C’è una fase di Una donna promettente in cui non succede nulla di rilevante. La storia prende la strada della rom-com, i personaggi flirtano, si fanno sorrisini e tutto sembra andare per il meglio. È un trucco vecchio come il mondo quello di mostrare la calma prima della tempesta, lo so io come lo sa la regista e sceneggiatrice Emerald Fennell, eppure mai come in quella porzione di film ho sperato che davvero le cose andassero lisce così fino al termine della pellicola, che il finale potesse essere qualcosa di inaspettato e probabilmente deludente ma almeno gioioso, vitale.
È un film che mette a dura prova Una donna promettente, raramente ti mette a tuo agio nonostante strappi più di una risata a denti stretti. È la storia di Cassie (Carey Mulligan), trentenne che, a dispetto del titolo, sembra avviata verso un futuro tutt’altro che promettente: ha un lavoro in una caffetteria malpagato e che svolge col minimo entusiasmo possibile, vive ancora in casa dei suoi genitori e all’orizzonte non c’è nessun uomo con cui convolare a nozze. Se il successo si basa su casa, lavoro e famiglia Cassie è decisamente in ritardo sulla tabella di marcia, ma per lei sono altre le cose importanti.

Cassie ha infatti una doppia vita, rimarcata anche dalla fotografia della pellicola: le sue giornate fatte di colori pastello, tanto sul luogo di lavoro quanto negli abiti che indossa, si alternano a notti in cui indossa vestiti provocanti, trucco abbondante e bazzica i locali barcollando in preda ai fumi dell’alcool… O almeno è ciò che pensano gli ignari che la abbordano, scoprendo loro malgrado che la principessa da salvare è ben più lucida di quanto pensavano, e che loro come principi azzurri lasciano decisamente a desiderare.
Il film di Fennell ha il pregio di avere un incipit decisamente originale ma di non limitarsi a quello. Le motivazioni che spingono Cassie a lasciare in pausa la sua vita pur di umiliare (e, se vogliamo, rieducare) una moltitudine di esemplari di “maschio tossico DOC” hanno radici profonde, e il caso (nella persona dell’ex compagno d’università Ryan, interpretato da Bo Burnham) ci mette lo zampino per darle modo di alzare la posta e cercare di fare i conti una volta per tutte col passato. Nel suo percorso ci si stupisce di quanto sia terribile il mondo che le ruota attorno, piegato alle regole del patriarcato tanto da avere anche donne a difenderlo strenuamente, eppure allo stesso tempo si è portati a pensare che con la lunghissima lista di notti passate ad adescare potenziali stupratori è un miracolo che Cassie sia ancora viva o, quantomeno, illesa.

Quella di Una donna promettente è una storia di violenza raccontata senza abusare della stessa. Lo stupro che porta Cassie a compiere la sua missione non è mai mostrato, e persino la vendetta compiuta dalla protagonista è sempre psicologica più che fisica, un particolare quest’ultimo che lo avvicina a un’altra pellicola indipendente degli ultimi anni, cioè Hard candy di David Slade. In entrambi c’è una protagonista meno inerme di quanto possa sembrare, un carnefice a cui far confessare i propri errori e in entrambe addirittura si prega la vittima di fermarsi per “il proprio bene” (bellissima la battuta con cui Ellen Page/Haley rimette al proprio posto Patrick Wilson/Jeff nel film di Slade: “Stai cercando di convincermi a non castrarti per il mio bene!”). In entrambi, purtroppo, chi vuole fare giustizia non la può ottenere per sé.
La parte degli spoiler
In Hard candy la protagonista è una quattordicenne che finge di farsi adescare da un pedofilo per trovare in casa sua le prove di un omicidio: si capisce ben presto che la sua innocenza, ciò di cui viene privata ogni vittima di pedofilia, è ormai persa anche se non sappiamo né come né quando. In Una donna promettente per ottenere giustizia Cassie è invece costretta a mettere in gioco la sua stessa vita perché, come spiega benissimo Xena Rowlands in questa recensione, quando si tratta di violenza sulle donne serve troppo spesso un cadavere perché la giustizia faccia il suo corso.
Lungo tutto il film Cassie cerca di far capire alle persone cosa stanno sbagliando o dove hanno sbagliato, con modi a volte inquietanti ma senza mai travalicare nella violenza fisica, e tutto quello che ottiene è scontrarsi contro un muro di deresponsabilizzazione. Nessuno ammette di avere sbagliato, ci sono sempre un ma o un però a limitare qualsiasi ammissione di colpa e alla fine, quando sente l’uomo che ha stuprato la sua migliore amica Nina lamentarsi della pressione che ha dovuto sopportare a causa di un’accusa reale, Cassie passa per l’unica volta alle vie di fatto, soccombendo nel tentativo di farsi giustizia da sé. Prima ho accennato al fatto che sembri strano vederla ancora incolume nonostante i suoi trascorsi notturni, e penso sia una scelta voluta: quando finisce la lunghissima scena dove Cassie viene soffocata a morte capiamo cosa ci aspettavamo le succedesse fin dall’inizio, e comprendiamo quanto è orribile un mondo dove cose del genere sono percepite come il normale andamento delle cose.

