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Alla ricerca di un’alternativa: La fuga dei corpi di Andrea Gatti e La verità su tutto di Vanni Santoni

Letteratura e cinema sono pieni di narrazioni che parlano di comunità utopiche. Nella stragrande maggioranza dei casi (per quel che posso dire, a livello personale, in tutte) le storie parlano di come, partendo da ottime premesse (condivisione, amore libero, solidarietà… Aggiungete pure gli ideali che più si sposano col vostro spirito), il tutto ci metta poco ad andare in vacca, a conferma del detto homo homini lupus che nel diciassettesimo secolo il filosofo Thomas Hobbes riprese per teorizzare la natura prettamente egoistica dell’uomo: la collaborazione fra i giovani virgulti della società inglese diventa lotta intestina ne Il signore delle mosche di William Golding, la spiaggia vero cui si dirige Richard/Leonardo Di Caprio in The Beach (che, scopro solo oggi, è tratto da un romanzo dello sceneggiatore e regista Alex Garland) ci mette poco a mostrare tutti i suoi difetti, volendo ci sarebbe anche L’isola in cui Aldous Huxley ambienta il suo romanzo ma, non avendolo letto, non voglio fare ipotesi azzardate… E mi accontento quindi di citare la comunità apparentemente perfetta che, trent’anni prima, aveva immaginato in quel capolavoro distopico che è Il mondo nuovo.

Ma davvero l’uomo è lupo per sé stesso? Qualunque slancio utopico sembra non resistere alla tentazione di far crollare il castello di carte, come se ci fosse una natura benigna da cui noi siamo esclusi per nostra propria conformazione: per dirla come gli Skruigners, “è l’uomo che è sbagliato/ ma ci sono dentro”.

Nel dubbio, dovesse capitarvi, io un giro a un raduno della Rainbow Family of Living Light fossi in voi lo farei

Due libri letti negli ultimi dieci giorni hanno proprio come tema comunità utopiche e ricerca di valori altri, distanti nella forma e nel contenuto ma non così dissimili nell’anelito verso un modo diverso di intendere l’uomo: sono, come si evince dal titolo dell’articolo, La fuga dei corpi di Andrea Gatti (Pidgin, 2021) e La verità su tutto di Vanni Santoni (Mondadori, 2022).

Un cerchio sempre più stretto

La fuga dei corpi è la storia di Daniel e Vanni, due giovani italiani che decidono di lasciare le rispettive vite e mettersi sulla strada, in direzione della Spagna. Il loro è un rapporto simbiotico caratterizzato da dinamiche di potere in continuo cambiamento, costruitosi nel corso degli anni e cementatosi con la decisione di puntare verso un’utopica meta, la spiaggia di Cala Bruja, cercando nel frattempo di emanciparsi dalle aspettative di una società che vede nel viaggio solo “la promessa di un momentaneo oblio, prima di tornare a preoccuparsi delle bollette” e non una possibilità di cambiamento interiore.

Io posso contare su un centinaio d’euro nella mia carta prepagata, da utilizzare solo in caso d’emergenza. Daniel conta sui soldi del sussidio del padre. (Dei nostri soldi non parliamo mai; parliamo soltanto dei soldi che facciamo, non di quelli che abbiamo). Entrambi abbiamo scelto di vivere in questo modo, che richiede impegno e fantasia, ma non ci lamentiamo: la nostra tristezza è comunque più felice della felicità dei nostri avi. Teniamo d’occhio la strada e avanziamo. A volte crediamo di aver trovato un posto buono dove fermarci, ma poi scopriamo che più in là c’è qualcosa di meglio, perché ancora non sappiamo cos’è.

Mentre continuano a spostarsi, principalmente in autostop, Daniel e Vanni si sostentano esibendosi come artisti di strada, creando un cerchio col gesso attorno a loro che funge da catalizzatore d’energia. All’interno i due sono totalmente connessi, sprigionano una forza selvaggia che rapisce il pubblico e alimenta il loro legame, portando però presto anche a degli scontri: se all’inizio Vanni è un fedele gregario, la cui decisione di lasciarsi tutto alle spalle sembra dovuta ad una fascinazione per la figura forte e sicura di sé che Daniel incarna, le difficoltà del viaggio e gli incontri (e scontri) che li vedono coinvolti modificano questo rapporto, in un impeto di possessività che fa a pugni con la libertà cui anelano.

Era piacevole specchiarsi in quel volto, vedermi coi suoi occhi. Per me che avevo passato anni a costruirmi una morale inscalfibile, quello era il sigillo che la giustificava. In un certo modo, il mio pensiero esisteva, lo vedevo materializzato nei gesti e nel corpo del ragazzo che avevo davanti. Il suo sguardo era magnetico, emanava una curiosità vorace. Come se stesse dicendo Voglio conoscere tutto, raccontami tutto quello che sai.

