Ho da poco finito di vedere una serie di cui magari avrete sentito parlare. Si chiama The Morning Show, ha Jennifer Aniston e Reese Whiterspoon come interpreti principali (e produttrici) e scandaglia le reazioni del personale di un network televisivo quando le accuse di molestie sessuali sul posto di lavoro, che hanno dato il via al movimento #MeToo, arrivano a toccarli da vicino. Al netto di poche concessioni alla drammatizzazione stucchevole la serie è davvero ben scritta, ma non è di questa che voglio parlare bensì della musica che la accompagna: mi sono bastate poche note di piano infatti per riconoscere la mano, alla direzione della colonna sonora, di Carter Burwell.
Burwell l’ho scoperto casualmente proprio col primo film a cui ha collaborato, Blood simple, esordio alla regia di una coppia che da lì ha fatto molta strada: i fratelli Ethan e Joel Coen. Già da quel momento (siamo nel 1984) si instaura un sodalizio che ha visto Burwell collaborare a tutti i film della coppia, A proposito di Davis escluso visto che le musiche furono curate dal cantautore T-Bone Burnett. Il tema portante di quell’esordio ce l’ho stampato in testa, l’ho perfino usato in una canzone del fallimentare progetto di reading distorto [progetto morosa], che avevo messo in piedi più di dieci anni fa: registrammo solo sei canzoni, perse ormai nell’etere dopo la morte di myspace, in una sala prove di Gaggiano con un’ora di tempo e zero esperienza, ma sono orgoglioso di essere riuscito con le mie scarse capacità musicali a registrare al volo una sopra l’altra tre parti di chitarra per citare la musica che trovate qui sotto.
Non è certo l’unico compositore che ha associato il proprio lavoro alla quasi totalità dei film di un regista (penso a Ennio Morricone con Sergio Leone, o John Williams con Steven Spielberg, giusto per fare due esempi), ma quello che mi ha colpito di Burwell è come sia riuscito a collaborare stabilmente con alcuni dei miei autori preferiti. Oltre ai Coen, che venero a partire da quel cult che è Il grande Lebowski, altri due registi lo hanno richiesto stabilmente per i loro lavori, e se non mi ero sinceramente accorto della sua mano nei film di Spike Jonze l’avevo invece notata eccome in quelli di Martin McDonagh.
Ho adorato ogni film di McDonagh, tanto che quando ho visto la pioggia di nomination per il suo Tre manifesti a Ebbing, Missouri ho deciso di farmi l’unica tirata della mia vita per vedere tutta la cerimonia degli Oscar. Tristemente vinsero solo l’annunciatissima Frances McDormand e Sam Rockwell (altro mio feticcio), e fra quelli che rimasero a bocca asciutta c’era lo stesso Burwell, alla seconda nomination dopo il Carol di Todd Haynes (altro regista con cui la collaborazione è continua). Se questo film e In Bruges hanno però ottenuto la visibilità che meritavano, mi sono sempre chiesto per quale motivo la stessa attenzione non l’ha ricevuta Sette Psicopatici: cast di attori azzeccatissimo, storia metacinematografica come non se ne vedeva da Il ladro di orchidee (Spike Jonze, guarda caso), e scelte musicali fantastiche. Quando parte il tema sottostante, subito dopo l’ultima scena del film, io ho sempre un brivido.
Non ho i mezzi per analizzare il lavoro musicale di un compositore, ma da appassionato mi sono sentito in dovere di far conoscere un nome che ha contribuito a fare la storia del cinema e che è ingiustamente poco noto fra il pubblico (chissà se il suo nome dice qualcosa ai fan della saga di Twilight: i due Breaking Dawn hanno la sua impronta musicale, altro rapporto di lunga data col regista Bill Condon). Sentire la sua mano e riconoscerla, oggi come anni fa, mi fa sempre piacere: spero che prima o poi se ne accorga anche l’Academy.
Bonus track: negli anni 80 ha fatto parte di molte band a New York, fra cui i Thick Pigeon. E in un brano come questo la sua mano è già riconoscibile.
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