Chi segue la pagina Facebook di Tremila Battute avrà magari notato che fra le mie letture sono presenti parecchie raccolte di racconti. Questa scelta anacronistica (si sa che i racconti non vendono, e si sa da tanto di quel tempo che forse una scelta anacronistica non è: hanno mai venduto? È una tendenza che si autoalimenta? La gente vuole Forum o si abitua a quella merda?) deriva dal fatto che a) mi piace la forma breve b) scrivo racconti, e sapere come lo fanno gli altri è continua fonte d’ispirazione (o vergogna se lo fanno clamorosamente meglio di me) c) sono un bastian contrario culturale per natura e quindi, se una cosa non vende (per diceria o realtà dei fatti, come si è detto poco sopra), io cazzo mi ci affeziono ancora di più. Siamo su un blog dedicato principalmente alla musica che vive fuori dai principali media, no?
L’escamotage più facile, quando una cosa non vende, è quello di camuffarla per renderla più digeribile: coi racconti questo si traduce nel classico “tema portante della raccolta”, che se proprio non te la trasforma in un romanzo (cosa che, e non penso di scoperchiare un uovo di colombo, NNE ha fatto sia con A misura d’uomo di Roberto Camurri che con La parola magica di Anna Siccardi, libri che a parer mio sarebbero stati in piedi da soli anche senza forzare le connessioni fra i singoli racconti/capitoli) almeno ti dà l’idea che affronterai una lettura il più omogenea possibile. Da grande amante di David Foster Wallace (e chi frequenta questo blog da un po’ di tempo lo avrà di sicuro notato) e della sua raccolta La ragazza dai capelli strani mi chiedo sempre perché questo debba essere un valore aggiunto, visto che la varietà è proprio ciò che la rende grande; o anche perché si debba forzare sotto un cappello unico racconti che poi vanno dove pare e piace a chi li ha scritti, rischiando di ridurre (solo all’apparenza) la portata tematica ad esempio di un libro come Lingua nera di Rita Bullwinkel.

Se una regola assoluta non dovrebbe esistere per l’omologazione, allo stesso tempo non si deve richiedere varietà eccessiva a chi ha uno stile riconoscibile e sa già su quale tema e/o ambientazione vuole andare a incentrare le sue storie. Io non so se l’immagine delle sette torri destinate alla demolizione del quartiere Futura, simboli opprimenti del cielo cittadino, fosse già nella mente di Elia Gonella quando ha iniziato a scrivere i racconti che compongono Tenebre, edito nel 2018 da Las Vegas Edizioni, casa editrice che ha pubblicato anche i suoi romanzi (sotto lo psudonimo di Hector Luis Belial) Saxophone Street Blues, Making movies e Alla corte del Re Cremisi: di certo posso dire che la loro presenza, trait d’union fra le dieci storie che compongono la raccolta assieme all’ambientazione notturna, aiuta a rendere anche la città un personaggio, a calarci in un mondo nascosto dove ciò che accade sembra terribile e al tempo stesso ineluttabile.
Cercai qualcosa di cui parlare, ma cosa si può dire a uno sconosciuto? Cosa si può dire a qualcuno che ti conosce? La nostra stretta di mano si sciolse, e io seppi per certo che sarebbe stata l’ultima.
Lo scambio
La scrittura di Gonella è in completa simbiosi con l’ambientazione, una città da noir che potrebbe essere una novella Sin City se l’autore non la lasciasse sullo sfondo, concentrandosi prevalentemente su ciò che accade dentro ai suoi personaggi tormentati, esplorando gli angoli bui del loro animo e di ciò che di irrisolto si portano dentro. Passano fra le pagine una donna decisa a mettere ordine fra le cose del padre morto, un reduce di guerra a cui un’innovativa protesi permette di recuperare parzialmente la vista, un ragazzino cresciuto nel mito di un campione di boxe e altri personaggi costretti a confrontarsi con il loro passato, a farci i conti rendendosi conto che spesso quel conto è in perdita.
Sono misteri che non vogliono essere risolti queste dieci storie, pieni di enigmi di fronte ai quali i personaggi spesso si arrendono. Chi è Lara Segre, la donna che si esibisce dietro saracinesche chiuse in luoghi sempre diversi, autrice della misteriosa performance definita dai giornali “teatro dell’oscurità”? Chi spinge il protagonista di Come tutti gli altri a cancellare ogni traccia del suo passato, per l’ennesima volta, e perché? Anche il lettore viene avviluppato in questa coltre claustrofobica di oscurità e informazioni mancanti, vagando fra appartamenti fatiscenti in “un quartiere brutale che ospitava terroristi e pittori folli”, usando le parole dell’autore, angoli su cui si allunga sempre l’ombra di quelle sette torri di cemento, monoliti capaci di permeare l’atmosfera tanto da provocare un senso di vertigine anche quando, come succede in Fortunato al gioco, vengono tolte di mezzo da cariche di tritolo solo per ritornare di nuovo nel racconto successivo, facendo smarrire anche il legame con la temporalità degli eventi.
Pietro non avanzò di un altro passo, ma si piantò sulle gambe. Gli incontri di pugilato che aveva combattuto da giovane gli avevano insegnato almeno due cose. La prima: come incassare un colpo. Alla sua età non era rapido, ma aveva tempra; sul lungo termine avrebbe avuto ragione su qualunque ragazzo. C’erano però avversari – questa era la seconda lezione – contro cui combattere era impossibile, perché appartenevano ad altre categorie. Non c’è modo di abbattere un fantasma.
Gelo
La scrittura di Gonella riesce a creare mondi attraverso pochi dettagli, è essenziale nel definire gli spazi entro cui agiscono i suoi personaggi per poi concentrarsi sugli eventi e le angosce che vengono alla luce. Per le vie della città (e anche per le case in cui si svolgono gli unici due racconti “esterni”, Gelo e il conclusivo Dono di Natale) aleggia un velo soprannaturale, capace di legare due sconosciuti che si sentono solamente per scambi di vestiti usati (Lo scambio) o ammantare le opere di un pittore (L’ospite), un ulteriore tocco caratteristico che rende i racconti contenuti in Tenebre un’esperienza capace di risucchiare completamente il lettore. Andrés Neuman, in uno dei suoi dodecaloghi di uno scrittore di racconti, afferma che “l’estrema libertà di un libro di racconti risiede nella possibilità di ricominciare da zero ogni volta. Pretenderne l’unità, sarebbe come chiudere con un lucchetto il laboratorio”: concordo in pieno con lui ma è altrettanto bello vedere come, quando quell’unità è un tratto autoriale, la varietà ne esce rafforzata anziché limitata.
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