Voi cosa fate la mattina appena svegli? Io, non dico sempre ma quasi, penso a cosa ascoltare mentre vado a lavoro, un’ora di tempo da ammazzare facendo il pendolare al contrario in macchina fra Milano e Cerano. Perché ogni giorno esce musica nuova, un po’ me ne arriva da qualche promoter e mi sento in colpa se non ascolto tutti i dischi (ammetto di non riuscirci), poi ci sono i podcast che seguo normalmente (se anche a voi ogni tanto viene voglia di ascoltare dei racconti non perdetevi quelli de In fuga dalla bocciofila e inutile) e i podcast dei programmi radio che non riesco ad ascoltare al pomeriggio se non mi mandano in giro col furgone a fare le consegne e insomma, se non mi organizzo mi perdo per strada un sacco di cose. Tipo tutta la musica che è già uscita, che voglio recuperare per un motivo valido (ho sentito un brano di X e mi è piaciuto, chissà cos’altro fa) o per semplice curiosità, che finisce in un calderone di suggestioni che rischiano di rimanere tali perché aumenta ogni giorno, sborda da tutti i lati, come cazzo si chiamava quella band di cui ho sentito parlare e niente, andata (mi sono dimenticato anche come si chiamava la band grind che ha fatto un album di dieci tracce che dura dieci minuti e utilizza come “testi” pezzi dei discorsi di Papa Wojtyla, se siete fra i quattro che possono riconoscere questa descrizione aiutatemi). Il nome di Emma Nolde non so perché mi era rimasto impresso, non so dove l’ho sentito la prima volta e non so perché ho deciso di approfondire, ma se il racconto di questa settimana è ispirato a una sua canzone è perché per fortuna una mattina mi sono svegliato e ho deciso che avrei ascoltato le sue canzoni per rendermi più sopportabili le successive otto ore di lavoro.
Nolde e la musica sono un tutt’uno fin da quando era piccola, periodo in cui si è approcciata allo studio della chitarra classica. Io mi sarei incartato lì probabilmente, lei invece ha continuato e ha dato un esame al conservatorio, ha frequentato una scuola di musica, ha iniziato a scrivere brani in inglese a quindici anni e poi, una volta passata all’italiano, si è presentata al Rock Contest di Controradio (da cui non smettono di uscire alcuni dei nomi più fighi della musica indipendente italiana) nel 2019 con il brano Nero ardesia e si è classificata seconda, portandosi a casa anche il premio Ernesto De Pascale per il miglior testo in italiano. Non male per una diciannovenne che proprio grazie alla musica trova il modo di esprimere quello che sente e di come lo sente (come afferma in questa interessante intervista), e di cose da dire gliene rimangono abbastanza da riempirci il primo album, Toccaterra, uscito a settembre 2020 per la storica etichetta Woodworm. Le canzoni di Nolde oscillano fra la delicatezza del piano di Ughi e gli scarti improvvisi dei ritornelli elettronici di Resta, la voce che allo stesso modo si divide fra melodie e cadenze hip hop: i testi sono personali, intensi, raccontano di relazioni che non sempre vanno come si vuole e finisce che “per gli schiaffi abbiamo i visi rossi/non dormiamo da giorni” (Sfiorare), ma sanno illuminare i momenti e i gesti per cui vale la pena continuare a provarci, anche solo insegnare a qualcuno come ballare (male).
Suonare dal vivo a fine 2020 non è facile, ma Nolde riesce comunque a girare l’Italia per decine di date. Poi neanche il tempo di riposarsi e arrivano altri impegni, collaborazioni, soddisfazioni, una canzone con Generic Animal (un mazzo di chiavi, un ombrello lì in mezzo) a fine 2021 e la candidatura al Premio Tenco per la migliore opera prima (arriva appena dietro a Francesco Bianconi e Cristiano Godano, mica cazzi, ma tutt* si inchinano a Madame). La prima parte del 2022 porta un brano con gli Zen Circus, che la vogliono all’interno del loro disco di collaborazioni Cari fottutissimi amici (la canzone è Il diavolo è un bambino), ma di lì a poco torna protagonista in solitaria: esce il singolo Respiro, i fiati accompagnano la sua voce nel ritmo travolgente del ritornello e il sax la accompagna anche dal vivo, per un breve tour estivo che anticipa il nuovo disco. A fine settembre sempre per Woodworm esce Dormi, co-prodotto da Motta, un album che spicca per varietà e allo stesso tempo lima le asperità dell’esordio, forse un po’ più morbido ma in cui non mancano momenti dove scatenarsi (la mia preferita è Voci stonate). Nell’ultimo numero della sua newsletter la mia compagna sogna un Sanremo diverso, io ne sogno uno in cui nomi come quello di Emma Nolde diventino la norma e non rappresentino la quota indie che già devi ringraziare se te la concedono.
