Tremila Battute come Le Iene: l’intervista doppia ad Antonio Vangone e Alfonso Lentini

Ok, non ci faccio una grande figura a paragonare questo blog a uno dei programmi che ha avuto il più drastico calo di qualità degli ultimi anni, però quando ho proposto ad Antonio Vangone (che su queste pagine è apparso più e più volte) e Alfonso Lentini di rispondere ad alcune domande relative ai loro libri usciti per pièdimosca edizioni, la prima cosa a cui ho pensato è stata “facciamo un’intervista doppia come Le Iene!”. Questo significa che Tremila Battute sta andando incontro allo sfacelo? Dovrei alzare l’asticella del mio livello culturale invece di guardare Temptation island al lunedì? Solo il tempo darà tutte le risposte, intanto approfondiamo un po’ il contesto.

Attribuzioni di Vangone e Noi siamo i lupopesci di Lentini sono il terzo e quarto volume pubblicati, il 21 aprile, all’interno di glossa, la collana a margine “dirottata” da Carlo Sperduti. I più affezionati fra di voi ricorderanno questa intervista a Sperduti, in cui presentava brevemente quel grande spazio virtuale che risponde al nome di multiperso: da lì a contattare pièdimosca per pubblicare un’antologia delle migliori microfinzioni del blog il passo è stato breve, come quello successivo che ha portato alla creazione di una collana specializzata nelle narrazioni brevissime, i cui primi volumi (l’antologia stessa e Statue linee di Marco Giovenale) sono usciti a novembre 2022. Da affezionato frequentatore del multiperso già sapevo che anche Vangone e Lentini ne erano a loro volta invischiati, la prima domanda mi è sorta quindi spontanea.

Come sei entratto in contatto con il multiperso?

V: “Ho conosciuto il multiperso per caso. Sono anni che scrivo sulle riviste letterarie indipendenti, è così che ho cominciato. Il panorama che vanno a costituire è tanto stimolante quanto instabile: riviste e blog aprono e chiudono in continuazione e non è facile tenere traccia delle loro iniziative. Io ci provo, però, e se ricordo bene è frugando tra i suggerimenti di una rivista su cui avevo pubblicato in passato che ho trovato il multiperso. L’idea alla base del progetto e i riferimenti letterari proposti da Carlo Sperduti mi hanno molto entusiasmato e il riscontro ai miei testi è stato altrettanto positivo; ne è nata quindi una collaborazione vivacissima.”

L: “Semplice: tutto inizia dal mio rapporto con Carlo Sperduti, che seguo da anni avendo letto e apprezzato moltissimo alcuni suoi libri. Con lui per un certo periodo ho mantenuto un rapporto occasionale, ma quando sono venuto a conoscenza del multiperso e del progetto sulla scrittura breve ad esso collegato, non ho esitato a inviargli alcune mie microfinzioni. Quello della scrittura breve e frammentaria è infatti un percorso che sento come congeniale e che pratico da tempo. Alcuni miei libri precedenti (in particolare “Tre lune in attesa” del 2018) sono raccolte di testi brevi o brevissimi e in generale la mia ricerca espressiva ruota attorno alla brevità da intendere però non necessariamente in senso strettamente quantitativo, ma come rifiuto della narrazione organica e compiuta a vantaggio della frammentarietà. Cosi quando Carlo ha deciso di progettare per pièdimosca la collana glossa, l’unica in Italia interamente dedicata alla scrittura breve, mi è sembrato naturale proporgli un mio inedito.”

La comunità che si è creata attorno a multiperso e, come naturale evoluzione, intorno a glossa è variegata per età, esperienze e, soprattutto, stile. Quello che non cambia è lo spazio entro cui convogliare la propria fantasia: massimo 2500 battute per microfinzione, un numero ridotto di caratteri che però è diventato uno stimolo per scrittori e scrittrici e, ovviamente, anche per Vangone e Lentini.

Qual è il tuo rapporto con la microfinzione?

