Racconto in musica 136: Tre minuti (ZEUS! – Enemy e core)

Ci sono poche immagini che danno l’idea dell’intensità di un concerto quanto quella che sto per descrivervi. Non ricordo in che anno siamo, non ricordo in che stagione siamo ma di sicuro non è estate: il bassista sul palco, comunque, è a petto nudo. Siamo a metà concerto, a metà di un concerto a mille all’ora com’è caratteristica comune dei concerti della band sul palco, il bassista sta accordando il suo strumento e dal gomito gli scende, neanche troppo lentamente, più di una goccia di sudore. Io quando penso all’intensità e alla furia sul palco, non c’è proprio niente da fare, penso sempre a Luca Cavina degli ZEUS! e a quel suo essere più sudato di quanto sia mai stato in vita mia (e voglio dire, mi sono fatto le colline del Chianti in bicicletta in agosto pieno con un allenamento ridicolo) solo a metà di un’esibizione che da lì in avanti è stata, per dirla come un fan degli Skruigners dei bei tempi andati, ancora più veloce e più violenta.

A permettermi di introdurre il duo romagnolo è una cara, vecchia conoscenza di Tremila Battute, Andrea Bruccoleri, ovvero il collaboratore più geograficamente distante che sia mai apparso su queste pagine. Nativo di Erice in provincia di Trapani, transfugo prima a Bologna e poi a Liegi per motivi di studio, Andrea si è poi spostato fino in Cile per motivi di lavoro ma sta operando un lento riavvicinamento all’Europa, visto che ora sta a Monterrey in Messico. Dopo il bellissimo racconto che ci aveva inviato (e anche prima di questo, che non è che siamo noi ad avergli acceso la fiammella dell’ispirazione) Andrea è andato avanti a scrivere, con esiti decisamente apprezzabili: è entrato a far parte della famiglia del multiperso, sia nella sua forma digitale che in quella cartacea, è stato fra i finalisti nella sezione Romanzi Inediti del Premio Letterario Zeno 2021 con il suo Cubbàita (che abbiamo avuto l’onore di leggere) e si è classificato secondo nella sezione racconti della seconda edizione di Note d’inchiostro, il concorso cui ha collaborato anche Tremila Battute, con un testo dal ritmo invidiabilissimo basato sulla canzone Kollaps degli Einstürzende Neubauten. Al momento ha vari progetti in corso fra cui (spoiler) uno di micro testi un romanzo breve in spagnolo-cileno, il tutto mentre edita vecchie cose: ne dovremo sentir parlare.

Che dire degli ZEUS!? Il duo formato da Luca Cavina al basso e Paolo Mongiardi alla batteria è uno di quei fortunati incontri/scontri in cui due musicisti dalle doti sovrumane e già coinvolti in millemila progetti (citiamone solo alcuni: Calibro 35 e Craxi per il primo, Fuzz Orchestra e Ronin per il secondo) decidono di ritagliarsi dello spazio per fare musica veloce, ipertecnica e comunque (permettetemi il termine) cazzona nel profondo. Dopo aver suonato insieme nei Transgender e aver collaborato allo split a quattro Il Beat vol. 1, il duo si forma ufficialmente nel 2010 per sfogare su corde e pelli la furia noise, hardcore e math che batte nei loro cuori: il primo risultato esce l’anno stesso, un disco omonimo fatto di riff ultraveloci e incastri basso/batteria al fulmicotone, capace di essere intenso e avvolgente anche quando rallenta e si riempie d’atmosfera in brani come Turbo Pascal o la conclusiva Golden metal shower (il lato cazzone di cui parlavo è ben esemplificato dai titoli dei brani: mitico Cowboia). L’album viene prodotto da una manciata di etichette che comprende Bar La Muerte, Escape From Today, Sangue Dischi, Smartz Records, Shove Records, Offset Records, All’Arrembaggio, si avvale della collaborazione di Enrico Gabrielli, Valerio Cané, Andrea Mosconi e Giulio Favero ed è una bomba sparata nel panorama musicale italiano: purtroppo esplode lontano da me, che mi accorgo dell’esistenza degli ZEUS! solo qualche anno più tardi, precisamente nel 2013 quando esce Opera, il loro secondo album.

