Racconto in musica 174: Utopia domestica (Hyper Gal – Domestic Utopia)

Penso di essermi posto molte volte in questi articoli introduttivi la domanda “perché ci si innamora di un determinato disco/artista”? Non è infatti sempre motivabile con il genere che seguiamo in quel momento, con l’affetto che proviamo per un* determinat* artista, con un’estetica che ci attrae o con chissà quale altro canonico motivo per identificare ciò che ci piace o, normalmente, dovrebbe piacerci. A volte è l’inaspettato a conquistarci, quel mix di elementi che combinati insieme ci scuotono dalla nostra comfort zone e ci aprono nuove vie; a volte, ed è il caso delle Hyper Gal, è il fatto che siano la cosa più respingente e caotica con cui sono entrato in contatto da un bel po’ di tempo a questa parte… Ma posso capire che possa funzionare solo per me il connubio fastidio/amore.

La band formata da Koharu Ishida (voce) e Kurumi Kadoya (batteria e casino vario) l’ho scoperta grazie a un concerto che si deve ancora svolgere. Il duo formatosi a Osaka nel 2018 arriverà infatti a Milano a novembre, ho intercettato per caso la data sulla pagina Facebook dell’Arci Bellezza e, affascinato da qualunque cosa venga dal Giappone da prima di riuscire ad andarci l’anno scorso, mi sono detto “sentiamo cosa fanno”.

Casino. Le Hyper Gal fanno casino.

Ok, ma che casino? So dirvi poco del primo disco A song for xxx del 2019 (Mizuiro Records), perché non si trova online da nessuna parte e pure le copie fisiche sono esaurite (ma su YouTube trovate una loro performance live del 2018, guardando la quale potete aiutarmi a capire la differenza fra le canzoni 09 e 09 for men), ma a marzo è uscito il loro secondo disco Pure per la prestigiosa Skin Graft Records (non farò finta di conoscere vita, morte e miracoli di questa etichetta, ma il nome l’ho già sentito più volte e produce altri pazzi giapponesi come i Melt-Banana) e quello me lo sono ascoltato parecchio dopo aver passato indenne il primo approccio. La musica delle Hyper Gal è definibile come la registrazione grossolana di uno scontro fra la musica noise, il pop e le tamarrate che escono dai rythm game di una sala giochi di Akihabara, il tutto accompagnato dalla voce cantilenante di Ishida che ripete in continuazione le stesse frasi (che ovviamente, non capendo una parola di giapponese, ignoro quali argomenti trattino). Come dite? Non vi ho invogliato ad ascoltarle? Brav*, immagino che siate fra quell* che non gettano nemmeno uno sguardo dall’altra parte della carreggiata quando c’è un incidente in autostrada e vi capisco, sono come voi, ma quando si tratta di musica gli incidenti mi affascinano molto e dopo la prima sensazione di stordimento ho cominciato a sentirmi coinvolto da questo vortice di suoni aggressivi e invadenti, dall’aggiunta continua di synth in loop dell’iniziale charm, dall’epicità tamarra di Tropical (sarebbe la colonna sonora perfetta per un delirio cinematografico di Takashi Miike o per uno videoludico di Suda51, giusto per rimanere in tema di stereotipi a volte veritieri sull* giapponesi pazz*), dal romanticismo extra lo-fi di Wedding ring e dalle mille altre forme (in realtà sono otto, come le canzoni del disco) che prende la loro musica uscita da un frullatore di cose fastidiose che fanno il giro e divengono adorabili. Io lunedì 4 novembre sarò a sfasciarmi il sistema nervoso di fronte al palco, se volete farmi compagnia sapete dove trovarmi.

In un disco di canzoni fuori di testa Domestic utopia spicca per il modo originale in cui mette alla prova la resistenza dell’ascoltatore: un charlie suonato a velocità ossessiva (e ovviamente registrato con microfoni trovati nelle merendine), con tanto di cali fisiologici di ritmo che le Hyper Gal del clic non se ne fanno niente, alternato a momenti in cui Kadoya aggiunge cassa e rullante marziali e Ishida ci recita sopra con tono monocorde la sua filastrocca. Batteria e voce, fine, anche nel delirio conclusivo di gracchiate urticanti creato dai piatti registrati peggio nella storia della musica: il risultato letterario non poteva che essere altrettanto disturbante, costruito attorno a poche immagini che illustrano due estremi di utopia domestica, nei quali potete ritrovarvi o meno… E spero sinceramente che non vi ci ritroviate. Fate un salto al di fuori della vostra comfort zone e andate più in basso, a me non resta che augurarvi (lo spero) buon ascolto e buona lettura.

Se volete ascoltare questo e tutti (o quasi) gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti).

Scarica il numero Zero e il numero Uno della fanzine di Tremila Battute!

Utopia domestica

Il coltello a destra del piatto.

Le foto del matrimonio nella vetrinetta.

La bottiglia con l’etichetta rivolta verso l’alto.

Le tende ben stirate.

Le scarpe riposte fuori dall’uscio.

Le lenzuola ripiegate di trenta centimetri.

I gladioli nel vaso di fronte alla finestra.

La camicia ripiegata all’interno dei pantaloni.

(Crrr)

La crepa sul bordo del bicchiere.

La ditata sul vetro della finestra.

L’angolo della libreria ricoperto di polvere.

La barba non fatta.

Lo smalto smangiato sull’unghia dell’anulare.

(…)

I pavimenti lucidi.

I libri ordinati per colore.

La tovaglia ricamata della nonna.

Il cuscino a forma di cuore sul divano.

(Crrr)

Il quadro appeso storto.

L’odore di marcio in cucina.

La macchia rossa sul taschino.

Lo specchietto crepato in bagno.

La ragnatela all’ingresso.

La cacca nel bicchiere.

(…………..)

Il prato alto tre centimetri.

La cera sull’auto.

Il canestro sopra la porta del garage.

La scritta Welcome home sullo zerbino.

La casetta per uccelli in veranda.

La maniglia della porta che splende.

Il rolex sopra il polsino.

La cavigliera in oro grigio.

(CRRR)

La katana conficcata nella parete.

La porta che pende da un cardine.

Gli occhi nel portaoggetti.

La poltrona bruciata.

I bossoli sul pavimento.

I denti nel lavandino.

Le schegge di vetro in salotto.

Il sangue che cola dall’abat-jour.

(………………)

Il nostro sorriso.

(CRRRRRRRRRR)

IL NOSTRO SORRISO.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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