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Se vuoi suicidarti fallo per bene, o come James Gunn è riuscito a fare il miglior film del DC Universe

Io voglio un sacco di bene a James Gunn. Ho scoperto l’esistenza del regista di St. Louis solo all’uscita del suo terzo film, quel Super – Attento crimine!!! che era riuscito ad avere nel cast gente del calibro di Kevin Bacon ed Ellen Page, ma ho presto recuperato anche Slither, horror divertente e splatteroso in cui dimostrava di avere un modo personale e vagamente trash (dopotutto viene dalla scuola Troma, per cui ha realizzato un classico della casa cinematografica come Tromeo and Juliet) di affrontare le narrazioni. Non so cos’abbia visto in quei film la dirigenza della Disney-Marvel, ma la loro scelta di scommettere su Gunn per la regia di Guardiani della Galassia ha decisamente fruttato: la sua follia si è ben sposata con la storia di un team di supereroi che comprendeva un procione geneticamente modificato (Rocket Racoon, “interpretato” dal fratello del regista Sean Gunn e doppiato in originale da Bradley Cooper) e un albero umanoide senziente (Groot, doppiato nelle sue poche e iconiche frasi da Vin Diesel), e io me lo sono goduto nonostante lo abbia visto in inglese sottotitolato in francese e fiammingo (lunga storia) e nonostante il Marvel Universe lo abbia seguito da lontano e con poca fiducia, soprattutto al cinema (l’unica altra eccezione è stata Ant-Man, e solo per la presenza alla regia, almeno fino a che non l’hanno fatto fuori per divergenze creative, di Edgar “Shaun of the Dead” Wright).

Con questo curriculum sarei dovuto andare ad occhi chiusi a vedere il suo The Suicide Squad, momentanea fuga nell’universo dei cinecomic DC a seguito del licenziamento da parte della Disney per alcuni tweet di una decina di anni prima (licenziamento poi revocato, anche grazie a una presa di posizione del cast che gli permetterà di essere al timone anche del terzo capitolo dei Guardiani della Galassia). Invece sono entrato in sala con mille dubbi, tutto per un errore che non avrei dovuto fare: pensare che guardare il Suicide Squad diretto da David Ayer fosse in qualche maniera necessario, nonostante tutte le recensioni che ne parlavano male quando non malissimo.

Suicidarsi male

Ayer ha una carriera da regista e sceneggiatore che non lo fa per forza rientrare fra i miei preferiti, ma aver scritto quella perla di Training Day gli dà perlomeno una certa credibilità, abbastanza da permettermi di pensare che il suo personale contributo al più che altalenante universo DC non potesse essere poi così brutto. Voglio dire, se hai un sacco di soldi a disposizione, un cast che comprende star del calibro di Will Smith e Margot Robbie e una trama che prevede la collaborazione forzata fra alcuni dei più sottovalutati (cinematograficamente parlando) nemici di Superman e Batman (più Joker, che fa storia a sé) la maggior parte del lavoro dovrebbe essere già fatta, no?

No.

Suicide Squad invece fa almeno un paio degli errori più grandi che si possano fare in un film del genere. Il primo è trasformare i cattivi in buoni, ma buoni buoni a tutto tondo tanto che ti chiedi “perché erano in prigione questi innocui e simpatici guasconi?” Il Deadshot di Will Smith, sulla carta un sicario senza scrupoli, passa tre quarti del film a salvare gente di cui non dovrebbe fregargliene niente e a mostrarci i suoi dilemmi morali da buon padre di famiglia (quale supercattivo, con Batman nel mirino, lo risparmierebbe solo perché se no SUA FIGLIA CI RIMANE MALE?), ma riesce a fare un figurone rispetto a personaggi scritti col minimo impegno possibile come “piangina” Diablo, “quota comica” Captain Boomerang, “bestione standard” Killer Croc e “buono costretto a fare il cattivo ma con in realtà un cuore d’oro” Rick Flag (che perlomeno non è un villain, ma un militare). Discorso a parte lo meritano la Harley Quinn di Margot Robbie e il Joker di Jared Leto, che risultano talmente eccessivi da essere quasi fuori contesto in un cast di attori impagliati, e soprattutto il secondo è risultato uno dei bersagli preferiti dai critici per il suo overacting dall’inizio alla fine, un’umiliazione unanime che non mi ha permesso di giudicarlo in maniera oggettiva: si potrebbe pensare anche a un accanimento per la differenza enorme che intercorre fra il suo modo di interpretare il personaggio e quella di Heath Ledger ne Il Cavaliere Oscuro, ma contando che Joaquin Phoenix pochi anni dopo nello stesso ruolo si è portato anche lui a casa un Oscar viene il dubbio che no, l’ha proprio affrontato male.

