Un bel po’ di anni fa recensii un disco che rimane tuttora la cosa più brutta che mi sia mai capitata in mano. Non dirò di chi era (forse l’ho già fatto da qualche parte), anche perché dopo quell’Ep di quattro tracce la band in questione pubblicò un buon album con le idee molto più chiare e un secondo disco spettacolare, ma se c’è un motivo per cui è ancora in casa mia dipende dal fatto che riusciva a sbagliare tutto. Cover disegnata (male) a mano, registrazione pessima, pezzi di un hard/space rock senz’anima, tutti difetti che venivano amplificati da una presentazione laconica e tronfia al tempo stesso, poche frasi che sapevano di arroganza: non ricordo le tracce, solo vagamente il disegno, ma quel “no schemi” esaltato come un timbro di originalità autoassegnato mi si è stampato in testa.
Sempre qualche anno fa, ma più tardi rispetto al disco di cui parlavo sopra, ascoltai per la prima volta i Godspeed You! Black Emperor, iniziando con colpevole ritardo da ‘Allelujah! Don’t bend! Ascend!. Rimasi folgorato (non per niente ve ne ho parlato di recente), anche se a dire il vero fui soddisfatto solo da due tracce su quattro perché le altre mi sembravano inutilmente prolisse: la cosa strana è che i brani che trovai “troppo lunghi” erano i due più corti, mentre Mladic e We drift like worried fire, entrambe sui venti minuti di durata, restano ad anni di distanza due delle canzoni più belle che abbia mai ascoltato (la prima mi fa sempre piangere, ma proprio sempre!).
Che c’entrano questi miei ricordi con 7, l’album d’esordio dei Repetita Iuvant uscito il 18 novembre per l’etichetta Loudnessy Sonic Dream? Il motivo c’è: leggere che si defiscono una band post-postista perché “sentono che nessuna classe di pregiudizi o considerazioni civiche, storiche o accademiche possono inibire l’impulso immaginativo” mi ha fatto temere di trovarmi di fronte a un altro gruppo che sopravvalutava il proprio talento: poi mi sono messo all’ascolto, e ho trovato suggestioni sonore che mi hanno ricordato l’abilità dei GY!BE nel gestire le dilatazioni temporali.

I Repetita Iuvant sono in tre (Andrea Testa alla batteria, Daniele Isetta alla chitarra e Cristoforo Da Costa a chitarra e synth), e fanno qualcosa che è effettivamente difficile da definire: post-rock verrebbe da dire (soprattutto ascoltando la quarta traccia, Albinus), visti gli strumenti e la refrattarietà a strofe e ritornelli; ambient si sarebbe tentati di catalogarli, vista l’ariosità del synth e degli effetti con cui le chitarre si mascherano spesso e volentieri; un ibrido electro-rock sulla scia degli esperimenti più “desertici” di Floating Points, si potrebbe tranquillamente azzardare. Tutte etichette valide ma che non riescono a imbrigliare l’esperienza d’ascolto in una casella specifica, perché la musica del trio di La Spezia sembra composta per esploratori solitari del cosmo, troppo densa di suoni per le buie immensità galattiche ma abbastanza evocativa da proiettarci su pianeti bucolici e lievemente inquietanti come quelli suggeriti dalla splendida cover del fumettista Brucio, mondi che ancora non capiamo e che sembrano in attesa di capire se esserci amichevoli od ostili.
Basato su un’equazione numerica (e in questo chiusura della trilogia iniziata con gli Ep 3 e 3+1) e registrato completamente in presa diretta, 7 è fluidità musicale allo stato puro. I Repetita Iuvant sanno come sfruttare la dilatazione del tempo, gestiscono i suoni portandoli al limite di ciò che potrebbe risultare noioso per poi convogliare l’attenzione su un’armonizzazione perfettamente amalgamata col tessuto della canzone o su un rallentamento della batteria (il lavoro di quest’ultima è perfetto come dinamica e intenzione), se la cavano piuttosto bene anche quando c’è solo da orchestrare una crescita graduale e dense di attese come quella dell’iniziale Lopinter. Dove danno il meglio però, analogamente ai GY!BE, è nei brani più lunghi (e più elettronici), Callipigia e Costalta: la prima è un “more of the same” di quattordici minuti e mezzo, giocato su sfumature che risultano affascinanti come le onde del mare in perpetuo mutamento descritte da Stanislaw Lem in Solaris, la seconda si avvicina ai venti minuti giocandosela fra salite e discese che lasciano più spazio ai silenzi senza comunque stravolgere la propensione alla sovrastimolazione sonora della band. Hanno anche dei difetti, sia chiaro, in primis delle chiusure dei brani spesso frettolose e secondariamente, ma in maniera direttamente collegata, la mancanza di un’amalgama fra le varie tracce che per un album del genere sarebbe stata l’apoteosi, peccati veniali che risaltano proprio perché il lavoro di cesello è talmente raffinato da amplificare anche le sfumature peggiori.
È un bel disco 7? Assolutamente sì. Può piacere a tutti? Assolutamente no. L’album d’esordio dei Repetita Iuvant è divisivo, respinge col suo melting pot di influenze e allo stesso tempo attrae con l’armoniosità dei suoi suoni, potrebbe diventare il compagno fidato dei tuoi viaggi mentali (a me ne ha fatti fare parecchi in macchina) come ridursi a tappeto sonoro in sottofondo mentre sei impegnato a fare altro. Il mio consiglio? Se siete amanti della sperimentazione e non vi spaventa ciò che si nasconde negli interstizi delle caselle di genere dategli un’opportunità, le profondità del cosmo vi aspettano.
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