Questa settimana analizzeremo un paradosso, quello del gatto di Schröedinger. Perché, vi chiederete, dovrei parlarvi di un paradosso della fisica in un blog che cerca di fare divulgazione musicale? Perché, vi dico io, dovreste esservi già accort* che ho una passione per i cappelli introduttivi lunghi e contorti, ma se non volete starmi a sentire (leggere?) potete passare al prossimo paragrafo dove (forse) sarò più concreto. Secondo l’illustre luminare della fisica se io metto un gatto in una scatola e ce lo lascio per un tempo indefinito, assieme a una capsula di cianura che può essere rotta da un martelletto collegato a una reazione nucleare che può o meno avvenire, finché non apro la scatola il gatto sarà considerabile sia vivo che morto (potrebbe essere spiegata meglio di così, ma sono un perito elettrotecnico che una volta ha fulminato un compagno di classe durante un’esercitazione per cui perdonate l’approssimazione). Pensate, un gatto potenzialmente immortale! Certo farà una vita di merda, e non è tutto: sfruttando un altro paradosso, ovvero quello che vede il gatto cadere sempre in piedi e la fetta di pane imburrato sempre dal lato del burro, potremmo ottenere un connubio gatto-fetta di pane che ruoterà all’infinito su sé stesso a mezz’aria, fornendo energia illimitata e gratuita per tutto il tempo della sua (potenzialmente infinita) vita. Per sedare le proteste animaliste potremmo sfruttare un altro paradosso, quello degli emo, che vede un emo (categoria ormai quasi estinta caratterizzata dall’ascoltare pop-punk ad alto tasso di lacrime dipinte sul viso, tipo i My chemical romance) soffrire quando è felice ma essere felice quando soffre, in una costante catena di insoddisfazione che ci impedirebbe, in qualunque caso, di essere utile al gatto emo (esistono gatti emo?) anche staccandolo dalla fetta di pane imburrato. Ecco, ora vi ho abbastanza contorto il cervello e potete passare oltre (sono disponibile per chiunque pensi che brevettare questo crimine contro l’umanità, o la gattità, sia eticamente corretto).
I MiSaCheNevica, resident band della settimana, sono un po’ come il gatto di Schrödinger: non pubblicano nulla dal 2013, anno di uscita del loro primo disco Come pecore in mezzo ai lupi, ma non hanno mai ufficialmente annunciato il loro scioglimento; a gennaio 2019, per i sei anni dall’uscita del disco, hanno postato una foto sul loro profilo facebook pronosticando una possibile reunion, non si sa se avvenuta o meno e non si sa come visto che non si sono mai ufficialmente sciolti; sempre nel 2019 pubblicano un ultimo post, e da lì un silenzio che me li fa considerare allo stesso tempo attivi non attivi (in fondo anche la mia band non pubblica niente da eoni, e siamo ancora idealmente attivi anche se con un computer al posto del batterista). Un silenzio che mi rende mooolto triste (un po’ come il panda molestie sessuali), perché la band vicentina composta da Walter Zanon, Antonio Marco Miotti e Marco Amore l’ho conosciuta e amata fin dall’Ep d’esordio, La mia prima guerra fredda, uscito nel 2010 e licenziato, come il successivo disco, da Dischi Soviet Studio. Mi capitarono in mano per caso a scopo recensione, come tante cose belle, e il loro rock pop tanto nineties (non per niente il primo estratto del loro disco si intitola Figlio illegittimo di Kurt Cobain) mi conquistò grazie soprattutto ai testi, capaci di una profondità ed una originalità rare: che si parli di reimmaginare il mito del vampiro (La crisi dei vampiri) o di analizzare la moda che porta ad “avere nostalgia di qualsiasi cosa” (Retromania) la penna dei MiSaCheNevica è sempre puntuale e precisa nel trovare un punto di vista inusuale e capace di far riflettere, con una vena disillusa che ancora riesce a essere critica più che arresa. Se mi sentite, cari Walter, Antonio e Marco, battete un colpo di cassa e ditemi che potrò ascoltare un vostro secondo disco.