Coprodotto da Santeria, Tannen Records e Offset, Opera è una bestia multiforme che sfianca e delizia l’ascoltatore, parte col giro di basso di Lucy in the sky with King Diamond (che ho tentato mille volte di fare con la chitarra in sala prove) tirandoti dentro in un vortice che si fa forza delle urla di Cavina e di Justin Pearson dei Locust, ospite in Sick and destroy, acquista un ritmo marziale in Set panzer to rock e estrania dal mondo nel complicato e sempre più centripeto meccanismo ritmico di Giorgio Gaslini is our Tom Araya (su cui noiseggia Nicola Ratti, uno degli altri ospiti insieme a Vincenzo Vasi) per concludere lo stremante (ed altrettanto appagante) viaggio con una Blast but not Liszt che definirei epica (e su cui ho spesso fantasticato di scrivere un racconto). Nel tour che segue li incrocio un paio di volte dal vivo, una al Mi Ami quando il festival della musica bella e dei baci non costava ancora un occhio della testa, ma i loro orizzonti sono più ampi visto che se la girano pure per l’Europa, in lungo e in largo, nel frattempo allacciando rapporti con svariate band come gli Ornaments, con cui nel 2015 dividono uno split dalla cover meravigliosa (e non che la musica sia da meno). Metamorphosplit esce per Sangue Dischi e Tannen Records e, come da titolo, opera sulle due band una metamorfosi: riducendola all’osso si può dire che gli Ornaments fanno gli ZEUS!, limitando la durata dei loro brani normalmente maestosi e puntando più sull’immediatezza, mentre gli ZEUS! fanno gli Ornaments nella loro unica traccia, Rota, tredici minuti di ambient sempre più caotico i cui echi si possono sentire in Motomonotono, il terzo disco del duo che esce a settembre dello stesso anno.

Si può capire l’importanza degli ZEUS! anche solo da uno dei nomi coinvolti nella produzione del loro terzo e, al momento, ultimo disco: sua maestà Mike Patton, che prende sotto l’ala protettrice della sua Three One G Recordings la band (con la collaborazione anche delle fedeli Sangue Dischi e Tannen Records). Motomonotono è l’ennesimo giro sulle montagne russe, ma se già nei dischi precedenti si era lasciato spazio a dilatazioni sonore dal tono quasi ambient ecco che qui lo spazio per queste sperimentazioni si allarga, fungendo da pausa piena d’atmosfera in Panta Reich e ibridandosi coi ritmi concatenati e indiavolati nella conclusiva Phase terminale, sette minuti e trentasei secondi di magnificenza ossessiva. Gli ZUES! altrettanto ossessivamente cominciano a girare in tour, per l’Italia e per l’Europa, sembrano non fermarsi mai e atterrano in posti come l’Arc Tangent, uno dei festival più importanti per la musica math e derivati (ci erano andati anche i Valerian Swing) o se la cantano e se la suonano con il sodale Mike Patton e la sua superband Dead Cross, trovando il tempo nel 2018 per collaborare, in una dei più improbabili feat che mi sia capitato di ascoltare in vita mia, con M¥SS KETA. Negli ultimi anni la carrozza sferragliante degli ZEUS! ha rallentato, ma prima che la pandemia (e probabilmente gli impegni con i loro mille progetti) li rallentasse hanno fatto in tempo a registrare una canzone con Patton, Human fly, per la compilation con cui la Three One G ha celebrato una band storica come i Cramps: aspetto ansiosamente il momento in cui potrò vedere il duo di nuovo sudare sul palco come se non ci fosse un domani, facendo rassomigliare un gennaio al Cox 18 di Milano come se fosse un torrido luglio.