L’altro enorme errore è stato quello di cercare l’empatia del pubblico verso i suoi protagonisti senza mettergli contro una sfida degna di questo nome. Al di là del fatto che non si capisce esattamente perché venga messa insieme la squadra (l’Amanda Waller di Viola Davis parla di una non precisata minaccia alla Terra, ma quella minaccia arriva concretamente da Incantatrice, uno degli “eroi” assoldati da lei) la loro missione rimane oscura fino a più di metà film, quando si scopre che era…boh, mettere in salvo da un palazzo Waller che non si sa né come né perché fosse finita lì? C’è una confusione totale, e quando finalmente Deadshot e compagni arrivano, arrancando, allo scontro finale il pathos sta a meno di zero. Davvero, raramente mi è capitato di avere così poco interesse nell’evolversi della battaglia finale: gli antagonisti non mi avevano dato abbastanza motivazioni per sperare in una loro sconfitta, i protagonisti sono arrivati a “fare la cosa giusta” in una maniera talmente didascalica e forzata da rendermeli ancora più antipatici, ci mancava solo un epilogo che portasse l’happy ending per tutti…che puntualmente arriva, tranne forse per “quota comica”.

Pioggia + espressioni assorte = epicità (magari)

Ho sentito parlare spesso ultimamente di una legge non scritta riguardante le canzoni famose nei film: più la pellicola è brutta, più ci saranno stacchi sonori a ricercare l’enfasi che le immagini e la sceneggiatura non sono riusciti a ricreare (un esempio magistrale è l’ultimo Cinquanta sfumature di…e non chiedetemi perché l’ho guardato). Suicide Squad segue questa regola aurea del nascondere sotto il tappeto (sonoro) le mancanze, riempiendo di musiche arcinote le scene madri ma senza riuscire a creare enfasi in nessun caso, perché il tono è quello di questa scena: esaltazione di personaggi che non fanno niente in tutto il film per cui entusiasmarsi.

Dopo aver visto il suicidio operato con quella pellicola le mie aspettative verso il film di Gunn (nonostante recensioni entusiastiche come questa) si erano notevolmente ridimensionate. Come si fa a fare un bel film con simili premesse? Probabilmente in una sola maniera: facendo tutto (o quasi) il contrario.

Suicidarsi bene

Per quanto Guardiani della Galassia fosse un gran bel film, godibile e pieno di ritmo, era ovvio che nel multiverso Marvel notoriamente privo di emoglobina (soprattutto dopo l’acquisizione da parte di Topolino) Gunn non avrebbe potuto sfoderare appieno la sua vena più trash, una propensione all’effettaccio sanguinolento che, vale la pena ribadirlo, non inficia minimamente il coinvolgimento emotivo verso le sue storie (tanto che considero il finale di Super uno dei più strazianti che mi sia capitato di vedere). Alla DC non è che siano mai stati di manica molto più larga con la violenza, ma contando che il film più acclamato del loro universo cinematografico è probabilmente Acquaman, personaggio su cui non avrebbe puntato nessuno prima che Jason Momoa gli donasse uno spessore (nel senso muscolare del termine) che non aveva mai avuto su carta, i vertici dell’azienda devono aver pensato che potevano anche provare qualcosa di diverso. E James Gunn era l’uomo giusto a cui chiedere un cambio di rotta.

I titoli di testa di The Suicide Squad partono dopo una decina di minuti scarsa, prima dei quali è già successo abbastanza da ripagare i soldi del biglietto. Gunn assolda gli amici Michael Rooker e Nathan Fillion, li piazza dentro la squadra suicida (che ci tiene a cambiare nome perché quello vecchio ha una brutta fama…e ogni riferimento al film di Ayer è puramente voluto) e li manda in missione dopo cinque minuti di film senza presentazioni inutili. Che bisogno hai di farle quando hai una donnola gigante fra gli “eroi”?

Eroe

La missione gioca con tutto l’immaginario da “esportatori di pace” degli Stati Uniti. Ci sono una piccola nazione sudamericana in cui un golpe ha fatto salire al potere generali ben poco amichevoli verso l’occidente tutto e una potenziale arma di distruzione di massa da distruggere prima di subito, nonché un ruolo oscuro dei servizi segreti che verrà approfondito col progredire della pellicola: niente di troppo elaborato, semplice da capire, così si può passare subito all’azione. E dopo il primo bagno di sangue Gunn ci fa vedere che ha barato un po’ con la premessa, perché ci sono altri eroi da presentare e sono quelli davvero importanti, ma comunque senza sbrodolamenti eccessivi. L’unico che si prende un minutaggio maggiore per essere inquadrato, in quanto leader involontario della banda, è il Bloodsport di Idris Elba, un sicario che non sbaglia un colpo al pari del personaggio di Will Smith nella pellicola del 2016, ma mille volte più credibile: le motivazioni che lo spingono ad accettare la proposta di Waller (fra i pochi ritorni dalla prima pellicola, assieme a Joel Kinnaman/Rick Flag, Jai Courtney/Captain Boomerang e l’immancabile Margot Robbie nei panni sempre più amati di Harley Quinn) sono le stesse di Deadshot (figlia da difendere), ma il rapporto padre-figlia dà luogo a un confronto acceso e spassoso che ti fa amare entrambi dopo pochi secondi. Poi arrivano l’altezzoso Peacemaker di John Cena, la narcolettica Ratcatcher 2 di Daniela Melchior, l’indecifrabile e depresso Polka-Dot Man di David Dastmalchian e…Nanaue, uno squalo antropomorfo e parlante (a cui nell’originale dà la voce nientemeno che Sylvester Stallone), che dà prova delle sue capacità intellettive presentandosi mentre legge un libro al contrario. Tempo zero e sono inviati anche loro a Corto Maltese, sull’altro lato dell’isola rispetto al primo plotone di supereroi, dove fra battibecchi e massacri puntano giusto con qualche minima deviazione verso il loro obiettivo.