L’arrivo a Cala Bruja, la supposta meta finale del viaggio, non fa che acuire le tensioni fra i due. La scoperta che il paradiso non è così bello come sembra (il leitmotiv esplicato a inizio articolo) si unisce alla consapevolezza che forse non esiste proprio un paradiso, che continuare a vagare e fermarsi sono scelte entrambe destinate alla sconfitta: Daniel perde il suo ascendente, Vanni avverte la possibilità di essere un individuo autonomo, ma nessuno dei due riesce a trovare un vero e proprio senso nelle proprie vite e, con la frustrazione, arriva la violenza.

Ma non si può conoscere troppo a fondo una persona. È come se restassimo all’imbocco di una caverna, accendessimo un fiammifero e chiedessimo in fretta se c’è qualcuno in casa. E chi c’era in casa sua, se non la mia stessa eco? Cosa voleva, in fondo, quel ragazzo che si riempiva la bocca di magia psichica e volontà di potenza, lui che nemmeno aveva mai letto Nietzsche fino in fondo perché lo sapeva già? E cosa speravo di trovare, io, seguendolo fin qua?

Daniel è il vestito indossato fino a ieri, fino a qui, dove spogliandomi di tutto adesso scopro di dover strappare l’ultimo strato, quello invisibile, ormai assorbito, plasmato sulla superficie del mio corpo. Come una ferita diventata talmente bella da non volersene più disfare.

Gatti racconta la storia dei due fuggitivi, dalla società e da loro stessi, alternando il punto di vista in maniera sempre più veloce, mostrando le convinzioni di uno e dell’altro che si formano e si sgretolano man mano che la libertà che cercano si trasforma in una chimera. La sua prosa ha un ritmo incalzante, si fa forza di frasi brevi e incisive per avviluppare il lettore nelle vicende dei due ragazzi e nelle loro riflessioni, a volte ingenue ma spesso profonde e condivisibili: il dramma, nello sgretolarsi del loro sogno utopico, sembra essere il non riuscire a crederci fino in fondo, non essere all’altezza del distacco che teorizzano e di un’unione più spontanea e disinteressata che sembra lì, a portata di mano, e invece risulta sempre un passo troppo in là.

Oltre il problema del male

Anche Cleopatra Mancini, la protagonista del romanzo di Santoni, è in viaggio, ma ancora non lo sa. Quando si imbatte in un video porno, in cui crede di riconoscere nella protagonista una ex fidanzata, Cleo comincia a farsi domande sull’annoso problema del male, all’inizio pensando a quello fatto personalmente nell’infanzia o nell’adolescenza ma andando presto più in profondità, addentrandosi nella filosofia, nella mistica occidentale e in quella orientale, arrivando persino a ritrovarsi a capo di un culto. Il suo è un percorso interiore ed esteriore che, come nei koan, si permea di paradossi: ogni volta che la sua ricerca sembra arrivare ad un punto, si accorge che proprio la ricerca di un punto è già un errore di per sé.

O c’era un ineludibile conflitto tra quantità e qualità, specie in una ricerca così elusiva quale era quella spirituale? Mi imponevo di rifiutare questa lettura, che portava con sé l’inconciliabilità tra salvezza individuale e salvezza collettiva (ed eccoci di nuovo a Morelli): ma allora la strada da seguire avrebbe dovuto essere quella di una politicizzazione di fatto della comunità? Poteva esistere un misticismo rivoluzionario, o solo una mistica della rivoluzione? O forse il punto, andando al cuore dei tantra, era che la sola vera comunità di ricerca spirituale può essere quella che, di fatto, non sta cercando niente di specifico?

Cleo (già protagonista di una delle sezioni di un precedente romanzo/saggio di Santoni sulla cultura rave, Muro di casse, che in un gioco metaletterario viene citato all’interno di questo romanzo) nella sua ansia di risposte finisce per esplorare diversi ambienti, dalla sede della facoltà di Lettere in Piazza Brunelleschi a Firenze al monastero femminile tibetano di Shugseb, dalle comunità spirituali della Toscana ad un rave in un ecovillaggio, addentrandosi sempre più in una vita completamente diversa da quella che la vedeva ricercatrice universitaria annoiata. Il suo è un cammino di conoscenza che passa per la narrativa contemporanea, le tecniche di meditazione, i testi sacri induisti e quelli teologici di Meister Eckart, tutti input che Santoni gestisce con solo apparente anarchia, lanciandosi in periodi verbali sovrabbondanti che riescono però a mantenere lucidità e coerenza, portando Cleo sempre un po’ più in là nel suo percorso, aiutata anche dalla filosofa Simone Weil come guida spirituale d’eccezione… O meglio di tulpa, forma-pensiero manifestata.

