Racconto in musica 214: Indietro (Kaada – How to construct a time machine)

Nelle ultime settimane mi è capitato di andare spesso al cinema, complice un’infornata di film interessanti che non ho recuperato nemmeno interamente causa distribuzione ballerina (mi manca perlomeno Together apparso solo in qualche multisala in periferia, per non parlare del Kinghiano The long walk misteriosamente mai uscito nella data prevista nonostante l’internet giuri tuttora di sì). Fra questi ero particolarmente curioso di vedere The smashing machine, il tentativo di Dwaine “The Rock” Johnson di diventare un attore vero che non fa solo fumettoni dalle trame tutte simili, innanzitutto perché dietro all’operazione c’era uno dei fratelli Safdie (Benny), autori di quella bomba di Diamanti grezzi che, se non vi fosse capitato di vederlo, fiondatevi subito a recuperarlo. La faccio breve: The smashing machine non è male, The Rock merita il plauso per la sua prova attoriale, ma al film in generale manca qualcosa nel coinvolgere lo spettatore nelle vicende di Mark Kerr, il lottatore di MMA sulla cui vita è basata la pellicola. Ben più soddisfazione ho ricevuto da The ugly stepsister, rivisitazione della favola di Cenerentola ad opera della regista norvegese Emilie Blichfeldt, in cui suggestioni body horror (non aspettatevi però il The substance sbandierato in promozione) si mischiano a riflessioni sul ruolo della donna non banali, il tutto condotto con tono irriverente e un gran senso del ritmo.

Ma perché inizio questo articolo parlando di cinema? Perché i fratelli Safdie storicamente si sono avvalsi nelle loro (ancora poche) opere delle musiche di Oneohtrix Point Never, sperimentatore elettronico molto interessante che però in The smashing machine era assente (sarà con l’altro fratello Safdie, Josh, nell’imminente Marty supreme), mentre quel tocco allo stesso tempo molto presente ma funzionale al racconto, nonostante l’elettronica mal si dovrebbe sposare con un’ambientazione ottocentesca, l’ho trovato in The ugly stepsister a opera di Kaada, il protagonista della settimana qui sulle schermate di Tremila Battute.

Ma da dove spunta e cosa fa John Erik Kaada? Classe 1975, il giovane John Erik si forma al piano, impara a suonare il suo primo synth a dieci anni e prima dei venti fa già parte di una band acid-avant garde jazz, i Cloroform, che ammetto essere l’unica parte della sua carriera che non ho recuperato nelle ultime due settimane. Con i Cloroform (composti da lui al pianoforte, Øyvind Storesund al basso e Børge Fjordheim alla batteria) pubblica tre album fra il 1998 e il 2000, e per mantenere la scansione di un disco all’anno nel 2001 esce una versione remixata dell’ultimo album, Do the crawl, ad opera dello stesso Kaada: Scrawl, pubblicato come (quasi) tutti gli album della band dalla Kaada Records, è uno dei due dischi con cui inizia la carriera solista del poliedrico e stakanovista compositore, che nello stesso anno pubblica anche Thank for giving me your valuable time inizialmente sotto EMI. Facciamo un minimo di recap perché già qua si rischia di fare casino: Kaada ha venticinque anni, una band jazz, ha pubblicato un disco di remix, il suo primo album solista mischia elettronica e sample di musica anni 50/60 e  ha pure iniziato a lavorare come compositore di colonne sonore. Voi cosa facevate a venticinque anni?

Nel secondo quarto di secolo della sua vita Kaada non si ferma e anzi allarga, rilancia, tanto che per ripercorrere ciò che ha fatto ci vorrebbe lo stesso tempo. Kaada al jazz e alla musica elettronica aggiunge la musica classica, mischia tutto e sforna altri sette dischi, spaziando dall’intimistico al magniloquente senza perdere un gusto pop che riemerge soprattutto in And if in a thousand years, ultima prova discografica uscita nel 2023 per l’etichetta Mirakel; coi Cloroform prosegue a spron battuto fino al 2007, poi forse capisce anche lui che non può fare tutto (o fa molto altro sotto traccia) e la band si prende una pausa fino al 2016, anno dal quale riprende la produzione con i dischi Grrr (Kaada Records) e Overtredelse (2021, Mirakel); nei primi anni duemila attira l’attenzione di un altro sperimentatore matto che risponde al nome di Mike Patton, che oltre a ripubblicare sotto la sua Ipecac il primo disco solista di Kaada e altri suoi album successivi ci collabora due volte, facendo uscire a nome di entrambi Romances (2004) e Bacteria cult (2016), in cui l’atmosfera onirica creata dagli strumenti (spesso autocostruiti, giusto per aggiungere complessità al tutto) dell’uno si sposa con le sperimentazioni vocali dell’altro; e poi le colonne sonore, che spaziano fra i generi (non vi viene la curiosità di vedere la serie norvegese ZonbieLars, incentrata su un undicenne mezzo zombie? A me sì) e arrivano fino a quel The ugly stepsister da cui siamo partiti, in cui Kaada sfodera un inaspettato amore per i synth anni 80 e li rende l’accompagnamento musicale perfetto di una vicenda che si svolge uno o due secoli prima che siano inventati. Lo so, vi abbiamo dato dato un botto di informazioni in pochissimo spazio e probabilmente vi abbiamo stordito: per capire meglio non vi resta che ascoltare, andando sul suo profilo Bandcamp, dove troverete una parte di tutto ciò che ha realizzato negli anni.

