Milano, 10 giugno 2017. In quel della Santeria si svolge la seconda edizione di un festival, l’OOOM, che dal nome e dalla line up sembra promettere davvero bene in quanto a esperienza psichedelica… Anche se in realtà io conosco solo uno dei gruppi che suona, sono lì principalmente per loro e, parlandoci, gli confesso che non so mica cosa facciano gli altri. Il chitarrista della band mi dice “tranquillo, dopo ci droghiamo e ci facciamo un bel viaggio”, quindi dopo la loro esibizione… Ci facciamo una canna. Sì, niente LSD o chissà che. Siete delusi? Vi aspettavate un racconto tipo Paura e delirio a Las Vegas? Mi spiace, sarà per la prossima, ma l’esperienza psichedelica c’è comunque.
La crea, già con la sola presenza sul palco, la terza band in cartellone, dopo Valerian Swing e In Zaire e prima dell’esibizione di Paolo Spaccamonti e Föllakzoid. Il batterista, camicia rossa elegante, amplifica il suo colorito cadaverico che, vuoi anche per le dimensioni, lo fa sembrare una specie di Frankenstein agghindato per le grandi occasioni; la bassista sembra uscita da Matrix, fasciata da capo a piedi in abiti di pelle nera aderente; il chitarrista, per rimanere in tema, arriva dritto dritto pure lui da un film degli anni ’90, perché è una copia sputata del lercissimo produttore discografico Philo Gant in Strange days. Quando iniziano a suonare, condendo i suoni acidi dei loro strumenti con riverberi sulle voci (degli ultimi due) e tappeti di synth lisergici (suonati sempre dagli ultimi due), il mio cervello va in corto circuito e se ne innamora seduta stante. La band sul palco in quel momento erano i White Hills.
Probabilmente la band newyorkese formata da Ego Sensation (voce, basso, synth) e Dave W. (voce, chitarra e synth), fondatori e unici membri stabili dal 2003 ad oggi, è una di quelle per cui usare la formula rock psichedelico aiuta a dirimere in fretta la questione su “che genere fanno”? E lo so che vuol dir tutto e vuol dir niente, ma provate ad addentrarvi nella loro sterminata discografia e ci troverete di tutto: elettronica, hard rock, stoner, post-punk, industrial, il tutto spesso ammantato di riverberi ed echi che rimbalzano nelle orecchie fino allo stordimento di ogni capacità intellettiva. Fare una cronistoria della loro carriera è un’impresa, significa sgomitare fra album, Ep, live, split (con GNOD e Heartless fra gli altri), tutti editi dal 2009 dall’etichetta Thrill Jockey, che ogni tanto spuntano fuori come funghi allucinogeni, quindi meglio concentrarsi sulla descrizione che danno di loro stessi su bandcamp:
White Hills are proponents of transformation through sound. The music made by Dave W. and Ego Sensation is risky and cutting edge, while being hyper-conscious of society’s constant desire for a new and better drug.
Il desiderio di una “nuova e migliore droga” doveva essere presente anche nel regista Jim Jarmusch, che dopo averli scoperti live li ha voluti a tutti i costi all’interno della sua personalissima rilettura del vampirismo Only lovers left alive, nel 2012, immortalandoli live mentre eseguono la canzone Under skin or by name. Ipnotici, selvaggi, Dave W. e Ego Sensation dal vivo rilasciano la stessa carica sensuale e prorompente che emerge nel film (che vi consiglio) e che mi ha portato a godermeli dal vivo ancora nel 2019, grazie al Circolo Gagarin di Busto Arsizio, dove anche in duo e con Ego Sensation costretta dietro la batteria (e col basso registrato) hanno comunque dimostrato di essere una furia che si sfoga in ogni direzione consentita, basta che ti lasci alla fine l’impressione di una bella botta.