Il racconto che Andrea mi ha mandato ha una struttura particolare, unisce due storie che si intersecano a distanza prima di collassare in un vortice astronomico: unire il testo alla serrata lotta basso/batteria di Enemy e core, traccia d’apertura di Motomonotono, è sembrato a entrambi la cosa migliore da fare, e a voi non resta quindi che farvi trasportare in un anonimo ufficio, sul palco di un concorso musicale e nelle vastità cosmiche dalla furia degli ZEUS!. Buon ascolto, e buona lettura.

Se volete ascoltare questo e tutti (o quasi) gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti).

Scarica il numero Zero della fanzine di Tremila Battute a questo link!

Tre minuti, di Andrea Bruccoleri

Pausa pranzo. Nemmeno il tempo di farsi un pasto come si deve. L’azienda non vede di buon occhio gli impiegati che sprecano minuti preziosi per offrirsi un pranzo prolungato: quelli che cercano un ristorantino nei paraggi, quelli che si attardano in mensa tra caffè e sigarette.

Leggo le istruzioni. Scarto l’imballaggio, ne tiro fuori la vaschetta monoporzione. La metto nel forno a microonde. Accendo.

Tre minuti.

Edwin era venuto su dal nulla, si era fatto da solo. E voleva diventare qualcuno.

Ne aveva fatta tanta di gavetta. Prima che un talent-scout lo scovasse in quel concorso di periferia aveva suonato per anni, per quelli che adesso gli sembravano centinaia di migliaia di anni: balere, pub, feste private, sagre di paese, festival alternativi.

Un apprendistato durato milioni, miliardi di anni.

Era la sua ultima chance. L’assistente di produzione chiamò il suo nome. Avanzò sul palco e si fermò al centro, sotto l’unico riflettore acceso. Di fronte a lui, nascosti nella penombra, scorse i volti dei membri della giuria.

La sua grande occasione. Tre minuti per convincere i giudici nello spazio di un brano. Centottanta secondi: strofa, ponte, ritornello; strofa, ponte, ritornello; variazione; ritornello. Attaccò il jack alla chitarra, regolò il volume. Si schiarì la voce.

Non c’è mai abbastanza tempo in questa perenne lotta contro il tempo. Le cose da fare aumentano in modo esponenziale. Se faccio una cosa, ne devo fare ancora due; se sbrigo due faccende, ne rimangono quattro; e così via.

Prima, non esisteva il tempo. Non esistevano orari o impegni. Tutto era un eterno bighellonare spensierato, atemporale. Ora invece c’è il loop della mia routine: otto ore di lavoro, otto ore per dormire, otto ore per spostarsi e per mangiare.

Uno spreco di neuroni. Un anticlimax di vitalità che sciupa l’energia mattutina e che mi lascia esausto a tarda sera, prima che il sonno mi ristori parzialmente e tutto ricominci daccapo l’indomani, in una continua genesi di espansione e di collasso che non conosce fine.

Guardo girare il piatto di vetro del forno a microonde. Nella vaschetta monoporzione la materia comincia a sfrigolare.

Illuminato al centro del palco dal solo riflettore acceso. Una ballata voce e chitarra. La grande occasione di Edwin, la possibile svolta. Per convincere la giuria, a sua disposizione solo 339.170.698.406 x 104 periodi di Planck.

Ma com’è possibile che dal nulla si generi qualcosa? Le molecole degli alimenti si scontrano nell’insipido, rovente brodo primordiale della vaschetta, delineando così quelli che diventeranno gli ingredienti del piatto pronto.

In un pomeriggio qualsiasi, presenzio alla creazione della materia.

Din. La luce si spegne. Il disco si ferma. Edwin tiene l’ultimo accordo. Tre minuti.

Apro il forno a microonde.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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