V: “La amo molto. Condensando in poco spazio intere realtà si lascia modo a chi legge la possibilità di riempire i vuoti come meglio crede. Trovo che quest’ambiguità sia un grande atto di fiducia verso il lettore, che di fiducia e ambiguità vive, o almeno dovrebbe.
La brevità della microfinzione permette poi cambiamenti repentini di genere, umore, punto di vista; altro aspetto per me cruciale è che in testi di poche righe si possono sperimentare meccanismi linguistici che a lungo andare diverrebbero insostenibili. Insomma, ci si diverte.”

L: “Ti rispondo partendo dal fatto che la mia formazione risale agli anni settanta, quando vivevo a Palermo e – giovanissimo – sono entrato in contatto con un’area di autori che faceva capo alla neoavanguardia e a Gaetano Testa (scrittore che aveva partecipato al Gruppo 63 ed aveva già pubblicato con Feltrinelli). In quest’area si praticava con spirito anarchico un tipo di scrittura aperta, spiazzante, volutamente disorganica e spesso i testi che uscivano in riviste come Fasis o Per Approssimazione (che poi diventò un casa editrice molto trasgressiva) erano frammenti molto brevi. Uno dei miei primi libri, L’arrivo dello spirito (pubblicato nel 1991 insieme a Carola Susani), uscì con questa casa editrice ed era in sostanza una raccolta di microracconti piuttosto spiazzanti. Anche dopo il mio trasferimento a Belluno ho mantenuto un rapporto con quel tipo di sperimentazione e in particolare sono rimasto legato a uno di quegli autori palermitani, Francesco Gambaro. Più recentemente, poco prima di morire, Gambaro aveva dato vita al quotidiano di scrittura online Il Cucchiaio nell’Orecchio che in un certo senso è un’ideale derivazione di quella nostra ormai lontana esperienza. Ancora oggi Il Cucchiaio nell’Orecchio continua a uscire, diretto da Gaetano Altopiano, ed è diventato un importante punto di riferimento per molti autori che, pur diversi fra loro, sono accomunati da un’idea di scrittura non riconducibile ai canoni tradizionali. Il Cucchiaio, insieme al multiperso, rappresenta per me una specie di palestra che mi mantiene in allenamento. E non è un caso che Noi siamo i lupopesci sia dedicato proprio a Francesco Gambaro, amico di sempre e compagno di tante avventure culturali: senza la sua affettuosa complicità e senza i suoi decisivi incoraggiamenti, davvero, ‘senza di lui non scriverei così’.”

C’è un adagio già ripetuto svariate volte su queste pagine: le raccolte di racconti non vendono. Pare che il mercato stia mutando, e probabilmente anche collane come glossa stanno aiutando a “diffondere il verbo”, ma per ovviare a questa profezia autoavverante sempre più spesso vediamo raccolte che hanno un filo conduttore (spesso scelto a posteriori) o i cosiddetti “romanzi di racconti”. Non che ci sia per forza qualcosa di sbagliato in queste scelte (di un romanzo di racconti abbiamo parlato giusto poche settimane fa), ma sembra quasi che il mercato editoriale più che i lettori stessi siano spaventati dall’anarchia che incarna una raccolta in cui l’unico legame fra le storie sia la voce di chi li ha scritti. Attribuzioni e Noi siamo i lupopesci sovvertono a loro modo questo diktat non scritto: Vangone riunisce le sue microfinzioni in tre sezioni, i cui titoli sono però cancellati per, usando le sue stesse parole, lasciare “a chi legge la libertà di scegliere cosa unisce o separa le finzioni qui raccolte”; Lentini invece è apparentemente più diligente, ordina le proprie microfinzioni in quattro sezioni di cui le prime tre mantengono una bizzarra unità di significato (Scale presenta una famiglia ossessionata dall’idea di salire, scalare, scalire, scalere; Del dormire viene definita “un’appassionata requisitoria contro i fanatici esaltatori della veglia”; Nani di mente si focalizza su una comunità affetta, causa sostituzione di una consonante, da una condizione che riduce la sanità mentale al nanismo), per poi lasciare briglia sciolta alla fantasia nell’ultima sezione, Il viaggio sulla luna, un viaggio che però si svolgerà… all’incontrario.

