Tremila Battute compie cinque anni! Come festeggiare? Un grande regalo di compleanno ce lo ha fatto il Circolo Masada, che fino a giugno ci ospiterà una volta al mese per parlare con autor* della rivista delle loro pubblicazioni, dei loro racconti e, ovviamente, di musica e letteratura (tenete d’occhio la pagina Facebook per essere aggiornat* sul calendario): un altro abbiamo deciso di farcelo/farvelo contattando autori e autrici che qui apprezziamo un sacco, facendo loro alcune domande che ci ronzavano in testa da un po’ riguardo al loro rapporto con la letteratura, con la scrittura e con tutto ciò che gira intorno all’ispirazione, al metodo e al modo in cui scrivono coloro di cui abbiamo adorato i libri.
Per questo primo appuntamento abbiamo contattato Francesca Mattei e Sergio Oricci, che hanno gentilmente risposto ai nostri quesiti.
Da quanto scrivi?
FM – Scrivo da circa sei anni in modo non molto regolare. In alcuni periodi ho scritto tutti i giorni, nell’ultimo anno invece molto poco.
SO – Ho iniziato a scrivere più o meno nel 2011, intorno ai 29 anni. Non ero spinto da motivazioni particolari; ho provato a farlo, come avevo provato a fare altre cose prima, per vedere cosa ne sarebbe venuto fuori. Quattordici anni dopo sto ancora scrivendo, e il modo in cui la scrittura si è presa a poco a poco spazio e tempo è una delle cose più sorprendenti che mi siano capitate.
Quando hai pensato la prima volta “sono brav* a fare questa cosa”?
FM – La risposta sincera è che non lo so, non me lo sono mai chiesta, quindi non riesco a risalire a un momento in cui ho fatto questo pensiero, perché non l’ho mai fatto. Non perché non creda di essere brava, molte delle cose che ho scritto mi piacciono, ma perché proprio non mi sono mai concentrata su questo punto. Poi si può essere “bravi” nello scrivere qualcosa il cui risultato ci soddisfa e “non bravi” nello scrivere qualcosa che poi risulta meno bello (a te che lo scrivi, intendo). Quindi forse essere “bravi” non è una condizione.
SO – Sicuramente l’ho pensato in più occasioni, non ricordo la prima, e a volte lo penso ancora, ma si tratta di impulsi direi irrazionali, non di qualcosa di cui sono effettivamente convinto. Non mi interessa essere bravo, o in ogni caso non penso alla scrittura in questi termini; quello che mi interessa è scrivere come voglio e avere gli strumenti per farlo. Mi capita di pensare con più convinzione “questa cosa che ho scritto è venuta bene”; non ricordo con precisione la prima volta ma potrebbe essere successo nel 2018 dopo aver scritto un racconto intitolato Volevo essere Vincent Gallo, il primo racconto in cui ho giocato un po’ con il montaggio e con la costruzione.
Hai un metodo di scrittura?
FM – No, per niente! Non essendo la mia principale occupazione, né desiderando che lo sia, non ho mai pensato di crearmi un metodo. Qualora dovessi averne bisogno forse ci penserei. L’unica cosa fissa nei miei testi è il Times New Roman 12 testo giustificato.
SO – Ho una sorta di metodo, nel senso che da qualche anno lavoro ai testi più o meno sempre nello stesso modo: dopo aver trovato l’idea centrale, cerco di capire quale lingua usare e in quale struttura far muovere la storia, e spesso inserisco almeno una difficoltà, qualcosa che non faccio spesso, per provare ad avere in futuro uno strumento in più. Di solito riscrivo più volte il primo capitolo o i primi capitoli, per trovare una certa frequenza, un certo ritmo. Una volta stabiliti questi elementi per me fondamentali, lingua e struttura, e aver finito con i primi capitoli, semplicemente continuo a scrivere restando sempre in ascolto di possibili deviazioni che potrebbero anche modificare molto l’idea di partenza durante il processo.
Ti è capitato di avere il blocco dell* scrittor* e/o pensare “non ho più un cazzo da dire”?
