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Racconto in musica 62: Cinque opinioni fuori tempo massimo (Emiliano Mazzoni – Al mio funerale)

Qualche anno fa, mi sembra fossimo intorno al 2010, capito al Legend Club di Milano per vedere le finali di un contest a cui, parecchio tempo dopo, avrei partecipato anche io, Rock Targato Italia. Rispetto a quello che succede di solito, ovvero che le band che mi piacciono finiscono per piacere solo a me, un gruppo che adoro è riuscito ad arrivare in finale alla 21esima edizione: mi fiondo lì perché non so quante occasioni avrò per vederli dal vivo (vedi il discorso sulle band che finiscono per piacere solo a me di cui sopra), e arrivo bello speranzoso con un minimo margine di ritardo, tanto i concerti quando mai iniziano all’orario segnalato?

Di cinque gruppi in finale uno ha già suonato. Quello che sono andato a vedere io.

Però i Comedi Club la vinsero quella finale, o almeno io ricordo così anche se il sito ufficiale del contest segna tipo otto vincitori (fra cui anche loro), e riuscii poi quello stesso anno a rivederli in un tendone del M.E.I., il meeting delle etichette indipendenti, dove fecero un gran casino per la mia gioia. Neanche a farlo apposta l’anno dopo suonai anche io al M.E.I., intorno a mezzanotte davanti a tipo dieci persone (alcune le conoscevamo, le altre avevano suonato appena prima di noi) in un tendone al freddo, tanto che il mio batterista suonò con su il giubbotto: la musica indipendente è foriera di soddisfazioni effimere, contando che pure della partecipazione a Rock Targato Italia ho bei ricordi sul palco e reminescenze di inculata economica poco giustificata a livello organizzativo ma tant’è, se avessi abbastanza memoria per le cose brutte vi darei dettagli che invece sono già sfumati e finiti chissà dove.

Passiamo al 2014 (oggi la prosopopea è bella lunga e temporalmente movimentata eh?), i Comedi Club dopo un ultimo album si sono sciolti e io annego la tristezza in mille altri dischi che mi arrivano a casa, per vie dirette o traverse. Uno di questi è di un cantautore dell’Appenino Modenese, ci metto un po’ di ascolti a farmi incuriosire dal suo nome perché mi ricorda qualcosa ma non so cosa finché, illuminazione improvvisa, ci arrivo: Emiliano Mazzoni era la voce dei Comedi Club!

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando ricevetti Alcool juke box dei Comedi Club, un disco a cui dal nome della band e dalla cover non avrei dato un euro e che invece si rivelò un’incredibile bordata sonora che, pur debitrice di Birthday Party e compagnia suonante, faceva impallidire anche l’esordio de Il Teatro degli Orrori. E a me Dall’impero delle tenebre piaceva davvero un sacco. Ritrovare anni dopo Emiliano Mazzoni in veste cantautorale è stato strano, ma il suo talento e la sua sensibilità non ci hanno messo molto a convincermi, probabilmente il tempo della prima traccia di Cosa ti sciupa, il disco che mi capitò in mano per caso e che mi portò a seguire la nuova fase della sua carriera. Il primo album in realtà Emiliano lo realizza nel 2012: Ballo sul posto ha già tutti gli elementi che contraddistingueranno la sua produzione, la voce profonda, l’inseparabile piano, uno sguardo sul mondo unico che unisce poesia, ironia e un pizzico di surrealismo. Profondo blu, uscito per l’etichetta Private stanze, arriva nel 2016 anticipato per tutti da un singolo, La metà, in cui si traveste da cantante confidenziale (termine che a me ricorda sempre il Presidente Gently di Infinite Jest), e anticipato per me da un concerto in casa mia, piano e voce, di cui ricordo l’intensità e le ombre sui muri, che durante l’esecuzione di questa canzone facevano molto Nosferatu di Murnau. Nel 2017 esce un Ep, Cocktail 7, ma bisogna poi aspettare fino a settembre 2020 per il disco omonimo, prodotto come tutti gli altri dal fidato Luca A. Rossi, otto nuovi brani in cui è possibile trovare la stessa sensibilità e un gusto per l’astrazione forse ancora maggiore, ma sempre affascinante. Potrebbe capitarvi di vederlo suonare al Ristorante Lo Scoiattolo di Piandelagotti, immerso nel suo Appenino Modenese (se non ricordo male non lontano da Giovanni Lindo Ferretti), o almeno così capitava prima della pandemia: speriamo che le buone abitudini non si perdano, ché di musica bella fatta da gente bella in bei posti ne abbiamo sempre bisogno.