Cosa pensi della necessità di trovare un filo conduttore in una raccolta di racconti?

V: “Per me non è una necessità, ma una delle possibilità a disposizione. Impernare una raccolta su un’idea dichiarata esplicitamente non toglie e non aggiunge nulla al discorso, di suo. Certo è più facile catturare l’attenzione del pubblico se gli si garantisce un argomento a cui è già interessato, ma credo che un’organizzazione mentale venga comunque a formarsi naturalmente, sia in chi scrive sia in chi andrà poi a leggere, e che immergersi nell’opera senza riferimenti precisi possa rivelarsi molto interessante. È un processo che ho tentato di esplorare in Attribuzioni.”

Se il diciannove giugno dello scorso anno avessi risposto al tuo messaggio e continuato la conversazione in modo arguto, presto o tardi saremmo andati a bere un caffè e avremmo fatto una passeggiata sul lungomare, ma senza farla diventare un’abitudine. C’è sempre troppa gente, lì.

Ti avrei presentato i miei amici più simpatici e se fossimo andati davvero d’accordo anche quelli un po’ meno simpatici, ma mai quelli a cui ormai vogliamo bene solo per tradizione. Siamo cambiati.

Universo parallelo in cui io e G. diventiamo amici, Attribuzioni

L: “Non vedo una necessità particolare. Questo libro è come un mazzo di carte intercambiabili che volendo si può leggere senza rispettare l’ordine delle pagine, perché ogni testo ha una sua autonomia. Se vi si vuole cercare un filo conduttore, questo non può che essere il lavoro sulla lingua, la ricerca, che del resto è la base costitutiva di qualsiasi libro. Tuttavia, per rendere più fruibile la lettura, ho cercato di creare quattro sezioni con una loro omogeneità tematica. Questa omogeneità in particolare mi sembra più evidente nella prima sezione (‘Scale’) e nella terza (‘Nani di mente’). Vi è poi un gioco di simmetrie rovesciate che collega l’inizio e la fine del libro. I personaggi di ‘Scale’, cercano nei modi più bizzarri di dirigersi verso l’alto, mentre il microracconto che chiude il libro parla di un viaggio sulla luna che però si svolge dall’alto verso il basso (perché la luna, contrariamente alle apparenze, non è in cielo, ma si nasconde nel centro della terra). Dunque si comincia con un movimento verso l’alto e si finisce con il movimento opposto, verso il basso.”

La particolarità dei libri di Vangone e Lentini si desume anche dai titoli scelti. Attribuzioni e Noi siamo i lupopesci appaiono inizialmente solo bizzarri (soprattutto nel caso di Lentini visto che, escluso il racconto iniziale, di lupopesci non c’è traccia nel libro), ma tramite gli autori stessi è possibile carpire gli inside joke che hanno portato a questa decisione.

In che modo hai scelto il titolo del tuo libro?

V: “Nella raccolta è presente un testo intitolato ‘Il racconto che mi è stato attribuito postumo’, che è stato uno spunto importante.
L’atto di dare significato a un evento, di riferire un qualcosa a un qualcuno è ricorrente nel libro e ne costituisce anche l’ossatura: Attribuzioni è infatti diviso in tre sezioni i cui titoli sono però stati cancellati; chi legge è quindi libero di inventare i propri e comunicarmeli tramite un QR code che rimanda al mio sito internet, determinando così il libro secondo una lettura personale.
Cercavo un titolo che non direzionasse troppo i lettori, ma trasmettesse comunque la mia visione dell’opera.”