Una donna promettente è un film sul consenso in un ambito diverso da quello messo sotto ai riflettori dal movimento #metoo ovvero quello della vita di tutti i giorni, un ambiente in cui ancora nel 2020 un comune riesce a sbagliare totalmente comunicazione nel proporre una campagna anti-stupro e siamo tutti rinchiusi in bolle talmente strette che non ammetteremmo una colpa neanche sotto tortura, abituati come siamo a essere spalleggiati qualunque cosa facciamo. Il film mostra bene tutti questi processi mentali, dal “se l’è andata a cercare” al “succede continuamente, mica sarà sempre vero”, una frase quest’ultima mutuata dal discorso che la rettrice dell’università in cui Nina e Cassie studiavano pronuncia a mo’ di giustificazione, mostrando come i dieci anni passati dallo stupro non abbiano cambiato niente: il patriarcato fa rima con omertà, e nessuno vuole parlare di vicende scomode.
Alla fine Cassie giustizia la otterrà, una giustizia postuma pianificata con spirito quasi da martire, e se non fosse per le dichiarazioni della stessa regista verrebbe da pensare che è proprio un martirio quello che la protagonista si accinge a compiere quando decide di affrontare lo stupratore della sua migliore amica. Il finale è stato criticato per mille motivi, dalla troppa violenza (a mio avviso funzionale e non voyeuristica) alla risoluzione “ottimistica” con cui si chiude una vicenda basata sull’incapacità della protagonista di cambiare le cose: io penso che non sia nel termine della vicenda che bisogna ricercare un senso al film in toto, ma che la tesi che Fennell vuole esprimere sia già scritta a caratteri cubitali lungo tutta la trama e cioè che, al di là di come finisca la storia singola, c’è un sistema patriarcale che va assolutamente smantellato per il bene di tutt*.
Se il film funziona così bene è merito anche di un cast di assoluto rilievo. Mulligan è una Cassie eccezionale, sarcastica e cinica ma capace anche di mostrarsi fragile quando serve: attorno le si muovono attori e attrici di spessore in parti minori ma caratterizzate benissimo, dalla ex compagna d’università interpretata da Allison Brie (prima vittima della vendetta organizzata da Cassie) all’avvocato pentito di un sempre sontuoso Alfred Molina, passando per i camei di Adam Brody e Christopher Mintz-Plasse (per sempre McLovin) nei panni diversissimi ma egualmente sgradevoli di due potenziali stupratori. Una donna promettente non è un film perfetto, ma ha il coraggio di andare dritto per una strada scomoda e di scatenare riflessioni nello spettatore: andate a vederlo, anche se la poltrona vi sembrerà parecchio scomoda.
Ti è piaciuto questo racconto/articolo? Segui la pagina Facebook di Tremila Battute!
Una opinione su "Di tensioni insopportabili e patriarcato: Una donna promettente"