Al mio funerale è la traccia che apre Profondo blu e, nonostante il titolo, è una canzone piena di amore e vita, a cui basta l’attacco per strappare un sorriso amaro: “peccato che non c’eri/ è stato bellissimo/ se ci fossi stato, però/ cosa saremmo venuti qui a fare”. Sono partito da qui per immaginare alcune testimonianze rese dai convenuti ad un ultimo addio, pareri personali e anche un po’ scomodi sul caro estinto ma in cui è possibile trovare tracce di un’umanità più vera delle condoglianze di rito: se sia o meno riuscito nell’intento di renderle credibili sta a voi giudicarlo, leggendo il racconto subito dopo lo splendido brano che lo ha ispirato. Buon ascolto, e buona lettura.

Se volete ascoltare questo e tutti gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti, questo è l’unico dove sono riuscito a trovare tutte le canzoni).

Cinque opinioni fuori tempo massimo

D – Mi sono davvero commossa a vederli tutti qui, come una volta. Sarebbe stato bello se avesse potuto vederli anche lui ma va beh, non ci sarebbe stata nessuna commemorazione se fosse stato ancora qui. E poi avrebbe trovato di sicuro qualcosa da ridire, stupido testone che non era altro. Aveva questo talento raro nel rovinare le cose belle, ma in fondo gli volevamo bene lo stesso. Però da lontano.

R – La cerimonia è stata molto bella, davvero. Mi son fatto tre ore di macchina per venire giù e non è che c’avessi proprio sta gran voglia, diciamocelo, perché quando voleva sapeva essere un gran stronzo, e non è che negli ultimi anni non ci fossimo sfanculati a dovere. Però dai, alla fine son contento di essere venuto giù da Milano, pensavo che il prete avrebbe tirato giù tre cose trite e ritrite invece ha fatto un bel discorso, poi è stato bello rivedere anche gli altri e ridere un po’, che per piangere c’è sempre tempo. Certo che al bar per l’aperitivo qualcosa in più di quattro patatine del sacchetto potevano anche darcele, lì sì che sembrava d’essere a un funerale. Mica come a Milano.

G – Che dico io, dovevamo spargere le ceneri. In acqua. Non dico al mare, nessuno se la sarebbe fatta fin là solo per lui. Ma almeno al laghetto, dico, potevamo andarci a spargerle. Invece il Talan s’è messo a menarla con la storia che i pesci poi se lo mangiano e noi ci mangiamo i pesci, che alla fine è un po’ come mangiare lui. Che dico io, con tutto quello che ci buttano nel laghetto che i pesci si mangino lui sarebbe proprio l’ultimo dei problemi.

Secondo me ci teneva, sempre lì a dire che il mondo è la barca di Dio. Secondo me le amava, le barche, e anche l’acqua. Invece l’han seppellito dalla parte del muro che dà sul parco, che dico io alla fin fine non gli è andata neanche così male. Magari sente le coppiette che si baciano dall’altra parte, di notte, e non gli dispiace più di tanto.

S – Era un gran cagacazzo. Non gli andava mai bene niente. Facevamo l’amore e non andava bene, litigavamo e non andava bene neanche così. Facciamo l’amore senza pace, diceva, che poi neanche era sua la frase, la ripeteva giusto perché, l’ho detto e lo ripeto, era un gran cagacazzo. Che poi altro che scopate, più che risse non faceva. L’amore senza pace, che stronzate.

Però io adesso con chi cazzo litigo?

B – Io non ci sono andato al funerale, porco di un boia manco quando crepo ci voglio entrare in una chiesa. L’ho giurato sulla tomba del mio povero padre, che i preti c’erano solo per dargli l’estrema unzione ma per aiutarlo prima non c’erano mai. E così non ci sono andato, né io né gli altri del bar. Siam rimasti lì a sbronzarci di grappa, come avrebbe fatto lui per uno di noi, anche se lui ai preti il culo glielo leccava se serviva e a me sta cosa non mi è mai andata giù. Ma ormai è inutile star lì a guardarsi nel culo l’un l’altro, è andata com’è andata e a un morto gli si perdona tutto.

Salute, compare. Brindiamo alla tua.

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

3 pensieri riguardo “Racconto in musica 62: Cinque opinioni fuori tempo massimo (Emiliano Mazzoni – Al mio funerale)

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