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Racconto in musica 72: Minuti e rimbalzi (Maria Antonietta – Abbracci)

Per approfondire la musica di qualche determinat* artista la cosa più semplice è andarl* a vedere dal vivo. Sento già il coro degli “e grazie al cazzo, in sto periodo ce lo dici?”, però se una cosa era vera prima non è che non lo è pure oggi e forse, piano piano, qualcosa sta ritornando verso la normalità. Non tutto eh, perché ieri ero a Legnano a vedermi un concerto di Rootical Foundation e Africa Unite e me lo sono dovuto vedere dal circolo lì vicino (per fortuna aveva una comoda gradinata di fianco al palco) a causa del fatto che…un mio amico aveva un cane, e i cani non potevano entrare. Neanche al guinzaglio. In uno spazio completamente all’aperto. No so se ci fossero ragioni di contagio, sicurezza nazionale o se al sindaco di Legnano stiano semplicemente sul cazzo i cani, ma speriamo che firmino presto una legge che, oltre ad ampliare le capienze, ci permetta anche di portare i cani, stare in piedi a ballare e magari pure a pogare (NEL PIENO RISPETTO DELLE REGOLE DI DISTANZIAMENTO SOC…ah no, nel pogo non si può rispettarle).

Comunque. L’artista di questa settimana io la conoscevo più di nome che di fatto, poche note di qualche canzone sentita per caso e mai per volontà propria, poi è capitato con l’Associazione ASAP di dare una mano agli amici di Laroom (una delle poche realtà che cerca di portare musica fresca e nuova in quel di Vigevano, provincia di Pavia) per la parte logistica di un concerto, e quel concerto era di Maria Antonietta. Quelle poche note sentite per caso si sono trasformate in un’esperienza coinvolgente, intima (Laroom ha una piccola saletta in cui è possibile vedersi il concerto fianco a fianco con chi suona) e che ha gettato nuova luce su un’artista poliedrica che avevo fin lì ingiustamente ignorato.

Dietro al moniker di Maria Antonietta si nasconde Letizia Cesarini, pesarese appassionata di talmente tante cose da farmi sentire uno che dorme tutto il giorno: sul suo sito dichiara amore per il regno animale, quello vegetale, gli studi di genere, l’arte medievale, la poesia e la teologia, tutti ambiti che, in una maniera o nell’altra, riescono a intersecarsi nella sua musica. La sua carriera comincia nel 2010, quando autopubblica il primo disco solista Marie Antoinette wants to suck your young blood: cantato in inglese, grezzo e scarno, passa da momenti acustici a brevi episodi elettrici sempre e comunque caratterizzati da un’urgenza punk che la fa sembrare uno strano incrocio fra la prima Carmen Consoli e i Pixies. Fra una canzone dedicata a Giovanna D’Arco e una in cui celebra Sylvia Plath la futura Maria Antonietta (che qui ancora utilizza il suo nome d’arte in francese) inizia a sviluppare la propria poetica, affrontando anche temi forti come l’anoressia in I want to be thin. In seguito scrive il racconto Santa Caterina al Sinai per il libro-compilation Cosa volete sentire – Compilation di racconti di cantautori italiani (edito da Minimum Fax) e milita anche nel duo shoegaze Young Wrists, formato nel 2009 con Alberto Bandolini, un’esperienza che lascia però spazio nel 2012 alla sola carriera solista: in quell’anno pubblica il suo primo disco ufficiale in italiano, l’omonimo Maria Antonietta, prodotto da Dario Brunori e uscito per l’etichetta Picicca Dischi. In un turbine di relazioni che non sono mai come le si vorrebbe, spaesamento esistenziale e riferimenti biblici Cesarini spara fuori dodici tracce che ci mettono un niente a calamitare l’interesse: se ne accorge KeepOn, l’Associazione di categoria dei Live Club che la premia come miglior rivelazione live dell’anno, se ne accorge soprattutto La Tempesta, la storica etichetta fondata da Enrico Molteni dei Tre Allegri Ragazzi Morti, con cui inizia la collaborazione a partire dal singolo Animali del 2013, preludio al secondo album della cantautrice. Dopo aver partecipato al progetto artistico dal vivo Hai paura del buio?, organizzato da Manuel Agnelli, e aver girato l’Italia con Marco e Giovanni Imparato (il primo voce, bassista e tastierista dei Dadamatto, il secondo voce e chitarrista dei Chewingum e attivo da solista con il moniker Colombre), entra in studio proprio con i due fratelli per realizzare Sassi (2014, La Tempesta), un disco dai cui testi emerge una donna più consapevole e decisa, capace di perdonare perché è più difficile farle male (“e se Cristo è così buono anche io avrò pietà”, “io sono le ossa che non puoi spezzare più”, recita in due momenti diversi di Ossa). Nel periodo che segue l’uscita del disco la cantautrice infila uno Split con i Chewingum (Maria Antonietta loves Chewingum) e un tour che conta più di cento date e tocca anche l’Europa, poi Cesarini si prende il suo tempo e diversifica: redige una tesi sulle pratiche sommerse della creatività femminile con cui si laurea in Storia dell’Arte, scrive una canzone per i Tre Allegri Ragazzi Morti (E invece niente), tiene una serie di reading sulle sue poetesse del cuore (la già omaggiata Sylvia Plath, ma anche Dickinson, Cvetaeva, Campo…) e si occupa delle musiche per una nuova versione dello spettacolo teatrale Tutto casa, letto e chiesa di Dario Fo e Franca Rame per la regia di Sandro Mabellini. Solo nel 2018 esce il suo finora ultimo disco, Deluderti, cui seguono nuovi progetti più inerenti alla scrittura: nel 2019 Rizzoli pubblica la sua raccolta di racconti e poesie Sette ragazze imperdonabili, dedicato alle sue maestre di una vita (oltre alle già citate precedentemente anche Pozzi, Hillesum e D’Arco) e che trasforma anche in un nuovo reading musicale. A febbraio 2020 Cesarini si toglie anche la soddisfazione di calcare il palco di Sanremo, chiamata da Levante insieme a Francesca Michielin per interpretare una versione tutta al femminile di Si può dare di più.

