Cronaca di una sconfitta: Ultimo parallelo di Filippo Tuena

Le imprese compiute nella natura selvaggia non mancano mai di essere glorificate. Persino Jon Krakauer, nel suo Nelle terre estreme, non può nascondere l’ammirazione per Chris McCandless pur segnalando quanto la reazione degli abitanti dell’Alaska sia stata ben diversa da quella di chi, come me, è rimasto affascinato più dalla poeticità dei suoi intenti che scandalizzato dall’impreparazione che ha dimostrato. Come si può quindi raccontare la conquista del Polo Sud, compiuta nel 1911 con mezzi per forza di cose meno efficaci di quelli che abbiamo ora, senza puntare tutto sull’epica dell’impresa, anche se è impresa a metà visto che i prodi esploratori vengono battuti sul tempo da un’altra spedizione? Filippo Tuena con il suo Ultimo parallelo, ripubblicato quest’anno da Il Saggiatore, ci è riuscito narrando la storia del Southern Party guidato da Robert Falcon Scott attraverso un originale punto di vista, sia narrativo che concettuale.

L’uomo in più

La storia che Tuena ha deciso di raccontare è quella della spedizione inglese che per prima approdò in Antartide, ignara di dover affrontare la competizione con la squadra norvegese di Roald Amundsen e, come si scoprirà nel corso dell’impresa, impreparata di fronte alle condizioni in cui si verrà a trovare. Partiti per fare la storia gli inglesi verranno battuti sul tempo da Amundsen, capace di raggiungere il Polo Sud con un mese di anticipo grazie alle slitte trainate da cani, un’umiliazione a cui Scott e altri quattro compagni (Henry Bowers, Lawrence Oates, Edward Adrian Wilson ed Edgar Evans) non sopravvivranno, incapaci di ritornare al campo base dopo essere comunque riusciti a raggiungere la meta prefissata.

La storia con la S maiuscola si è potuta ricostruire parzialmente grazie ai diari rinvenuti sui corpi congelati di Scott, Bowers e Wilson (i corpi di Oates ed Evans non verranno mai ritrovati), ben otto mesi dopo la loro morte, ma per narrare la vicenda umana Tuena aveva bisogno di un testimone oculare, anche laddove non poteva esserci. Ecco quindi che, prendendo a prestito un passo del Terre desolate di T.S. Eliot (a sua volta ispirato da alcune testimonianze di una successiva spedizione in Antartide), l’autore introduce la figura dell’Uomo in più.

Chi è quel terzo che cammina al tuo fianco?

Quando conto, ci siamo soltanto tu e io, insieme

Ma quando guardo avanti verso il sentiero bianco

C’è sempre un altro a camminarti al fianco

Che scivola avvolto in un mantello bruno, incappucciato

Non so se sia uomo o donna.

– Ma chi è quello che ti sta dall’altra parte?

T.S. Eliot, Terre desolate

L’uomo in più, una figura che Tuena lega anche alle leggende sulle divinità antartiche delle tribù maori, si dimostra un escamotage narrativo estremamente funzionale, capace di raccontare ciò che nessuno ha potuto vedere ma anche accompagnatore silenzioso lungo tutto il protrarsi della spedizione, dall’arrivo nel gennaio 1911 alla partenza definitiva due anni più tardi. In quanto figura esterna, impermeabile alle vicende umane, l’uomo in più racconta ciò che vede senza enfasi, concentrandosi sui fatti senza concedersi romanticismi, una scelta azzardata ma che rappresenta l’unicità del libro nel panorama letterario.

Dopo alcuni mesi di preparativi il Southern Party parte alla volta del Polo Sud il 24 ottobre 1911. Fino al 3 gennaio, giorno in cui Scott comunicò i nomi della squadra ristretta che avrebbe coperto l’ultimo tratto verso il Polo Sud (il Pole Party), la squadra deve già affrontare difficoltà impreviste: i pony portati fin lì si rivelano inadatti al clima rispetto ai cani dei norvegesi, il cado inaspettato li costringe inizialmente ad arrancare nel fango e, quando affrontano l’ascesa lungo il ghiacciaio Beardmore, sono crepacci e la poca esperienza con gli sci a rallentarne il passo. L’osservatore silenzioso che li affianca restituisce in pieno con la sua testimonianza la fatica che il gruppo è costretto ad affrontare, sempre più insopportabile man mano che membri della spedizione vengono fatti ritornare al campo base, seguendo un piano che mostra le sue falle a ogni giorno che passa.