Gunn ha l’incredibile abilità di farci affezionare ai personaggi lasciandoli semplicemente agire, mostrandoli non come dei cattivi in cerca di redenzione ma come una banda di psicopatici che trova motivazioni lungo il percorso. Non c’è una vera e propria spalla comica (anche se Nanaue è chiaramente pensato per quel ruolo) perché tutti nella Suicide Squad fanno divertire alla loro maniera scorretta ed esagerata, grazie a dialoghi costruiti su botta e risposta continui e interpretazioni riuscite: Cena ed Elba hanno la fisicità e la presenza scenica adatta a rendere credibile il loro scontro fra maschi alpha, Melchior è di un’innocenza adorabile, Dastmalchian ha negli occhi il giusto mix fra pazzia e stanchezza per rendere al meglio un personaggio a cui ne sono capitate davvero troppe nella vita (ibridato con un’entità aliena dalla madre scienziata, è costretto ad espellere due volte al giorno delle sottospecie di pois multicolori corrosivi per evitare di venirne distrutto) e Robbie, liberata dal peso di avere attorno un gruppo di malmostosi, vede finalmente integrata nel gruppo la sua follia anarchica. Persino l’odioso Rick Flag di Kinnaman qui diventa un personaggio per cui è piacevole fare il tifo, il che è un risultato incredibile vedendo il prequel.

A certe regole, però, non si sfugge

The Suicide Squad, sia chiaro, non evita di sottostare al dogma dei “personaggi cattivi che fanno la cosa giusta”, ma prepara il momento al meglio per fartelo pesare il meno possibile. Si prende il suo spazio durante tutta la pellicola per raccontare la storia di qualche personaggio, giusto di quelli che gli interessano per creare una motivazione credibile, poi torna a fare casino e riporta alla luce quegli intermezzi quando più gli serve. E il casino, al di là della violenza macchiettistica piacevolmente esibita e allo stesso tempo ridicolizzata (come nel caso della sfida all’omicidio più creativo fra Peacemaker e Bloodsport), è orchestrato con un’estetica di assoluto livello, fra sparatorie dove il sangue si mischia ai fiori e scazzottate filmate attraverso una superficie riflettente. Gunn diverte e si diverte, sembra non prendersi sul serio ma fa sul serio, cura ogni dettaglio e arrivati alla fine delle due ore abbondanti di pellicola sembra di essere appena entrati, vogliosi di averne ancora. Anche l’utilizzo delle musiche (di taglio mediamente più indie, vedi la presenza di Hey dei Pixies) è calibrato sull’ironia del film, sparate a mille in momenti che non servono per rendere epici i protagonisti ma a sottolineare la loro improbabilità come eroi: sono i più sacrificabili che hanno trovato per fare un lavoro sporco, e tant’è.

Ci sarebbero mille altre cose da dire ma preferisco non esagerare con le informazioni, per non incorrere in spoiler e per lasciarvi il piacere di scoprire tutte le chicche della pellicola da soli. Andare a vederlo al cinema, oltre che per l’esperienza visiva, sarà anche un modo per convincere i piani alti della DC a mollare i loro film “soffertoni” (termine rubato al mitico Leo Ortolani) e puntare su questo modo di fare i film di supereroi libero, anarchico e non meno coinvolgente. Al momento, sempre in tema di suicidio, il film di James Gunn lo è commercialmente, perché a fronte di una spesa di 185 milioni di dollari non si è ancora nemmeno andati in pari con gli introiti (Sucide Squad di Ayer, và com’è strano il mondo, è invece uno degli incassi maggiori del franchise). Non dico che dobbiamo fare una colletta con quel che succede nel mondo, ma se vi avanzano i soldi per il cinema andate nelle sale che lo proiettano e portateci anche i bambini: non può fargli male quanto il film dei Me contro te.

Nanaue, il migliore amico negli incubi dei vostri figli

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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