Racconto in musica 206: La città verrà distrutta (Fuyumeku – Gabbiani)

E siamo ancora qua a parlare di musica strumentale. Eh già, come direbbe il buon (buon?) Vasco Rossi. Potrei farmi delle domande sul target di Tremila Battute, quali sono i gusti musicali di chi segue assiduamente questo piccolo blog/aspirante rivista letteraria, ma lo faccio già nell’introduzione al nuovo numero cartaceo (sta arrivando, e lo porteremo in anteprima a Firenze RiVista. Sì, ci torniamo, e sempre con l’ottima compagnia di piédimosca allo stand): diciamo solo che non mi aspetto che l* appassionat* di post-rock, post-metal, stoner psichedelico e qualunque altro genere che non prevede la voce come strumento abbiano questo sito come punto di riferimento, ma quanto possa dar fastidio che io invece, da appassionato, la musica strumentale ce la ficchi dentro spesso e volentieri (anche se non succedeva da un po’) non lo so. Reagite dicendo NOOOOO ANCORAAAAAA???? Reagite positivamente e vi andate ad ascoltare i nostri suggerimenti? C’è qualcun* che segue stabilmente questo blog perché spacciamo buona musica e non per pietà? Quante domande destinate a rimanere senza risposta, e che ovviamente non c’entrano se non marginalmente con i Fuyumeku, ovvero la resident band della settimana.

Ci sono band che scopri per suggerimento, tramite recensioni, per ascolto casuale o perché vieni a sapere che fanno più o meno quel tal genere che dopotutto ti interessa e dici dai, un ascolto glielo do. E poi ci sono quelle che ti capitano fra capo e collo mentre vai a vedere un altro concerto (nello specifico quello dei NYOS), tipo il duo basso-batteria composto da Riccardo Sberviglieri e Marco Zaccagni, che con diverso nome (Drops) incrociai live in quel bellissimo posto che avrò consigliato non so quante volte che è il Circolo Gagarin di Busto Arsizio (dove potete trovare Zaccagni anche al bancone, visto che del circolo fa parte). Ribattezzatesi più tardi come Fuyumeku (termine giapponese il cui significato è “sentire l’inverno che arriva”), iniziano a far musica nel 2020 dopo altre esperienze in comune portate avanti fin dal liceo, e quando arrivano ad esibirsi al Gagarin nel 2022 mi fanno esclamare “ma questi sono i Russian Circles“, il che può sembrare galvanizzante o sminuente a seconda delle orecchie che ascoltano l’esclamazione. Perché sì, le somiglianze sono evidenti, ma con una chitarra mancante quel tipo di atmosfere finisci a declinarle per forza in una maniera più personale, e i due lo dimostrano ampiamente nel loro primo disco omonimo, uscito a settembre 2024 per Vina Records.

Le similitudini col trio strumentale di Chicago stanno più che altro nelle atmosfere e in certi tipi di suono, le ravvisi nel modo di caricare che ha il riff di basso a metà di Gabbiani prima che torni la batteria a dargli man forte, nella morbidezza malinconica e cangiante di From desert, ma alla chitarra in meno nell’organico i Fuyumeku pongono rimedio con un uso intelligente ed efficace della loop station da parte di Sberviglieri, che il suo basso lo fa suonare come vuole, il che li porta giocoforza a concentrarsi sugli arrangiamenti più che sulla capacità di improvvisazione. I brani del duo sono un gioco di incastri, momenti di ascesa ininterrotta come l’iniziale Intro o condimenti sonori in continua mutazione sul giro di basso ossessivo (ma non cupo, anzi) e molto post punk di Preferita, a cui si affiancano momenti più psichedelici (i nove minuti di Elementi, in cui non mancano attimi di serrata ruvidezza) o di ariosa malinconia (Via Lattea). Otto brani che magari non fanno dell’innovazione la loro forza, ma che dimostrano quanto il duo sappia utilizzare i ferri del mestiere per creare qualcosa che ha una sua personalità: sono giovani, faranno di sicuro anche di meglio.