How to construct a time machine è la quarta traccia di And if in a thousand years, un brano delicato che con una grana più lo-fi avrebbe potuto benissimo passare per una delle bucoliche sperimentazioni retrofuturiste dei Boards of Canada. Il racconto che troverete sotto non nasce ispirato dalla canzone, ma l’ho scritto ben prima di conoscere la musica di Kaada: mi è sembrato però che l’atmosfera del brano si adattasse perfettamente a una storia in cui l’invenzione della macchina del tempo viene trattata con sufficienza, per cui non mi resta che lasciarvi valutare se questo matrimonio s’aveva da fare o meno augurandovi, as usual, buon ascolto e buona lettura.

Se volete ascoltare questo e tutti (o quasi) gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero l* artist* accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti).

Scarica la fanzine di Tremila Battute: numero Zero, numero Uno, numero Due e numero Tre.

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Abbiamo inventato la macchina del tempo. Si può solo andare nel passato di cinque secondi, ma è comunque un risultato. Non è da tutti invertire le regole dello spazio e del tempo.

È grandioso, ho esclamato quando abbiamo verificato l’esperimento.

Meglio che un palo nel culo, ha commentato il mio collega. Difetta di entusiasmo, forse crede debba reagire così un vero scienziato.

Nemmeno la responsabile all’ufficio brevetti è rimasta impressionata. Ha consultato le carte, cincischiato con lo smartphone mentre spiegavo l’allaccio del sistema tramite un dispositivo non più grande di un orologio da polso.

Sì, ha detto, ma sono solo cinque secondi. Che cosa cambi in cinque secondi?

Le piccole cose, ho risposto. Una parola sgarbata, la frenata un attimo in ritardo, tutti quegli atti che quando ci pensi dici “vorrei non averlo fatto”.

Sì, ha detto, ma restano cinque secondi. Io quando rispondo male ci metto delle ore ad ammettere che avevo torto, e anche così faccio fatica a dirlo.

Ha ragione, ha detto il mio collega, che difetta anche di empatia nei miei confronti.

Io comunque lo brevetto, ho risposto. Poi mi sono pentito del mio tono piccato, ma ormai erano passati diversi minuti e stavo guidando verso casa.

È un disastro. Chiedi i fondi di qui, di là, tante strette di mano ma pochi soldi. Siamo riusciti a produrre qualche esemplare per il lancio, ma per la pubblicità necessaria ci siamo già indebitati.

Qui finiamo in galera, ha detto il mio collega, che almeno non mi ha lasciato solo sulla barca che affonda.

I commenti sono sempre gli stessi: troppi soldi per comprarlo, troppo breve lo spazio di tempo. Nel brainstorming per il lancio qualcuno ha proposto di utilizzarlo per tornare indietro subito dopo l’orgasmo, riprovandolo all’infinito.

Ha per caso un’opzione loop?, ha chiesto.

No, ho risposto, e poi temo che creerebbe dipendenza.

Manca un mese all’uscita. Nessuno crede che la gente lo utilizzerà, ma io sogno un mondo in cui le persone imparino dai propri errori, che siano in grado di reagire prontamente a un gesto di nervosismo. La mia è un’utopia di gentilezza, hanno detto al brainstorming, e la gentilezza non vende.

Possiamo sempre venderci il brevetto, ha detto il mio collega. Accanto a lui c’è uno dei nostri principali investitori, lo sguardo tagliente da squalo. Mi chiedo cosa potrebbe fare con la nostra tecnologia avendo più tempo per la ricerca, più fondi da investire. Più tempo verso cui ritornare.

Forse andare a fondo non sarà il più grosso dei nostri problemi.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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