Fra il 2017 e il 2018 ho frequentato il corso serale di una scuola di scrittura, la Belleville di Milano. Scrivevo già da un po’, racconti e qualche timido tentativo di fare qualcosa di più lungo abbandonato strada facendo, fra cui una sorta di Memento al contrario (invece di essere il protagonista ad avere un problema di memoria breve era il resto del mondo a dimenticarsi di lui ogni dieci minuti o giù di lì: non rubatemi l’idea, sia mai che ne tragga prima o poi qualcosa). Il mio intento, più che di imparare a scrivere, era di capire se lo sapevo già fare almeno decentemente: dopo poco più di un anno passato lì posso dire di non avere ancora la risposta, ma ho imparato più di quanto pensassi su cosa volevo scrivere e come scriverlo, sia dal confronto con gli insegnanti (gli scrittori Marco Balzano, Marcello Fois e la editor e agente letteraria Cristina Tizian) che da quello con gli altri corsisti. Cifra per arrivare a questa consapevolezza? Di preciso non ricordo, ma stiamo di sicuro intorno ai 1500 euro.
Possono essere ritenuti soldi ben spesi o soldi buttati nel cesso, a seconda di quale sia la vostra disponibilità pecuniaria, di quanto ritenete interessante il fatto di confrontarvi con gente che i libri li pubblica (o lavora per farli pubblicare) e di quanto per voi sia importante ottenere qualcosa di tangibile a fronte dei soldi spesi (in parole povere ottenere un aggancio per pubblicare: io sono ancora senza libri pubblicati se ve lo state chiedendo). Per chi decidesse, per una o per tutte queste ragioni, che il gioco non vale la candela posso suggerirvi un’alternativa: il libro La scrittura non si insegna di Vanni Santoni, edito da Minimum Fax. Ma come, starete dicendo, ci stai consigliando un libro per imparare a scrivere meglio che già dal titolo ammette che non è possibile insegnarci niente? Se vi può consolare sappiate che non è l’unica contraddizione in cui incapperete leggendolo, visto che Santoni da anni tiene vari corsi di scrittura.
Due regole fondamentali, semplici e dirette
Questo non è il primo “manuale di scrittura” che leggo. Sono passato attraverso On writing di Stephen King, uscendone con la consapevolezza che i rifiuti sono toccati a tutti e bisogna farci il callo, che il suo modo di fare l’editor di sé stesso è basilare ma efficace (almeno se avete già un minimo di idea su come si costruisce una trama) e che pure le letture brutte servono (almeno per rincuorarvi dopo aver letto, che ne so, Manganelli); ho attaccato poi Il mestiere di scrivere di Raymond Carver, apprendendo che è meglio scrivere di ciò che si conosce e che anche le limitazioni possono essere utili (nel suo caso di tempo, non ha mai scritto un romanzo perché fra lavoro e famiglia non riusciva a concentrarsi su trame troppo lunghe). Mi aspettavo di più? Onestamente sì, soprattutto dal libro di Carver visto che, in fondo, quello di King è per larga parte una biografia più che un vero tentativo di insegnare per bene qualcosa. Mi ha deluso anche il libro di Santoni? No, e ora vi spiego perché.

A differenza di un corso vero e proprio, dove di solito è presente la sensazione che troveranno un modo per dirti che sei bravo anche se non lo sei (hai speso una certa cifra per essere lì, hai diritto almeno a un contentino), in La scrittura non si insegna quel che l’autore vuol far capire subito è che molto probabilmente non sei ancora abbastanza bravo. I primi due capitoli, Dieta e Disciplina, sono lì per farti dubitare dei tuoi mezzi e farti capire che di strada ne hai ancora tanta da fare prima di poter dire “so scrivere bene”: il primo illustra i libri che DEVI aver letto prima di prendere una penna in mano (o di appoggiare le mani sulla tastiera), il secondo il metodo da seguire per migliorare.