L: “‘Lupopesci’ è una parola inventata che però proprio per la sua stranezza spero possa attrarre i lettori più curiosi e disponibili verso la scrittura non convenzionale. Il microracconto a cui si riferisce il titolo è quello che apre il volume: parla di certi esseri immaginari che di notte guizzano in un lago ed essendo in qualche modo consapevoli della loro ‘non esistenza’, si rivolgono al lettore chiedendogli di ‘percepirli’ con la sua fantasia e in tal modo farli esistere ‘anche solo per qualche minuto’. È una storiella apparentemente leggera (e forse divertente) che però, se letta con attenzione, può ricordare il pensiero filosofico di Berkeley e il suo ‘esse est percipi’ (cioè ‘esistiamo se siamo percepiti’). Ottimo spunto per introdurre un libro che invita il lettore a interagire attivamente con le pagine attraverso un suo personale sforzo di fantasia.

Mi sveglio in un altro letto. Sono al dodicesimo piano di un condominio in via delle Mille Libertà. Un sole nuovissimo sta per sorgere su questa città che non ho mai abitato. Ho dormito per trecentonovantotto anni, mi dicono. Come avranno fatto a contarli, tutti questi anni, uno per uno mentre io dormivo? Chi vegliava al mio capezzale e contava gli anni? Però è sicuro: questo non è il letto dove mi ero coricato. Questa non è la mia città. Questa non è la mia voce.

La mia voce, Noi siamo i lupopesci

Certo, le interviste de Le Iene prevedono che l* intervistat* rispondano alle stesse domande, ma perché non prendersi delle libertà rispetto al formato? D’altronde le differenze fra Attribuzioni e Noi siamo i lupopesci sono maggiori dei punti di contatto, per cui ho deciso di approfondire alcuni elementi singolarmente: fate finta che lo schermo non sia più diviso in due, ammesso che riusciste veramente a vedere lo schermo diviso in due nel qual caso bravi, avete molta fantasia o siete vicini a smarrire la vostra nanità mentale.

Antonio, in alcuni tuoi racconti sembra riflettersi una passione per la mitologia: cosa puoi dirci al riguardo?

V: “La mitologia mi appassiona moltissimo: i miti esprimono la percezione del mondo condivisa da una civiltà. Trovo affascinante come i nostri avi arrivassero a interpretazioni della realtà tanto distanti dalle nostre, pur condividendo con noi la stessa realtà anatomica e obbedendo alle stesse leggi fisiche. L’essere umano tende per natura a cercare significati nelle cose, e penso sia importante non dimenticare che i risultati a cui arriviamo tanto faticosamente sono solo alcuni tra gli infiniti possibili: questo vale anche e soprattutto per la letteratura.”

Il deserto di Lubanikkara è un invito al vuoto. Un invito che non andrebbe accettato. Ma c’è chi lo fa.

Perdersi tra le sabbie significa essere ospiti e prigionieri dei dervisci di pietra, la cui pelle è grigia e dura come arenaria.

Chiederete: cosa porta ad amarli?

Hanno voci profonde e occhi gentili. Mangiano poco e bevono molto tè; i loro ampi abiti bianchi profumano di menta. Sono goffi in ogni movimento, finché non producono musica. Allora pregano danzando magnificamente, e nel danzare inseguono in eterno l’annullamento di un sé già più sottile di un filo di lino.

Chiederete: cosa spinge a odiarli?

Usi e preghiere dei dervisci di pietra del deserto di Lubanikkara, Attribuzioni

Alfonso, in alcuni tuoi racconti, particolarmente nelle sezioni Scale e Del dormire, ci sono suggestioni che rimandano al mondo delle fiabe. Sei influenzato da questo tipo di immaginario?

L: “Il fiabesco mi rimanda alla Sicilia di quando ero bambino, a quando mia zia Giuseppina, detta Pepé, tenendomi sulle ginocchia mi leggeva ad alta voce le fiabe di Capuana, che ancora oggi amo moltissimo perché è da quelle lontane letture che ho imparato a immaginare dimensioni alternative. Nella mia scrittura però cerco di utilizzare il fiabesco negandolo come genere letterario in sé e immettendolo in un diverso contesto narrativo, di apparente normalità, in modo da accentuare l’effetto di straniamento. Se sei dentro a una fiaba non è strano che a un certo punto compaia un orco, ma se un orco compare in un racconto ambientato in un grattacielo di Londra, beh, allora l’effetto è ben diverso. Ed è questo effetto di radicale spiazzamento che distingue la letteratura fantastica da altri generi meno ‘turbativi’, come ad esempio il fantasy.”