No will è la traccia che apre Walks for motorists, album del 2015 che rimane fra i miei preferiti. Il ritmo incalzante, il titolo (più che il testo) e lo sfogo finale mi hanno fato immaginare una storia ambientata principalmente in un ufficio dove si svolge un lavoro non ben definito, con una figura sfuggente la cui mancanza di volontà sembra occultarla alla memoria e improvvise sparizioni a fare da contorno: la trovate come al solito dopo il brano che l’ha ispirata, a me non resta che augurarvi buon ascolto e buona lettura.
Se volete ascoltare questo e tutti (o quasi) gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti).
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Questione d’efficienza
Facci caso. Sta sempre a qualche sedile di distanza dal tuo, sulla metropolitana, ma se ti giri anche solo per un attimo fatichi a ricordarne il volto. Si può essere completamente anonimi? Sì.
Lavora nel tuo stesso ufficio, te ne sei accorto solo dopo qualche mese. Sta lì davanti allo schermo del computer come in attesa di una rivelazione, le mani che si muovono lente sulla tastiera. Chiedi, durante una pausa caffè, se la risorsa allocata alla postazione 118 è produttiva. Chi?, ti chiedono. Nessuno, rispondi, e parli d’altro.
Sapere che esiste a volte ti innervosisce. Come si fa ad andare avanti per inerzia? Sgobbate tutti per un avanzamento di carriera, una casa più grande, una macchina più veloce. Tutti. Passare accanto alla postazione 118 è come trovarsi vicino a un’idrovora che assorbe la volontà: pochi secondi e non sei più sicuro di quello che vuoi ottenere dalla vita. Vorresti parlarne davanti al gin tonic del venerdì in ufficio, alle nove di sera, ma te ne scordi. Non era importante.
Siete efficienti, ma non abbastanza. Dall’alto arriva un richiamo generico: qualcuno non produce come dovrebbe. Vi guardate con facce stupite, sorridi dentro perché sai che non si parla di te. Sei una risorsa essenziale, non come 217 o 72, vecchie, fuori mercato: sacrificabili. Poi passi davanti alla postazione 118 e ti ricordi chi è l’anello debole: eppure resiste. Cosa fa tutto il tempo? Cosa non fa? Forse bisognerebbe non fare per ottenere una promozione? Sei qui da quasi due anni, avrebbero già dovuto accorgersi di te, il panico ti stringe la gola ma sulla scrivania c’è un nuovo documento da analizzare e torni efficiente, risoluto. A cosa stavi pensando poco fa?
97 non c’è più. Avresti pensato a tutti, ma non a 97. Anche per il resto dell’ufficio è così, lo percepisci. Le chiacchiere alla macchinetta del caffè sono meno spontanee, più veloci: hanno tutti fretta di tornare al lavoro. Pensi che forse lo hanno promosso, dev’essere così.
No, dice una voce vicino a te.
118. Sta lì con una postura gobba che ti sembra stranamente familiare, le mani immobili sul tastierino numerico. La sua massima concentrazione confina con la noia. Non può aver parlato, sarebbe uno sforzo troppo grande.
Una sera a casa ti accorgi di una figura fuori dalla finestra. La guardi, ti sembra di conoscerla. Sorride. Sbatti le palpebre, ti volti e torni in cucina. Cosa mangerai stasera?
42. 237. 69. Manca sempre più gente in ufficio. Evitate di parlarne, vi scambiate falsi sorrisi di circostanza. Per distrarti pensi a una macchina veloce, un giardino con piscina.
Arrivi il lunedì e le postazioni sono deserte, gli schermi spenti, nessuno che batte sulle tastiere. Percorri i corridoi tre volte prima di accorgerti che non sei solo.
118 ti aspetta. Fa segno con la mano di avvicinarti, questa volta non puoi fare a meno di prestare attenzione. Sullo schermo c’è un numero, lo riconosci. È il tuo.
E 118, con calma, come se l’operazione fosse troppo noiosa per metterci impegno, schiaccia il tasto delete.
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