Ci sono due modi di inquadrare un disco come Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare, quello attuale e quello universale. La rabbia e l’energia che emanano dall’ultimo disco degli ZiDima possono essere viste infatti come il grido di un’umanità esasperata, vittima oltre che dei propri problemi anche di una situazione di cui aspettiamo ancora la fine; per chi li conosce meglio, invece, l’album non è nient’altro che la prosecuzione di un cammino tanto sonoro quanto politico da parte di una band che da sempre dice quel che pensa, e quel che pensa non può fare a meno di passare per una musica energica quanto loro, nel caso specifico un mix di noise e tanto post hardcore.

Entrambi le visioni condividono una parte di verità. Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare nasce infatti dalle storie di persone con cui gli ZiDima sono entrati in contatto, raggruppate per farne un piccolo specchio del mondo reale in un periodo in cui tutto sembra irreale, ma la dedica (“a chi continua sentirsi vivo e pericoloso”) indica la prosecuzione della lotta, non certo una pausa di riflessione, prova ne sia anche solo il testo di Emme: frasi come “qui nessuno ha perdonato né mai dimenticato/ e aspetto di vedervi sventolare giù a Loreto” sono una chiara presa di posizione e, allo stesso tempo, la naturale prosecuzione di un discorso, se è vero che sul precedente disco annunciavano (in Come farvi lentamente a pezzi) “ci riposeremo solo quando avremo vinto”.
Lotta e cicatrici, di questo parlano le canzoni degli ZiDima, storie accompagnate da tanta furia ma anche da momenti più tranquilli. Sotto questo aspetto la band dimostra una varietà stilistica maggiore rispetto al passato, alternando distorsioni e melodie in maniera molto efficace anche all’interno dello stesso brano. Ne sono prova canzoni come Roby, blanda e delicata ma che quando s’infiamma ha la potenza dei più coinvolgenti canti di piazza (e il coro intona non per niente, anche per il momento storico, “il popolo ha fame”), o la conclusiva Paolo e Rocco, dolce ed empatica ma, anche in questo caso, non arresa. Nel secondo caso è la voce di Alessandro Andriolo dei Selva a guidare la carica, un’ospite che si dimostra importante ogni qualvolta viene chiamato a dare energia con le sue grida.

Il lavoro sui suoni operato dagli ZiDima è magistrale. In Del nostro abbraccio ostinato in questa crepa in fondo al mare c’è la potenza degli strumenti, che quando si uniscono come in certi momenti dell’iniziale Vale e di Zita creano un fronte granitico, ma quello che stupisce di più è l’attenzione al dettaglio. Lo si nota particolarmente in Chiara, dove a strofe arpeggiate che ricordano vagamente le atmosfere livide degli Alice in chains più presi male si associano ritornelli in cui il violino si innesta a meraviglia con le distorsioni, creando un effetto quasi drammatico (acuito, anche qui, dalla voce di Andriolo), e parlando di strumenti “esterni” è ottimo anche l’inserimento della tromba nel finale della già citata Roby. Una nota stonata però c’è, ed è il volume della voce nel mix generale: che l’intenzione della band fosse quella di ottenere un’amalgama il più possibile compatta è chiaro, ma per riuscirci sacrificano troppo le grida di Manuel Cristiano Rastaldi, un peccato grave se si considera l’alta qualità dei testi.
Gli ZiDima hanno sfornato un disco potente e incisivo, liberatorio e libero, importante soprattutto (ma non solo) per questo periodo complicato. L’album vede la luce grazie al contributo di ben otto etichette (che vale la pena citare tutte: Boned Factory, Brigante Records, Fresh Outbreak Records, Gasterecords, I Dischi del Minollo, In Circle Records, Nel mio nome Dischi e Truebypass), ed è un peccato che la situazione attuale impedisca di godere di queste canzoni dal vivo: in attesa di poterlo fare ascoltatele qui, in modo da impararle e cantarle insieme sotto al palco.
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Una opinione su "Di resistenze attuali e universali: l’ultimo disco degli ZiDima"