Di certo però, avendo frequentato da ragazzina il giro punk, avevo già una mia regola: lo straight-edge è sempre sospetto – e quelli, mi aveva spiegato l’amico durante la visita, non usavano nessun tipo di droga, manco una birretta, e neanche scopavano fuori dal matrimonio. Sospettosissimi.

Vedi, sorella, cantare Hare Krishna contrasta l’atmosfera peccaminosa del Kali Yuga, l’età attuale della discordia e dell’ipocrisia… Quando canti Hare Krishna, Krishna stesso danza sulla tua lingua… Quando canti Hare Krishna, Krishna è davvero soddisfatto! Insomma, più si canta Hare Krishna, meglio è.

Se’, bona. Bof, non mi ero accorta che sono già le sei… Grazie per la visita, sei stato anche troppo gentile.

Non vuoi cantare un po’ con noi? Almeno un po’?

La mia risposta istintiva, ai tempi del giro punk, sarebbe stato un pedatone anfibiato attraverso la tonaca, ma che valore può avere la posizione critica di chi non fa esperienza diretta di qualcosa? E così…

Hare Krishna Hare Krishna

Krishna Krishna Hare Hare

Hare Rama Hare Rama

Rama Rama Hare Hare…

Il libro di Santoni è un ibrido strano, una sorta di vademecum spirituale che è allo stesso tempo romanzo di formazione di un’anima, un testo che parla di concetti spirituali profondi e non manca di alleggerire continuamente i toni con un’ironia di fondo che non stona mai e anzi, sembra l’unico modo possibile per narrare questa storia. È qualcosa di simile a ciò che ha fatto Cristopher Moore col suo Il vangelo secondo Biff, amico d’infanzia di Gesù, in cui il futuro Messia e il suo migliore amico partivano per un viaggio che li avrebbe messi in contatto con tutte le principali religioni dell’epoca, mischiando sacro e profano: Santoni ci aggiunge uno stile trascinante da cui sprizza entusiasmo, un lessico a volte ostico (ma che non dà mai l’impressione di essere snob) e qualche accenno a cavalli di battaglia su cui si è espresso più volte, come l’utilizzo spirituale delle droghe (con tanto di polemica sul microdosing, di cui aveva parlato già nel saggio La scommessa psichedelica), la svendita di Firenze al turismo di massa e la funzione sociale aggregativa della cultura rave.

Era facile, mentre accadeva, pensare che fosse merito nostro; che avessimo trovato la chiave di qualcosa. E forse era pure vero, all’inizio: quando la comunità cominciò a crescere, e l’organizzazione e la dottrina con lei, poteva essere davvero perché offrivamo qualcosa di più o di meglio degli altri. Perché eravamo limpide e trasparenti, perché sapevamo ridere anche dei nostri preconcetti e non solo del mondo, perché gli esercizi spirituali di Kumari, figli delle parti più nobili del tantrismo shaivita del Kashmir e dell’Advaita Vedanta, erano effettivamente più potenti degli altri, Kumari li conosceva meglio di chiunque (almeno: meglio di chiunque in Europa) e le tecniche che stavo sviluppando per trasmetterli, per avviare gradualmente ma rapidamente alla pratica, funzionavano; di certo funzionava bene il far sperimentare il samadhi, inducendolo col corretto mix di molecole: sebbene non fossimo le prime a farlo, lavoravamo con maggior equilibrio e progettualità, forte delle esperienze passate, a seconda del peso somministravamo dai 200 ai 300 μg di LSD e dai 100 ai 150 mg di MDMA tre ore dopo.

Come quella di Daniel e Vanni anche la ricerca di Cleo sembra destinata al fallimento. Troppo difficile combattere l’ostilità della società, l’attaccamento verso le proprie convinzioni e verso i propri affetti, l’attaccamento verso l’attaccamento stesso… Eppure c’è qualcosa che risuona nelle pagine del romanzo, una luce che resta impressa anche una volta terminata la lettura. Forse dipende dal sentire intimo di ognuno di noi, dalla sensibilità verso temi che analizzano l’unità del tutto, ma a fine lettura mi è rimasta una sensazione di completezza, come se per ogni cerchio spezzato se ne possa trovare uno più ampio già formato, pronto ad accoglierci se solo abbiamo l’ardire di cercarlo. E, nel bel mezzo del Kali Yuga, non è affatto poco.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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