delle prede fra quelli che non erano in mezzo al pogo, non i più deboli ma quelli fra i più deboli che volevano sentirsi forti. Sono meno stupidi di quanto possa sembrare, li ho visti mentre si avvicinavano: usano questa tattica di dare fastidio alle persone innocue, cercando la reazione e lo scontro, poi iniziano a martellare e cazzo, è Davide contro Golia ma ancora più falsato perché lo sai, al Centro Integrato le pietre non possono mica entrare.

Ovviamente è arrivata subito la polizia. Ci han fatto uscire fuori e si era radunata già una folla che berciava e sputava insulti, e ce l’aveva più con noi che con loro. Mica ho capito bene il perché, mi sa che è per questa storia che i fasci sono una minoranza da preservare, che non ne rimangono molti e vanno protetti, anche se in giro ne vedo sempre di più e sto discorso mica lo fanno, che so, con le zanzare. Sta di fatto che ne portano via un po’ per metterli in quelle riserve speciali con le gabbie, pochi però, e ne portano via molti di più dei nostri: non i più deboli, ma quelli fra i più deboli che volevano vendetta, urlavano di fare giustizia. Mi han detto che capita spesso e che per loro la rieducazione dura di più, perché i fasci tornano in strada molto più velocemente di quelli che stanno al Centro Integrato.

Io? No, a me non mi hanno toccato. Me ne stavo bene in disparte, che un conto è divertirsi insieme e un altro è finire a fare a botte. Anche la polizia l’ha capito che non c’entravo niente, e meno male che se no mi toccava chiamare Tusaichi e farci una figura di merda, che mica vuole che frequento certi posti. Ti dico, ci son rimasto di merda e non mi è piaciuto per un cazzo quello che è successo, ma ho ringraziato davvero di avere un letto comodo in cui tornare. Il giorno dopo ho messo il like a un post che denunciava il rastrellamento, magari nei prossimi giorni lo condivido anche.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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