A link to the (recent) past: i dischi di Broncos! e Palkosceniko Al Neon fra post-hardcore, crossover e non solo

Sono nato sul finire degli anni 70 e la mia formazione musicale, cioè la maggior parte del bagaglio che ha formato i miei gusti, si è sviluppata negli anni 90, perlopiù tramite il grunge e il punk. Ci sono però generi che hanno trovato la loro genesi in quel periodo con cui ho iniziato, per diversi motivi, a fare i conti ben più tardi: fra questi principalmente il post-hardcore e il crossover, che fino ai vent’anni per me si limitavano a qualche ascolto radiofonico (grazie Radio Lupo Solitario) di Jesus Lizard e Rage Against The Machine. Poi le cose sono cambiate, i miei orizzonti si sono allargati e quei generi hanno iniziato a ronzarmi nelle orecchie più spesso, cosa che tornano a fare con il disco d’esordio dei campani Broncos! e con il sesto disco dei laziali Palkosceniko Al Neon. C’è altro a unire questi dischi, a parte questo labile trait d’union con la mia gioventù? No, ma sto vizio di parlare di due o più cose ormai ci ha preso la mano e quindi tiè, oggi ve la beccate così.

Da Eboli con una certa furia

Non si definiscono post-hardcore i Broncos!, e magari quest’etichetta gli starà stretta o la troveranno fastidiosa, eppure fin dalla prima traccia Alfredo ho captato nella loro musica l’atmosfera che caratterizzava molti dischi che mi sono capitati fra le mani agli albori della mia (capitalisticamente fallimentare, visto che nessuno mi ha mai pagato per farlo) carriera nella “critica musicale”, dischi di band tipo i Sant’Antonio Stuntman, per citarne una di cui abbiamo parlato, che mischiavano in maniere strane e personali suggestioni che arrivavano dagli States e non solo. La chitarra tagliente di Emanuel Catalano, il basso cavernoso di Ferdinando Farro (anche alla voce) e la batteria nervosa di Andrea Schiappapietra creano un’amalgama sonora il cui fine ultimo è non metterti a proprio agio, men che meno se sei un elettore di Forza Italia visto che in Finally Berlusconi is dead pisciano idealmente sulla sua tomba.

I ritmi sconnessi e i suoni distorti e poco rassicuranti non sono le uniche armi in dotazione ai Broncos!, che alternano nelle varie tracce suggestioni rock’n’roll (particolarmente nei frenetici assoli di chitarra), post-punk (Full battery), punk (Humans, predators, a cui la voce di Alessandra Altieri, autrice anche della cover, dona ulteriore energia) e blues/stoner, come ben evidenziato dalla traccia finale I’m pro che, sebbene sia l’elemento meno assimilato all’interno del disco, risulta anche quello più convincente. Se le basi sono buone il risultato è però ancora grezzo: gli otto brani del disco hanno un loro sound caratteristico ma le influenze sono slegate, mettono in mostra delle capacità che non indicano chiaramente la direzione verso cui i Broncos! vogliono andare. Non aiutano una registrazione che lascia poco amalgamati strumenti e voce, con quest’ultima che fatica anche ad imprimere energia a testi che, nella loro esplicita sintesi, sarebbero apparsi più dirompenti con una foga maggiore.

Parlare, cantare e urlare, fra crossover ed emo

Anche il quinto disco dei Palkosceniko Al Neon non brilla per una registrazione limpida, suona tutto un po’ compresso e sebbene questo aiuti la coesione del disco rende anche più difficile notarne particolarità e asperità. A questo riesce comunque a mettere una grossa pezza l’esperienza, perché la band romana ha sviluppato nel tempo un suo mix fra crossover della prima ora, italiano e non (non so perché ma mi fa venire in mente gli ormai dimenticati PWR, per quanto questi ultimi cantassero in inglese), con suggestioni punk che spaziano dall’hardcore dei brani più tirati a momenti emo, non meno potenti, che li accomunano agli ZiDima (e anche di loro avevamo parlato, più di una volta). È in particolare la voce a rappresentare il legame più diretto con la band lombarda grazie alla versatilità espressiva di Stefano Tarquini, che qui a Tremila Battute abbiamo conosciuto in veste di narratore dato che ha collaborato più e più volte con i suoi racconti in musica: dall’Intro alla conclusiva Il giorno solo, momenti di recitazione in musica che mettono in evidenza la qualità dei testi, Tarquini alterna il rapcore di Disaccordo e Ortiche allo spoken word delle strofe di Alpaka, mischiando sapientemente i registri e non negandosi le urla, ad esempio in Subbuteo e Rondine.

Pur passando per vari cambi di formazione in più di quindici anni di carriera la macchina musicale dei Palkosceniko Al Neon è ben oliata, e servono pochi ascolti per essere avvolti e rapiti dalla loro grinta. C’è chi apprezzerà maggiormente i riff crossover di Disaccordo, che puntano alla compattezza sonora sacrificando l’originalità, chi si farà catturare dagli stop and go della breve Diamante, chi si farà trascinare dalla cadenza lenta e ipnotica di Il mio nome per arrivare poi tutti insieme a sfogarsi con la frenetica Ortiche, sicuramente uno dei momenti migliori insieme all’azzeccatissima cover di Bianchezza di Pierangelo Bertoli, in cui l’anticlericalismo del cantautore emiliano si sposa efficacemente con l’impronta hardcore data dalla band romana al brano. Per pochi secondi non mira a innovare il mondo della musica, ma nei tredici brani che lo compongono i Palkosceniko Al Neon condensano energia e poesia, malinconia e rabbia, dimostrando che la semplicità può essere un’ottima arma se sai come renderla efficace con suoni e parole.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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