La partita di calcetto infrasettimanale, settima traccia del loro album, contiene in sé la voglia di non arrendersi al mondo per come potrebbe andare, contemplando allo stesso tempo le difficoltà di una generazione, la propria, nel realizzare qualcosa di costruttivo. L’esempio perfetto è la partita di calcetto infrasettimanale del titolo, che già si fa fatica a organizzare quella figuriamoci a fare qualcosa che abbia importanza, ma la chiusura pone ‘accento sulla necessità di porsi almeno delle domande: “è tempo per la mia generazione di mettersi in discussione/il mondo nuovo ne ha un bisogno atroce”. Forse il mondo non aveva bisogno del mio racconto, in cui ho messo in scena una ipotetica conversazione telefonica fra due amici alle prese con la decisione, mooooolto ardua, fra il giocare una partita di calcetto e il partecipare a una manifestazione: lo trovate subito dopo il brano, se pensate ne valga la pena, a me non resta che augurarvi buon ascolto e buona lettura.
Se volete ascoltare questo e tutti gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti, questo è l’unico dove sono riuscito a trovare tutte le canzoni).
Motivazione
«Pronto?»
«Oi fra com’è? Tutto bene?»
«Solito, niente di nuovo. Tu?»
«A posto dai. Va’ che abbiamo un problema per domani, ci danno il pacco in due».
«In che senso?»
«Per il calcetto. C’è il tipo che gioca sempre con la maglia rossa che non può venire, e visto che portava anche il portiere ce l’abbiamo in culo. Te riesci a trovare qualcuno?»
«Ma non hai avvisato che non si giocava? C’abbiamo la manifestazione domani!»
«Domani? Ma non era domenica?»
«Eh il cazzo domenica, è domani».
«Ma non potevi dirmelo settimana scorsa? Io ho detto a tutti alla prossima, mica mi ricordavo».
«Cazzo ne so io che alla prossima vuol dire settimana prossima, poteva voler dire anche fra un mese».
«Sì ma io dico sempre alla prossima per intendere settimana prossima»
«Va be’ diglielo, sarà mica sta tragedia».
«Ma c’è uno che ha già preso la babysitter per la figlia, mica posso fargli spendere i soldi per un cazzo».
«Ma scusa se non gioca può dirle di non andare, no?»
«Ma se l’ha già contattata poi non è che da un giorno all’altro può dirle di non andare scusa, che modi di merda sono?»
«Ma poi la babysitter deve andare a chiamare? Non ce l’ha una moglie questo qua?»
«Cazzo vuol dire, la moglie non si può fare i fatti suoi? Solo perché è una donna deve star sempre dietro ai figli?»
«Ma mica intendevo quello».
«Potrà ben andare a fare compere o dalla parrucchiera, no?».
«Eh bravo, è arrivato il femminista, chi è che ci va giù con gli stereotipi adesso? Comunque domani manifestazione, non possiamo mancare».
«No?»
«Ma oh! Ma ti senti? Ci son cose più importanti del calcetto!»
«Ma se non so bene neanche per cos’è! Mi hai detto solo che è qualcosa per le associazioni di quartiere, io manco ci vivo in quel quartiere!»
«Ma mica solo di quel quartiere pirla! È una manifestazione di supporto alle associazioni che fanno volontariato e che lo stato non si caga, è una cosa importante».
«Ma ci sarà già un sacco di gente, se anche non andiamo noi mica muore nessuno».
«Sì, e se fanno tutti sto ragionamento si trovano in quattro gatti. Dai manda un cazzo di messaggio e di’ che domani non si gioca. Passo a prenderti per le tre ok?»
«Vabbè dai. Però possiamo fare una cosa?»
«Cosa?»
«C’andiamo di corsa. Così faccio un po’ di moto, sto tutta settimana seduto e il calcetto mi serve per non farmi venire la pancetta. Tanto se anche siamo in pantaloncini chi se ne frega no?»
«Se c’andiamo in bici?»
«Io la bici devo ancora farla mettere a posto, non riesco mai a trovare il tempo».
«E andiamoci di corsa allora, troviamoci a metà strada però».
«Dai ok, poi domani ci mettiamo d’accordo».
«Dai a domani fra, buona serata».
«Ah aspetta!»
«Che c’è?»
«Porta da fumare. Ce ne hai no?»
«Certo che ce l’ho da fumare, che cazzo ci andiamo a fare alla manifestazione se non possiamo fumare mentre protestiamo?»
«Bravo fra, a domani».
«A domani!»
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