Mi capita spesso di chiedermi “se questo disco lo avessi ascoltato x anni fa, come lo avrei recepito?”. Ciò che ascoltavo a vent’anni (perlopiù punk, ska ed emanazioni varie di ciò che una volta veniva definito alternative rock) non è minimamente ciò che ascolto ora, e se da una parte mi sento più selettivo dall’altra so che il me di allora farebbe selezioni decisamente differenti. Ad esempio, che è il motivo per cui siamo qui oggi, non so come il me di anche solo quindici anni fa (quindi il me trentenne che aveva cominciato ad esplorare altri generi musicali tramite i dischi che gli altri non recensivano perché erano “strani”) avrebbe recepito Soak up the sun, il primo disco delle Dendrophilia, un miscuglio sludge noise che alla pesantezza e grossezza del sound unisce una registrazione che più lo-fi non si può. E il me di oggi?
Il me di oggi è piuttosto fresco della lettura di Bassa fedeltà di Enrico Monacelli (ne avevamo parlato qui), con tutto il suo carico concettuale dietro a una scelta che venticinque anni fa avrei ritenuto dovuta a carenze di budget, quindici anni fa a pessime scelte sonore e oggi riesco a giudicare come legittima, ammesso che poi ci sia un valore anche nella struttura dei brani. E quel valore nei dodici pezzi di Soak up the sun c’è, ma ci devi voler entrare nel mondo oscuro concepito da Valentina (batteria), Sara (chitarra) e Beatrice (basso) perché è tutto tranne che accomodante. Ascoltate The VV, la prima traccia del disco, e se qualcosa vi attrae nello schianto al rallentatore fra chitarra, basso e batteria allora siete a bordo con noi.

Strana storia quella della band, ricostruita grazie a questa bella intervista che mi ha anche chiarito come mai sulla loro pagina Bandcamp siano presenti solo un omonimo Ep (acquistabile ma non ascoltabile) realizzato dieci anni fa e poi questo nuovo disco, apparso a fine dicembre 2024 e scoperto solo perché amo curiosare anche fra la musica dei concerti a cui non partecipo (nel caso specifico una delle date del format Materia Oscura al Circolo Gagarin di Busto Arsizio, sempre sia lodato). Le Dendrophilia vengono dall’Oltrepo pavese, da Portalbera per la precisione (o almeno lì possiamo fissare la “sede sociale”, cioè la cantina di Valentina che funge da sala prove e dove è stato registrato Soak up the sun), zona quindi ancora più inculata rispetto alla Lomellina dove ho costruito la mia fallimentare esperienza da musicista: arrivare da zone periferiche, con gusti musicali che difficilmente ti aiutano a intavolare discorsi al bar del paese (ma ti aiutano a trovare spunti, come affermano nell’intervista linkata), nei casi migliori possono portare a creare un proprio sound che non assomiglia ad altro, ed è quello che le Dendrophilia sono riuscite a fare. Con le idee chiare e la giusta regia tecnica (Alessandro Galli, musicalmente attivo col moniker arottenbit, manipolatore e sperimentatore sonoro dalla definizione complicata: immaginate un miscuglio di attitudine punk, metal cattivo alla bisogna ed elettronica a 8 bit) hanno creato un’amalgama pastosa in cui niente suona definito (Valentina pare usi lo stesso set di batteria da vent’anni, piatti usurati compresi) ma tutto contribuisce ad un’atmosfera che, all’interno di un contesto in cui praticamente ogni brano parte con feedback perforanti, riesce a essere varia e interessante.
Basta passare dall’andamento doomeggiante di The VV alla successiva Cyclette per ritrovarsi sparati a velocità più sostenuta verso una struttura che sembra hard rock barbarizzato e che invece cambia animo, ritmo e velocità continuamente nei suoi neanche tre minuti di durata, dimostrando che oltre a un’impronta sonora personale ci sono anche idee interessanti. Ljubav gioca con le sue regole nel territorio dello shoegaze, BMetal (che, a differenza di quanto è lecito credere, sta per Beona Metal) ci porta in un’antro dove la voce salmodiante (di Valentina? Ammetto di non avere informazioni precise in merito, e la mia unica fonte è una clip dal vivo in cui è lei a cantare) imbastisce un sabba che poi rivolta a colpi di urla, Cucciolini reitera un riff granitico condito da grida ancestrali per buona parte della sua durata per poi accelerare e cambiare pelle in pochi secondi, Il grafico delle suore è l’apice del “tirare indietro” fra colpi marziali di batteria e riff che alternano note a feedback detonanti. In un clima simile sembra bizzarro trovare altra luce oltre a quella evocata dal titolo (omaggio a Sheril Crow, non ve l’aspettavate eh?), ma fra la grana grossa dei suoni e tutto lo sludge noise del mondo l’energia che emerge dai brani più tirati, come Wraith e la già citata Cyclette, infondono all’atmosfera una sorta di lucentezza… o forse è l’ironia che le porta a coniare titoli come Menopausa precoce che opera subliminalmente e me le fa considerare meno oscure di come appaiono.
Non nego che Soak up the sun sia sulla lunga distanza un’esperienza provante, ma è di quelle che meritano di essere esperite (nel mio caso principalmente alle sette di mattina mentre andavo a lavoro, buongiornissimo caffè!): suono e idee formano un corpus mai banale e sempre a fuoco, il che può sembrare un paradosso per un album che fa della registrazione grezza e sporca uno dei suoi principali cavalli di battaglia. Se il primo impatto non vi respinge addentratevi nel mondo delle Dendrophilia, ci troverete una perla nera e lucente che merita di essere scoperta.
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