Santoni non ci va giù leggero, dato che i primi due libri che classifica come imprescindibili sono Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust e Ulisse di James Joyce. Potete fidarvi o meno delle sue scelte (le motiverà in una maniera che ho trovato coerente e valida), per quel che mi riguarda io dovrei essere ancora a leggere visto che il primo non l’ho mai preso in mano, mentre il secondo mi guarda dalla libreria da più di tre anni e ancora non ho trovato il coraggio di affrontarlo (una cosa che ho in comune con Dylan Dog). Più va avanti con la lista più vi sentirete rincuorare quando cita un libro che avete letto (Infinite Jest! Meridiano di sangue!) ma soprattutto sprofondare quando ne tirerà fuori un sacco che non avete mai sfogliato e magari mai sentito nemmeno nominare: è una scrematura necessaria, perché per Santoni un lettore pigro non avrà mai una base su cui poggiare per prendere la sua strada, e la varietà di libri che propone serve a darvi un’idea piuttosto ampia di come possa essere usata la parola scritta.
Si tratta di una selezione operata attraverso l’esperienza: se non “darwinianamente”, almeno per tentativi. Il fatto è che l’aspirante scrittore deve anzitutto cambiare il proprio approccio alla lettura. Così come un neonato che viene alla luce deve prendersi un paio di schiaffi sul culo (o, in tempi moderni, una gratta sulla schiena) onde aprire i polmoni, allo stesso modo questi macroromanzi saranno i primi schiaffi sul culo dell’aspirante scrittore.
Vanni Santoni, La scrittura non si insegna
Una volta stabilita la dieta (potete farvene anche una personalizzata, ma non pensate di poter saltare troppi “pasti”) Santoni passa a insegnare la seconda regola fondamentale, tanto semplice quanto frustrante, almeno agli inizi: scrivere tutti i giorni. Sapevo, anche grazie a On writing, che King scrive tutti i giorni a parte quello del suo compleanno (o Natale, perdonatemi la poca voglia di andare a controllare), e con questo esempio in mente a fine 2019 avevo provato a fare lo stesso: penso di essere durato meno di un mese, giustificandomi con cose tipo “devo farlo quando sono ispirato” o “devo farlo quando ho già delle idee in mente” (che mi vengono di solito quando guido o mentre lavoro in fabbrica: sfruttare le limitazioni, Carver docet). Per Santoni non ci sono giustificazioni, ma consiglia di iniziare a piccole dosi: duemila o, ancora meglio, tremila battute, l’ideale per sciogliersi senza finire anzitempo frustrati…a meno che non siate di quelli che, come in un famoso aneddoto che si racconta di Joyce (chissà se vero), a fine giornata hanno scritto solo sei parole, e neanche in ordine. In questo modo arriverete in un anno a scrivere abbastanza materiale da farci due romanzi, e anche se la maggior parte di quelle pagine poi finiranno al macero avrete comunque capito che la costanza premia, avrete imparato dai vostri errori e, probabilmente, la vostra scrittura sarà migliore rispetto al primo giorno.
Suggerimenti a corollario, ovvero il “cosa dovete sapere una volta acquisiti i fondamentali”

Santoni non fa mistero di poter concludere il suo libro già al secondo capitolo, chiamando il terzo ironicamente proprio Intermezzo: questo libro potrebbe finire qui. Risponde da solo alla domanda “ma quindi cosa fai per il resto del tempo nei tuoi corsi da venti o quaranta ore?”, parlando del lavoro sui testi che, per forza di cose, un libro non può assolvere al posto del suo autore.
Quel che può fare è segnalare invece gli errori più comuni in cui può incorrere uno scrittore alle prime armi, tenendoci a sottolineare che se cadete in alcuni dei più banali probabilmente avete letto troppo poco (e dovete quindi tornare al primo capitolo). Quali sono? I cliché innanzitutto, rintracciabili a livello macro (vicenda e contenuti), intermedio (singole scene e personaggi) e micro (singole frasi, accostamenti di parole, ciò che concerne lo stile insomma). Degli ultimi stila un’ampia tabella, divertente fintanto che non ci trovate qualcosa che avete scritto anche voi.