Scott incarnava l’antieroe laico perché c’era qualcosa in lui che sfuggiva alla divinizzazione, nonostante i monumenti che una moglie inafferrabile gli avrebbe dedicato in cinque continenti; nonostante la retorica dell’Impero, nonostante una sua volontà sotterranea per assumere quel ruolo. È il suo sguardo lievemente bovino, glauco, bonario che sembrava contraddire le sue azioni. È la sua andatura caracollante a vanificare ogni intento eroico, celebrativo.

Filippo Tuena, Ultimo parallelo

I lunghi periodi utilizzati da Tuena nella costruzione delle frasi trasmettono tutta la fatica e la sofferenza provate dagli esploratori, senza che vi sia bisogno di parole superflue e anzi facendo leva solo sulle azioni, quelle ripetute continuamente per trattenere un po’ di calore durante la notte o per ridurre gli effetti dell’oftalmia. Persino i piccoli errori che si riveleranno fatali, come una ferita subita dal marinaio Evans che ne minerà il fisico durante la parte finale della spedizione, vengono descritti senza enfasi, lasciandoci intuire la loro portata drammatica senza bisogno di esplicitarla, perché in fondo ciò che vuole glorificare Tuena non è il sacrificio degli esploratori, ma la loro sconfitta.

La storia di una sconfitta

Forse gli esploratori della Terra desolata di Eliot e quelli dell’Antartide di Scott nel corso dei secoli finiranno per assomigliarsi: incappucciati, intabarrati in un mantello bruno, affrontano la spaventosa fatica del procedere nelle terre desolate dell’estremo sud in totale solitudine di pensieri, nonostante siano in compagnia e nonostante a essi si affianchi l’ignoto compagno che è ovviamente un’apparizione fantasmatica, una memoria, una premonizione.

Filippo Tuena, Ultimo parallelo

Che la spedizione di Scott sia destinata a fallire non ci viene mai negato, anzi. Una delle prime cose che l’autore ci rivela è un sogno premonitore avuto da un membro della spedizione rimasto al campo base, Tryggve Gran (ironicamente norvegese come Amundsen), che ha l’onirica visione dell’arrivo al Polo Sud del contingente norvegese proprio nel giorno dell’effettivo arrivo, il 14 dicembre 1911. Se manca totalmente un’epica avventurosa non è solo per il punto di vista utilizzato, perché questo è semplicemente funzionale alla scelta effettuata di Tuena di esaltare il fallimento, mostrarcelo in corso d’opera senza omettere niente: la marcia senza sci per un mese intero di Bowers, costretto a tirare una slitta carica di tre-quattro quintali di materiali e provviste a temperature medie oscillanti fra i -25 e i -30 gradi centigradi, non è esaltata se non per la sua inutilità, una sofferenza patita senza nessun premio da ottenere in cambio.

Il viaggio in cui Tuena ci porta è di grande spessore letterario, fra parti in versi, foto della spedizione (miracolosamente recuperate dalla macchina fotografica che Scott portò con sé fino al limite estremo del mondo) e una parentesi quasi allucinatoria coincidente con l’attraversamento a ritroso del ghiacciaio da parte del Pole Party, ma quel che più rimane impresso è quanto questi uomini appaiano derelitti ed eroici allo stesso tempo. A differenza di molta letteratura della nostra epoca (comprendente quella del periodo in cui venne pubblicato la prima volta, nel 2007) Ultimo parallelo riesce a rendere epici i suoi personaggi proprio facendo di tutto per trasmettere la loro semplice umanità, perché a volte bastano i fatti nudi e crudi per rendere una storia degna di essere tramandata, anche se è quella di chi non passerà alla storia per un traguardo raggiunto ma solo per una morte solitaria in mezzo al nulla. Un po’ come Chris Mc Candless in fondo, anche se con un percorso opposto negli intenti.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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