Berlino è la sesta traccia di Toccaterra, un brano dall’andamento sincopato che fra continui rallentamenti e accelerazioni contagia con la sua carica. Nel racconto che mi ha ispirato ho infilato ricordi della capitale tedesca, una relazione travagliata, una testa che si muove in mille direzioni e propositi per il nuovo anno che si spera di rispettare: lo trovate subito dopo il brano che lo ha ispirato (e il fantastico video che lo accompagna), a me non resta che augurarvi buon ascolto e buona lettura.
Se volete ascoltare questo e tutti (o quasi) gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti).
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Mete
La sua testa. Si reclina all’indietro per godersi gli ultimi sprazzi di sole in riva allo Sprea, tanto da far quasi scivolare a terra gli occhiali da sole, appare e scompare fra i parallelepipedi grigi del Memoriale dell’Olocausto. La sua testa la ossessiona. Si scuote dinnanzi alla ricostruzione di un tempio greco al Pergamonmuseum perché, cazzo dai, che pacchianata. E poi chissà quanto avranno speso per trasportarlo pezzo per pezzo dalla Grecia, meglio se lo lasciavano lì.
La sua testa si shakera avanti e indietro in un locale dove mettono nu metal come se fosse ancora la musica di un futuro di cui si sono stancati tutti in fretta, oscilla mentre ascolta un musicista di strada che suona, chissà perché, Anarchy in the Uk in francese, come in un vecchio documentario sul punk perché il punk a Berlino non può non esserci. Non sei stata a Berlino se non c’era del punk o della techno.
Immagini, fantasie. Perché a Berlino non ci sono mai state insieme, a malapena ci è stata lei da sola. Ci ha passato un giorno e mezzo con una compagnia di amici e gli è rimasto in mente un confuso collage di luoghi da cartolina, tappe imprescindibili, strani incontri da sbronza e il mal di testa al risveglio. La porta di Brandeburgo potrebbe essere in Alexanderplatz per quel che ricorda, o forse vicino a quel centro culturale ficcato in un casermone abbandonato dove l’hanno portata a un concerto. Quando sono entrati sul palco un italiano e un egiziano facevano finta di giocare a calcio, era tutto metallico e si ricorda di un tizio che gli raccontava di aver cantato lì sopra con la sua band, in un inglese stentato sporcato con chissà quale lingua. It’s a shit, le ha detto, cantare lì sopra è una merda perché prendi un sacco di scosse.
Eppure è lì, a Berlino, che immagina loro due insieme. Ne hanno parlato distrattamente una volta, sarebbe un bel viaggio, io non ci sono mai stata, io non ricordo quasi niente. Per quel che ne sa potrebbe essere lì adesso, nella notte di capodanno, mentre lei è a una festa in casa con la solita compagnia di amici, la stessa di quella giornata e mezza improvvisata, e la sua testa è altrove a muoversi con quella naturalezza che l’ha affascinata fin da quando si sono conosciute. Fra una canna e l’altra immagina, fantastica, recrimina: qui si sta sfracellando le ovaie.
Al countdown di mezzanotte arriva moderatamente sbronza, come tutti d’altronde. Alza il proprio calice che sgorga schiuma per brindare all’ennesimo augurio di felicità, all’ansia dei primi propositi per il nuovo anno che verranno immancabilmente traditi. Mette fra le speranze quel viaggio, quella testa, si augura che quel proposito resisterà alle delusioni del tempo che scorre.
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