Il giusto ordine: Ventre dei Palmer Generator

A 44 anni forse è il caso di ammettere che sto cominciando a invecchiare. Uno dei primi sintomi, che io sappia, è la refrattarietà ai cambiamenti tecnologici, ma se vado indietro con la memoria mi accorgo che, quando c’era qualche problema ai primi PC che abbiamo comprato io e mio fratello, lui era quello che si sbatteva per risolverli e io invece speravo in un intervento divino e mi adattavo (motivo per il quale il portatile su cui scrivo va alla stessa velocità dei bradipi appesi a testa in giù su un ramo). Che io stia invecchiando o meno è sicuro che la tecnologia è qualcosa che sfrutto senza farmi troppi patemi d’animo, faccio finta di capire come funziona e continuo a sperare in dio: ecco perché, quando mi arriva qualche link di dischi in anteprima su Soundcloud dai promoter, io li ascolto in ordine rigorosamente casuale, ignorando se esista un’app di Soundcloud che permetta di ascoltarli come sono stati pensati. Mi è capitato anche coi Palmer Generator, ascoltati in macchina (madre perdoname por mi ascolti lochi) con ben poca possibilità di decidere l’ordine salvo rischiare una multa da Salvini in persona, ma quando ho sentito nell’ordine giusto Ventre, il loro quarto disco coprodotto con l’etichetta Bloody Sound Fucktory, mi si è palesata alle orecchie un’esperienza completamente diversa.

I Palmer Generator sono quella che potremmo definire una “azienda famigliare”: Michele Palmieri (basso), Mattia Palmieri (batteria) e Tommaso Palmieri (chitarra) sono infatti rispettivamente padre, figlio e zio, una configurazione che porta solitamente a formare una cover band con cui divertirsi in sala prove e magari in qualche pub di fronte agli amici, ma che nel loro caso vira invece verso un incrocio di post-hardcore, psichedelia e attitudine math appena accennata. Nel comunicato stampa si fa un accenno agli Slint fra le influenze, e proprio la band dal successo più improbabile della storia sembra essere una stella polare verso cui tendere per la famiglia Palmieri, parzialmente a livello sonoro ma soprattutto a livello atmosferico.

Diversamente (anche se fino a un certo punto) dalla formazione di Louisville i Palmer Generator non hanno una voce. Tutto ciò che intendono esprimere arriva attraverso il basso sferragliante di Michele, la batteria minimale e fantasiosa di Mattia e la chitarra ossessiva di Tommaso, un power trio atipico che nella traccia d’apertura, Ventre I, fa una breve introduzione delle atmosfere in cui ci si ritroverà immersi di lì in avanti: un sound fatto di ripetizioni ossessive, pause oniriche, tutto avvolto da una cappa di rabbia soffocata, energico nella sua impossibilità costitutiva a sfogarsi fino in fondo. Ventre I è la traccia più concisa e tirata del disco, eppure mette già in chiaro che il mondo sonoro dei Palmer Generator è intriso di disillusione, la stessa che rendeva Spiderland degli Slint un ascolto così straniante e immersivo.

Basta ascoltare i primi minuti di Ventre II per ritrovarsi immersi in questo magma di staticità oppressiva, il basso fattosi più rotondo a tirare le fila del discorso fino a che un’improvvisa apertura solare non ci fa intravedere una speranza che il riff ossessivo della chitarra spegne subito dopo, riportando il sound in territori più cupi. La seconda traccia del disco è un saliscendi fra nebbie brumose, capace di avventurarsi in territori onirici con le note delayate della chitarra a tracciare una strada desolata eppure ancora percorribile, quasi che quel trattenersi dallo sfogare completamente l’energia voglia testimoniare di un’energia che comunque c’è: se non può esplodere è perché nel mondo ricreato dai Palmer Generator questo non è possibile.

«Il titolo, “Ventre”, va inteso in senso simbolico. Il ventre come luogo uterino diviene metafora di vitalità e crescita, di generazione; è fulcro delle cose, centro nevralgico della terra e dei viventi; elemento di metamorfosi e nucleo di somatizzazione, centro di agentività e spiritualità. Il dualismo mente-corpo viene superato nell’immagine del ventre, lo stomaco considerato come un “secondo cervello”, come il luogo in cui avviene la sintesi tra spirito e materia. Così, allo stesso modo del ventre che raccoglie in sé due realtà opposte e complementari, il nuovo album vorrebbe essere un’immersione nell’estremo delle due profondità terrene e cosmiche».

Il ventre come luogo uterino in cui avviene la sintesi tra spirito e materia, questo affermano i Palmer Generator con le parole e lo ribadiscono attraverso la musica. Ventre III si apre con un incedere arioso e calmo, culla l’ascoltatore in un liquido amniotico da cui si eleva con l’aumentare delle distorsioni finché all’improvviso non ci si ritrova a svoltare completamente, la parte ritmica a ribadire ossessivamente un canovaccio che gli arpeggi riverberati della chitarra rendono ancora più melodrammatico. La canzone, fra momenti psichedelici e giochi di sottrazione volti a lasciare il solo basso al centro della scena, è come un lungo parto sonoro (il brano dura quindici minuti) che esprime tutta la pena e la meraviglia dell’atto generativo, una venuta al mondo che attraverso l’ultima nota ascendente delle quattro corde lascia aperta la speranza che un’equilibrio sia effettivamente possibile, che la sofferenza della nascita si mitighi nella meraviglia del mondo e non diventi nostalgia di un luogo a cui non si può ritornare.

L’incedere di Ventre è ciclico, lo afferma la partenza di Ventre IIII, così simile a quella della traccia iniziale da rendere evidente la parentela. La quarta e ultima traccia del disco non si lascia però ingabbiare, la tensione fra l’energia potenziale e la sua impossibilità a sfogarsi viene risolta da un lungo outro, un lento spegnersi nella rarefazione del suono che sembra la direzione naturale verso cui concludere e lascia comunque l’amaro in bocca, come se ci fosse qualcosa di non detto che non riusciamo ad evitare di voler conoscere.

Non è un disco perfetto quello dei Palmer Generator, ma è un disco con una visione e che quella visione riesce a trasmettere. I tre Palmieri creano un’opera complessa di non immediata fruizione, soprattutto per chi non è avvezzo ai tempi dilatati del post-rock (tre tracce su quattro sforano i nove minuti di durata), ma l’atmosfera che permea tutto l’album rende Ventre un’esperienza che lascia il segno, a patto di seguirne la logica strutturale: quindi mi raccomando, niente shuffle!

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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