FM – Non proprio, anche se non ho scritto per lunghi periodi, ma non sento la pressione di scrivere, quindi per me direi che non esiste il blocco dello scrittore, ecco. Avere e non avere qualcosa da dire è un argomento interessante. Tutti hanno qualcosa da dire, quindi immagino anche io, ma non sempre riusciamo a dirlo nel modo più “fedele” possibile.
SO – Non mi è ancora successo; senza dubbio prima di stancarmi di scrivere mi stancherò di pubblicare.
Hai una bacheca dei rifiuti modello Stephen King? Se sì (o se no e hai una buona memoria) quanti ne hai ricevuti?
FM – Se ci avessi pensato li avrei raccolti. Quando ho cominciato a proporre i miei testi a delle riviste letterarie, alcuni sono stati rifiutati. Purtroppo non ricordo quali e quanti, però obiettivamente quei racconti non erano un granché.
SO – Non conservo i rifiuti e neanche le risposte positive. Non sono affezionato né ai primi né alle seconde. Di rifiuti espliciti ne ho ricevuti pochi, forse una decina, quasi nessuno ne manda più, ma ho ricevuto molti silenzi, non saprei dire quanti.
Quale autor* quando lo leggi ti fa pensare “ecco, io non sarò mai così brav*”?
FM – Purtroppo non so rispondere neanche a questa domanda. Non vedo la scrittura, soprattutto la mia, in modo prestazionale. Non lo dico per retorica, se fosse il mio lavoro probabilmente ragionerei in questi termini, cercherei cioè di migliorarmi e scriverei in modo forse più progettuale. Ci sono tanti autori e tante autrici molto molto più bravi/e di me. Posso pensare a quelli che sono i viventi italiani che preferisco, tra i nomi più o meno noti, come Paolo Nori, Ferruccio Mazzanti, Beatrice Alemagna, Nadia Terranova.
SO – Nessuno.
Qual è il testo che hai pubblicato su rivista, o che magari non hai mai neanche pubblicato, di cui sei più orgoglios*?
FM – Mi piace molto “Trappola” che uscì su Narrandom e poi fu inserito, leggermente modificato, nella raccolta di racconti “Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa”. Tra quelli più recenti mi piace un racconto uscito su Lay0ut che si intitola “Papaveri”. Parlano entrambi della mia città, quindi ci sono legata.
SO – Tendo a liberarmi abbastanza presto delle cose che pubblico, e in generale non mi pare di aver pubblicato su rivista cose a cui sono rimasto particolarmente legato. I testi che sono più felice di aver pubblicato su rivista sono testi che non ho scritto io. Curo uno spazio online, Clean, in cui pubblico testi di altri; sono quelli i testi su rivista di cui sono più orgoglioso.
Francesca Mattei ha esordito con Pidgin Edizioni con la raccolta di racconti “Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa” (finalista premio “POP” e premio “John Fante”). Suoi testi sono apparsi su diverse riviste (Verde rivista, Narrandom, Malgrado le Mosche ed altre) e antologie tra le quali “Vite sottopelle. Racconti sull’identità” (Tuga Edizioni), “Human/” (MoscaBianca Edizioni), “Cloris” (Pidgin Edizioni). Ha preso parte a “È giusto che finisca così”, primo volume della “Trilogia della vertigine”, edito da CTRL Magazine, che raccoglie undici reportage narrativi e un reportage fotografico. Nel novembre 2022 è uscita la sua novella “Gli stessi occhi”, nella collana 42 Nodi per Zona 42. Nel 2024 ha partecipato all’antologia “L’ora senza ombre” curata da Pidgin edizioni e In allarmata radura con un saggio personale intitolato “Le radici e le ali”.
Sergio Oricci (Fiesole, 1982) vive a Cluj-Napoca, in Romania, dove lavora come traduttore. Alcuni suoi testi sono apparsi su riviste come GAMMM, ‘tina, Nazione Indiana. Ha pubblicato la raccolta di racconti Volevo essere Vincent Gallo (Pidgin Edizioni) e i romanzi La casa viola (Castelvecchi) e Materia Prima (Transeuropa). Ha fondato la rivista Clean.
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2 pensieri riguardo “Qualche domanda sulla scrittura, parte uno: Francesca Mattei e Sergio Oricci”