Ci sono vari passaggi che mi hanno portato alla decisione di scrivere racconti basati su canzoni. Anni fa mi era venuta l’idea di raccontare l’assedio di un motel sperduto da parte di un gruppo di folli, traendo ispirazione per ogni capitolo da una canzone diversa: all’inizio ci sarebbe stata L’agguato dei Marlene Kuntz, seguita da The moonlight murders psychedelic band di Samuel Katarro (oggi a capo del nuovo progetto King of the opera) e Questa no di Giorgio Canali & Rossofuoco. Poi mi sono incartato, ho cominciato a pensare ad altre cose e il motel è ancora salvo. Per ora.
Della rubrica Musica Aumentata su Indie-Zone avevo già parlato, ma c’è stato un piccolo passaggio prima di questa esperienza, un esercizio svolto alla scuola di scrittura Belleville di Milano che consisteva proprio nell’inventare una storia di tremila battute su un argomento diverso per ognuno: poteva essere un quadro, una fotografia, nel mio caso fu una canzone.
Di Ezio Bosso so ben poco, se non che era un compositore famoso e che da anni era affetto da una grave malattia. Non mi metterò a cercare su Wikipedia per elencare dati che non fanno parte del mio bagaglio di conoscenze, ma se questo blog esiste lo devo anche al tempo speso sulle sue note. Il primo, vero racconto in musica è stato questo, e mi è sembrato giusto pubblicarlo a pochi giorni dalla sua morte: un sincero tributo a un ispiratore.
Questo racconto cerca parzialmente di rispondere anche a una domanda che mi sono fatto spesso negli anni: perché esistono così pochi film horror che si svolgono alla luce del giorno? Se c’è una cosa che, a mio parere, può testimoniare la perdita di ogni speranza è la conferma che i tuoi incubi notturni non svaniscono con la luce del sole, eppure riesco a pensare solo al recentissimo Midsommar come esempio di esperimento in questa direzione. Forse scriverò qualcosa al riguardo in un articolo, per ora godetevi una storia che parla del coraggio che ci vuole ad affrontare la vita quando qualcosa ci convince che non c’è più speranza. Buon ascolto, e buona lettura.
Del movimento spontaneo
La prima cosa a cui pensa è la fuga.
Ma dove può rifugiarsi? Non c’è nessun luogo sicuro, così si abbandona. Inspira. Espira. A lungo, affannosamente, cercando di escludere il mondo pur consapevole di non avere la forza di abbandonarlo.
E, quando riapre gli occhi, tutto esplode attorno a lei.
I colori la avvolgono, il rosso delle foglie sugli alberi, il giallo dei fiori, il verde dell’erba su cui poggia i piedi. Sente il vento scuoterle i capelli, il rumore delle fronde che si muovono ad un ritmo asincrono, il ronzare delle api che attorno a lei infondono vita alla natura. Avverte il lieve tremore del proprio corpo ogni volta che una le si avvicina troppo. Guarda lo spettacolo attorno a sé, cercando di non ascoltare il battito del proprio cuore, quel ritmo serrato che la avvisa che qualcosa non va.
Che c’è un elemento stonato.
Quello strisciare, lento e tormentato, proprio di fronte a lei, dove non ha più il coraggio di guardare. La creatura che le si avvicina, come vomitata da una terra che immaginava capace solo di magnificenza.
Non può ignorarla a lungo, e quando la fissa si accorge di esserne avvinta. Sa che la vedrà ovunque, d’ora in avanti, se non lei la sua minaccia di destino ineluttabile. Sarà in ogni specchio d’acqua in cui si bagnerà, pronta a trascinarla a fondo. In ogni atomo d’ossigeno che inspirerà, pronta a diffondersi nel corpo come un cancro.
Il battito del suo cuore si piega al movimento della creatura. C’è qualcosa di ipnotico in quell’incedere, una grazia che supera l’orrore. Non sono più le fauci sbavanti a soggiogarla. Non il puzzo nauseabondo. Quello strisciare è ormai una ninna nanna gotica, promette un riposo eterno. Lì, il ritmico pulsare che sente rimbombare nelle orecchie non sarà più un fastidio.
Si sente pronta a dire addio, a salutare una vita che ormai promette solo paura. Chiude gli occhi, si protende in avanti, aspetta l’ultimo istante della sua esistenza con estatica enfasi.
Così assorta che lo scatto dei denti a vuoto stupisce anche lei.
Cos’è quel battito ribelle? Da dove vengono le energie che l’hanno fatta ritrarre di scatto?
Si sente muovere, quasi non avesse più il controllo dei propri arti. Guarda un’ultima volta la creatura prima di volgerle le spalle, di cominciare a camminare, a correre, libera, senza temere le api, il vento impetuoso o i rami che la graffiano mentre si protende oltre il bosco e la paura.
Perché la vita non è questo. Non è arrendersi all’orrore, ma lottare per conquistarsi il diritto a godere di ciò che di bello porterà il prossimo attimo. È un cammino, forse inutile, ma che può essere permeato di gioia oltre che di sofferenza.
E così corre, oltre gli alberi, oltre il lamento che sente alle sue spalle, oltre la paura, oltre i sogni gli incubi le aspettative i timori e ad ogni battito un passo la porta un po’ più in là, sempre più in là, ancora più in là.
Finché, esausta e ormai salva dal mondo e da sé stessa, comincia a vivere per ogni istante che le è concesso.
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2 pensieri riguardo “Racconto in musica 13: Del movimento spontaneo (Ezio Bosso – Between men and trees)”