A folle velocità, a intervalli regolari, acre odore, ampio salone, arcana bellezza, attesa snervante, barlume di razionalità, basso muro a secco, bestemmie irriferibili, biancore spettrale, bizzarra sensazione…
Vanni Santoni, La scrittura non si insegna
Altro errore da cui Santoni cerca di mettere in guardia l’aspirante scrittore è quello di scrivere cose noiose, illustrando alcuni principi per evitare che il vostro manoscritto sia, per usare un francesismo (mio), una palla al cazzo tremenda. I libri privi di interesse, spiega, finiscono per assomigliarsi tutti, e di solito hanno almeno uno di questi difetti (quando non tutti e tre): assenza di necessità, assenza di specificità e assenza di conflitto. Una volta capito come raccontare anche la noia senza essere noiosi potreste sentirvi già arrivati, per questo Santoni mette sulla strada dell’aspirante i temi dell’editing (da non evitare, ma allo stesso tempo da non fare troppo presto) e del confronto con gli altri. Riguardare il proprio testo, correggerlo e migliorarlo è un principio fondamentale, ma senza confronto con gli altri (non valgono amici o parenti troppo accomodanti, così come gente che non prende mai in mano un libro) non capirete mai quando il vostro libro-raccolta di racconti-silloge poetica è pronto per la…
Pubblicazione, la grande chimera
Una delle parti più interessanti di La scrittura non si insegna è sicuramente quella finale, a cui si suppone tutti vadano a dare un’occhiata prima ancora di aver finito i primi due capitoli (o dopo aver letto il terzo, dove l’autore stesso intima di non farlo col tono del tentatore professionista). Santoni, oltre che scrittore, è anche curatore della sezione di narrativa della casa editrice Tunué, e se c’è uno che può parlare a più livelli di pubblicazione dall’interno dell’industria questo è sicuramente lui.

Come arrivarci quindi? Ovviamente non ci sono formule valide in toto, ma come nell’arco di tutto il libro solo suggerimenti utili: entrare a far parte di una rivista ad esempio, per poter ottenere un confronto gratuito e cominciare a far girare i vostri testi (ma ricordate che mandarli a una rivista significa conoscerla, non inviate a caso a chicchessia perché è sminuente per chi si fa il mazzo per mandarla avanti), evitare l’editoria a pagamento, non essere ossessionati dall’idea di avere un agente e molti altri, utili per evitare errori e incoraggiare quelli a cui manca quell’ultimo passo. Anche gli aneddoti sul modo in cui sono arrivati alla pubblicazione gli autori sotto la sua ala protettrice in Tunué sono interessanti, visto che hanno avuto tutti un percorso diverso e solo uno (il primo, Dettato di Sergio Peter) è stato pescato dal mucchio degli elaborati che quotidianamente arrivano alla casa editrice (lui li legge tutti, assicura, ma evitare di mandare il proprio libro a chiunque indiscriminatamente sarebbe un altro bel gesto). Quello che ci tiene a sottolineare però Santoni è di fare i passi uno per volta, senza pensare solo al grande bersaglio. Ad esempio collaborare con una rivista potrà essere una bella vetrina, ma lo dovete fare per voi e perché ci credete, non solo per sfruttare quella visibilità: sarà un concetto romantico, ma mi trova completamente d’accordo.
L’importante è dire di sì alle riviste (e a tutto ciò che mette assieme più potenziali scrittori), e non tanto per trovare un luogo in cui allenarsi o una scorciatoia per arrivare all’editoria. L’importante è dire sì per entrare in contatto con una società letteraria. Solo così sarà possibile capire davvero cosa si vuole scrivere e arrivare a farlo nel modo che si vuole, e allora neanche ci premerà troppo di pubblicare: sarà una cosa che arriverà da sola, quando sarà il momento.
Vanni Santoni, La scrittura non si insegna
Questo breve manuale non poteva chiudersi meglio che citando le prime righe de I detective selvaggi di Roberto Bolaño. Come, non le conoscete? Tornate a leggere allora, che è uno dei testi della lista alternativa stilata nel primo capitolo! E se volete tenervi in tasca 1500 euro, desiderio più che lecito coi tempi che corrono, spendetene almeno 13 per questo libricino: non avrete Vanni Santoni in casa a correggervi i testi, ma avrete un bagaglio più ampio di suggerimenti e, minimo minimo, qualche ottimo consiglio di lettura. Io mi sono già recuperato Marguerite Yourcenar dalla sua lunga lista (ok, per l’Ulisse non sono ancora pronto), e finito questo articolo mi butto sulle mie due-tremila battute giornaliere: stavolta ho proprio intenzione di durare più di un mese.
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