Gabbiani è la terza traccia del disco d’esordio (nonché quella che mi colpì di più già live tre anni orsono, come riscopro dalle pessime Instagram stories che faccio col mio smartphone scrauso), un brano animato da una batteria nervosa e varie linee di basso che in parte smorzano la tensione coi riverberi e più spesso la accentuano, facendo scivolare l’ascoltatore in un gorgo sonoro dove la luce entra solo a tratti. I gabbiani del titolo mi hanno ispirato un racconto che fa tesoro (spero) della lezione del magnifico film Take shelter, mostrando le inquietudini di un protagonista che osserva inerme le evoluzioni di uno stormo senza capire se considerarlo un presagio o un’allucinazione. Trovate il racconto subito dopo il brano che lo ha ispirato, vi auguro buon ascolto, buona lettura e, dovessi farmi prendere dalla pigrizia, anche buone vacanze estive per chi il capitalismo lascerà libero di farle.

Se volete ascoltare questo e tutti (o quasi) gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero l* artist* accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti).

Scarica il numero Zero, il numero Uno e il numero Due della fanzine di Tremila Battute!

La città verrà distrutta

Era uno spettacolo che lo lasciava estasiato, almeno finché non pensava al suo significato. Gabbiani, centinaia di gabbiani, forse migliaia, che volavano insieme compiendo evoluzioni e picchiate sulla superficie del mare. All’inizio erano solo una macchia indistinta all’orizzonte, una nuvola dalla forma mai vista. In quel momento avrebbe potuto ancora chiedere a qualcuno se riuscisse a vederla senza creare allarme, ma nell’ultimo mese quell’enorme stormo si era avvicinato sempre più a riva, le figure al suo interno finalmente riconoscibili. Volavano compiendo strane geometrie, una danza ogni giorno diversa. Era uno spettacolo che lasciava senza fiato. Presto aveva cominciato a terrorizzarlo.

Giornali e televisioni non ne parlavano. Nei bar che frequentava si parlava del caldo e delle amichevoli del calcio estivo. Sulle spiagge gremite le persone guardavano l’orizzonte senza notare nulla di strano, continuando a fare il bagno, a prendere il sole e a giocare a racchettoni come ogni estate. Sembrava che solo lui vedesse quel fenomeno, o che fosse l’unico a farci caso. Era sicuro che niente del genere fosse mai successo, ma cosa era meglio credere? Che fosse impazzito, o che fosse stato incredibilmente distratto per tutti i venticinque anni della sua vita?

Avrebbe voluto chiedere a qualche amico, ottenere una conferma o una smentita, ma continuava a rimandare. C’erano piccole cose successe negli anni che facevano di lui un elemento bizzarro: quel periodo in cui abbracciava gli alberi, il mese trascorso da solo nei boschi, stranezze che lo rendevano simpatico ma, lo sapeva, a un passo dal sembrare pericoloso. Un enorme stormo immaginario nei cieli cosa avrebbe fatto di lui, un messaggero o uno psicopatico? Lo capivano che c’era qualcosa che non andava, chiedevano spesso e lui sminuiva tirando in ballo l’amore, una ragazza con cui aveva avuto una storia brevissima e che ora usciva altrove. Lo stormo, intanto, continuava ad avvicinarsi.

Una mattina si svegliò ed era tutto cambiato. La città era in frantumi, centinaia di edifici crollati, sulle strade migliaia di piccoli buchi che entravano in profondità nel terreno e ne minavano la stabilità. Le persone urlavano e piangevano, c’era chi correva a dare una mano e chi vagava senza scopo, lo sguardo perso nel vuoto. Non riusciva a capire cosa fosse successo, la rete elettrica era saltata e nessuno aveva tempo per rispondere alle domande che poneva, mentre altre affollavano la sua mente. Avrei potuto fare qualcosa? Io sapevo, ma sapevo che cosa?

In spiaggia i servizi di soccorso avevano montato delle tende di emergenza. Sulla sabbia si aprivano crateri non più grandi di un pallone da calcio. Il cielo era limpido, niente all’orizzonte per chilometri. Avrebbe voluto confessare che era stato avvisato, ma che razza di avvertimento era? Dove erano finiti tutti i gabbiani? Perché erano stati attaccati, perché non avevano potuto prepararsi?

Forse non è vero, pensava. Forse non è vero, sperava.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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