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Psichedelia, danza e spiritualità nei dischi de I Gini Paoli e Bosco Sacro

Gli iniziati, radunati in associazioni private (come i thiasoi dionisiaci) o al seguito di “carismatici itineranti” – come li chiama Burkert – si lanciavano in danze sfrenate su ritmiche ossessive, facevano uso di bevande psicotrope misteriose le cui ricette si tramandavano da secoli, oltre che seguire pratiche (come la sessualità di gruppo dionisiaca) che obbedivano a tradizioni che abbiamo completamente perduto.

Così Chiara Baldini, nel suo saggio Tramonto al tempio all’interno de La scommessa psichedelica, descrive l’esperienza all’interno di culti misterici dell’antica Grecia come quello di Dioniso. Un’unione di sacro e profano (almeno per quella che è la distinzione che facciamo oggi di pratiche inscindibili per gli iniziati), profondità e leggerezza, il tutto aiutato da “espedienti naturali” per acuire il contatto con l’alterità. Ascoltando Esotica naturalizada de I Gini Paoli (band genovese al suo secondo disco) e Gem dei Bosco Sacro (gruppo formato da membri di Julinko, The Star Pillow e Tristan da Cunha) quest’immagine mi è tornata in mente più volte, perché i due album sembrano parlarsi, avvicinarsi a temi simili pur partendo da basi musicali molto distanti.

Il movimento

I Gini Paoli sembrano usciti da una strana comunione fra la cumbia dei Cacao Mental e l’attitudine soundtrackara (perdonatemi il neologismo) dei Calibro 35. Soprattutto i primi due brani strumentali di Esotica naturalizada (pubblicato dall’etichetta Marsiglia Records), Colazione con Biancosarti trafugato e Achtung! Banditi (omaggio, quest’ultimo, a una pellicola omonima del 1951 sulla Resistenza partigiana genovese, di cui riprende alcuni estratti), potrebbero essere usciti comodamente dalla colonna sonora di qualche film italiano degli anni ’70, giocando in maniera divertita con influenze tropicali, basso funkeggiante e synth che creano un tappeto sonoro avvolgente. La band genovese coinvolge fin dal primo ascolto e man mano che le canzoni si susseguono arriva anche la voce, che in un miscuglio di italiano e spagnolo ci accompagna in un mondo di danza, sostanze psicotrope e panorami naturali evocati, ricercati, rimpianti. A fianco di un andamento musicale che alterna momenti più votati alla psichedelia (Gaigo, che si fa forza della presenza massiccia del sitar) a esotismi spensierati (Conga su conga) I Gini Paoli creano una struttura tematica che, attraverso testi essenziali, parla di concetti mai così attuali: riscaldamento globale, speculazione edilizia e ritorno ad una comunione con la natura più intensa.

Fra microplastiche e Fibrocemento, “orche spaventate in porto a Pra” (Conga su conga) e cure alternative a base di psilocibina (Cumbia del Monte Fasce) il quintetto (Mariasole Calbi a batteria e voce, Angelo Carta a chitarra e voce, Giovanni Ciapessoni a synth, sitar, chitarra e diamonica, Gabriele Guerrini alle percussioni e Carlo Silvestri a basso e voce) unisce sapientemente il divertimento alla profondità, piantando silenziosamente sottopelle il germe di un mondo migliore da raggiungere danzando. Ecco quindi che viene naturale (termine quanto mai azzeccato) seguire, agitandosi al ritmo delle percussioni e dondolando la testa al seguito dei riff chitarristici, la vecchina che in Cumbia del Monte Fasce va a raccogliere funghi psichedelici, ballare con gli occhi chiusi seguendo i rimpalli fra chitarra e sitar di Conga su conga, finendo idealmente in riva al mare a scatenarsi attorno a un falò che brucia come il sangue nelle vene durante Miyazaki, carrozzone con, che nel nome di un regista noto per la sua sensibilità ambientale (ne avevamo parlato qui) conclude un viaggio che attraverso il movimento sfrenato auspica una rivelazione, la presa di coscienza del nostro essere un tutt’uno con ciò che ci circonda.

I Gini Paoli ci tengono a dare il buon esempio non solo attraverso la loro musica, ma anche mostrando materialmente quanto le tematiche affrontate in Esotica naturalizada siano per loro importanti: il disco è stampato in un’edizione a ridotto impatto ecologico, e attraverso la collaborazione con l’azienda zeroCO2 metteranno a dimora un albero ogni tre copie vendute.

La meditazione

Approccio musicale completamente diverso quello dei Bosco Sacro, che già nel nome rivelano però l’emergere di tematiche affini: comunione con la natura e spiritualità sono infatti elementi che risuonano tanto nelle liriche di Giulia Parin Zecchin (al cui progetto Julinko avevamo dedicato un racconto) quanto nelle sonorità ipnotiche create dalle chitarre di Francesco Vara e Paolo Monti e dalla batteria di Luca Scotti. Gem (pubblicato da Avantgarde Music) nasce da un’unica sessione di registrazione all’AMM Monteggiori Studio di Lorenzo Stecconi, e di questa sua genesi istintiva rimane traccia lungo i sei brani che lo compongono, tutti uniti da un’atmosfera oscura che rimanda a rituali dimenticati, segreti sussurrati nelle orecchie degli iniziati.

Viene spontaneo il paragone con la selva oscura di Dantesca memoria ascoltando Gem, perché alle sonorità ancora pervase di una certa dose di luce dell’iniziale Ice was pure si sostituiscono subito vibrazioni più profonde, col ritmo che si mantiene lento e cadenzato, quasi a evocare le ritmiche ossessive della citazione iniziale. Non c’è nulla da temere però all’interno della natura tenebrosa in cui si inabissano testi e musica dei Bosco Sacro, perché chi esperisce l’eterno ciclo della natura non ha nulla da temere dalla morte (Be dust), né dagli sfoghi improvvisi di chitarra e batteria che rompono il tappeto ambient di Emerald blood (che si apre con un fraseggio che ricorda gli Alice In Chains più cupi). Il magma creato dalla band è di rara coesione, forse troppa per non risultare in certi momenti quasi ridondante, ma ad aiutarci a ritrovare la via fra chitarre che sembrano synth e una batteria tribaleggiante arrivano la varietà della voce di Zecchin, che passa dal sussurro cospiratorio al vocalizzo malinconicamente acuto, la progressione continua di Les arbres rampants, la rarefazione conclusiva di Bosco Sacro.

Sfuggenti come le rivelazioni dei culti misterici, i brani di Gem possono apparire inizialmente ostici: chi avrà il coraggio di farsi avvolgere dal suo connubio estremamente personale di doom e ambient proverà però una sensazione familiare, come il ritorno a una dimensione perduta per la quale abbiamo provato una struggente malinconia senza nemmeno accorgercene.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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