Un’orda zampettante di topini viene fuori dai cassetti riversandosi sul pavimento. Sono i piccoli pensieri di mia cugina che fuoriescono a frotte e chiedono udienza. Ma il primo topino che riesce a fuggire dalla stanza si lancia sulle scale in cerca di respiro e subito tutti gli altri lo seguono. La stanza si svuota e mia cugina resta sola, tristissima. Immobile sulla sua sedia, si guarda tutt’intorno sperando che un topino ritardatario sia rimasto nascosto da qualche parte, ma niente, sono fuggiti tutti, topi e pensieri; su per le scale, verso il solaio, in cerca di respiro.

E lei, tristissima, sola, senza pensieri né respiro.

Mia cugina, Noi siamo i lupopesci

Uno dei racconti più originali della tua raccolta è sicuramente La guerra dei polpi, in cui ogni verbo dà l’impressione di non essere lì per caso. Ti sei immaginato ogni scena per progettarlo?

V: “Certo, ho costruito una vicenda e l’ho filtrata tramite un’intelligenza disumana, ovvero quella del polpo: per farlo ho voluto ridurre il linguaggio a una serie di verbi all’infinito. Il risultato è di conseguenza molto ambiguo e spaesante, tanto che di rado due lettori immaginano la vicenda allo stesso modo; non nascondo di essere molto felice della cosa. In un testo come questo trovo che il punto di arrivo sia la sensazione evocata nel lettore, che ho curato imprimendo al testo diverse velocità, più che lo svolgimento di una trama riconoscibile.”

Toccare afferrare stringere spaccare stringere mangiare mangiare mangiare. Raccogliere guardare toccare scavare scavare nascondere mangiare mangiare dormire. Sognare.

Uscire. Soffrire. Vedere colpire colpire soffrire accecare fuggire fuggire fuggire. Nascondere nascondere. Scavare scavare. Nascondere. Aspettare.

Scivolare. Scivolare. Aspettare. Aspettare. Colpire colpire colpire soffrire soffrire soffrire colpire colpire fuggire fuggire fuggire nascondere rifugiare toccare rifugiare stringere toccare vedere toccare stringere. Stringere. Toccare. Toccare. Stringere. Vedere. Unire. Dormire. Sognare. Sognare. Vedere. Toccare. Stringere. Unire. Scivolare. Guidare. Afferrare stringere spaccare mangiare. Dividere. Mangiare. Dividere. Toccare. Stringere. Tornare. Dormire. Sognare. Sognare. Sognare.

Vedere. Toccare. Stringere. Seguire. Seguire. Seguire. Vedere. Toccare. Stringere. Negare. Fuggire fuggire fuggire. Tornare. Rifugiare. Toccare. Stringere. Dormire. Sognare. Vedere. Toccare. Stringere. Guidare. Afferrare stringere spaccare afferrare stringere spaccare. Afferrare stringere spaccare. Tornare. Toccare. Toccare. Dormire. Vedere. Toccare. Stringere. Guidare. Scivolare scivolare. Aspettare. Aspettare. Accecare colpire colpire colpire soffrire soffrire colpire soffrire colpire colpire soffrire stringere mordere mordere mordere soffrire stringere stringere mordere soffrire. Stringere. Stringere. Mordere. Mordere. Lasciare. Dividere. Toccare. Toccare. Stringere.

La guerra dei polpi, Attribuzioni

Alfonso, in che maniera sono nati i Nani di mente e come ti è venuto in mente di raccontarne le vicende?