La traccia che ho scelto da cui trarre un racconto è Abbracci, secondo brano dell’album Sassi. La canzone danza fra la melodia e urgenza dello sfogo, narrando un cambiamento che, al pari della musica, è sospeso fra dolcezza e violenza: ho provato a farmi suggestionare dal ritmo per scrivere lo sfogo di una donna che rievoca una relazione ormai passata, quasi cancellata dalla memoria e ad un passo dall’essere seppellita metaforicamente (o forse no?) sotto una montagna di sassi. Potete leggere questa storia subito dopo il brano, come al solito vi auguro buon ascolto e buona lettura.

Se volete ascoltare questo e tutti (o quasi) gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti).

Minuti e rimbalzi

Ricordo i momenti in riva al fiume a lanciar sassi sul pelo dell’acqua, a contare i rimbalzi in lontananza e per ogni rimbalzo in più aggiungevamo un minuto agli abbracci con cui ci stringevamo tanto forte da farci male, mozzare il respiro e tutte quante quelle sensazioni che descrivi quando hai gli occhi a forma di cuore e vorresti rimangiarti dopo, quando l’incanto finisce e il respiro avresti voluto tenertelo dentro insieme alle parole sprecate rincorrendo un’emozione che, come diceva quella cantante che ascoltavi sempre, era davvero da poco.

Tornando indietro i sassi li lancerei per lapidarti e farti fare la stessa fine dell’adultera, anche se le corna almeno quelle me le hai risparmiate e al massimo dovrei aspirare alla crocifissione con quel look da Gesù Cristo che sfoggiavi e rimarcavi quando, in tredici a tavola, la battuta sull’ultima cena non te la facevi mai mancare. Eri brillante e brillavi ai miei occhi come il riverbero del sole sull’acqua al momento di tornare a casa dal nostro luogo segreto, più leggeri noi per l’amore che ci univa e più pesante il letto del fiume che ci malediva.

Da quando sei sparito ho cominciato a staccare dalla memoria piccoli pezzi di te, il volto che avevi si è trasformato in una maschera da manichino che potrei rimontare come voglio, facendoti più bello per vantarmi con le amiche oppure brutto, orrendo, per farmi consolare da un nuovo amante. Avrei forse potuto farlo anche allora, dimenticarti solo con uno sforzo d’immaginazione, ma il tempo, se conta, conta solo nel suo aggiungere giorni su giorni di nuove abitudini, convinzioni e facce che ti ritrovi a guardare al risveglio e che sbiadiranno anche quelle se il sistema di emozioni che unisce due persone crolla, per un motivo o per l’altro.

Cos’era più importante allora, i sassi da cui derivavano gli abbracci o gli abbracci per cui lanciavamo i sassi? Era necessario che mi facessi del male o è solo una narrazione cristologica se ora che mi sento migliore mi viene da ringraziarti, messia dei momenti persi per sempre nello scarico del cesso? Migliore in cosa poi non lo so, nemmeno so perché mi torni in mente coi tuoi tratti sbiaditi dalla mia cancellazione selettiva. Forse non è tempo per le risposte e non lo sarà mai se smetterà d’importarmi delle domande, perciò addio ultimo ricordo di noi due: il tempo per pensare oggi lo occupo pensando solo a me.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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