L: “I Nani di mente sono una popolazione che vive in una dimensione limitata (una specie di Flatlandia, tanto per dare un’idea). Il loro nanismo però non è legato all’altezza (Nani di mente ce ne sono di tutte le misure, anzi: la loro dimensione è il tempo), ma sta nel loro modo di essere. Differenti dai ‘sani di mente’ solo grazie a uno scambio di consonante, sono perigliosamente simili ai cosiddetti normali: ad esempio, sono assoggettati a un misterioso ‘regista’ e, se devono votare, votano il ‘partito del ventilatore’, se devono trasgredire lo fanno in modo infantile e confuso, e soprattutto ‘credono solo in quello che vedono’. Perciò se mi chiedi come sono nati i Nani di mente, ti rispondo che sono nati semplicemente guardandomi attorno. I Nani di mente sono dappertutto, forse anche dentro ciascuno di noi.”

L’altezza dei nani di mente non è misurabile. Si dice che ce ne siano di tutte le dimensioni, in effetti. Sembra che alcuni superino i due metri, e sono bestioni enormi come orsi. Altri, al contrario, sono smilzi e bassi che sembrano pinguini. Ci sono donne di coscia slanciata che neppure una svedese e altre con la spina dorsale di un gattino. Tuttavia i nani di mente non sono misurabili. Non li puoi misurare perché sgusciano, non stanno mai fermi, perciò è quasi impossibile acchiapparne uno e metterlo accanto a un metro.

L’altezza dei nani di mente, Noi siamo i lupopesci

Attribuzioni e Noi siamo i lupopesci sono stracolmi di invenzioni (come avrete notato leggendo gli estratti sparsi qua e là), dalle vicende spesso ironiche della famiglia di scalatori e dei Nani di mente orchestrate da Lentini agli elenchi sotto cui Vangone nasconde storie che sanno di vita vera, con le sue nostalgie e i suoi drammi. A tutt* voi consiglio di leggerle tutte (magari acquistandole qui), ma un’intervista non è completa se non si chiede agli intervistati i piani per il futuro: dividete di nuovo lo schermo con la fantasia o la follia, vi saluto lasciandovi all’ultima domanda.

Quali sono i tuoi prossimi progetti editoriali?

V: “L’anno prossimo uscirà un mio libro per déclic (casa editrice fondata da Carlo Sperduti che esordirà nel 2024). Più in generale progetto di scrivere cose di ogni tipo: videogiochi, fumetti, giochi di ruolo. Mi interessa molto esplorare le possibilità offerte dai diversi mezzi narrativi.”

L: “Dato che non scrivo per mestiere né per diventare ricco, posso permettermi di pubblicare solo quando si presentano situazioni adatte al mio genere di scrittura (come nel caso di glossa dove sono approdato, per così dire, ‘spontaneamente’). Avrei a portata di mano diversi inediti che continuo a ritoccare (qualcuno anche da molti anni), ma non ho fretta. I miei libri hanno una gestazione imprevedibile. Germogliano secondo il loro capriccio. Scrivere per me è un bisogno, un misto di piacere e sofferenza, dunque l’attività che mi coinvolge di più è quella compositiva, che del resto alterno da sempre alla pratica espressiva nel campo delle arti visive. Scrivere o realizzare opere visuali è per me una forma del respiro. Pubblicare o non pubblicare è un passaggio successivo che mi interessa meno. Tanto più oggi che la pubblicazione di un libro cartaceo ha ormai perso la ‘sacralità’ di cui un tempo godeva. Il libro tradizionale non è più il principale mezzo di trasmissione della comunicazione culturale, di conseguenza il concetto stesso di ‘progetto editoriale’ sta mutando forma. Vedo che in certi casi un racconto pubblicato in un blog può raggiungere molti più lettori potenziali di un libro cartaceo, specialmente se di difficile reperibilità. Ma, naturalmente, pubblicare un libro per me è sempre una grande, bellissima emozione che spero di poter ripetere appena si creeranno le condizioni giuste!”

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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