Non sono un grande esperto di musica elettronica. Per anni il genere l’ho evitato come la peste, a causa di lunghi e prolungati ascolti nella macchina di un amico dell’ala più tamarra e commerciale di quel contesto (esemplificata da ciò che passava su Disco Radio), poi ho scoperto che esisteva anche molta sperimentazione e ho cominciato a esplorare in maniera caotica e casuale. Ho qualche ascolto consolidatosi negli anni, tipo i maledettissimi Fuck buttons che non fanno uscire nulla dal 2013 (a parte album solisti dei due componenti che non mi restituiscono le stesse sensazioni) o i Boards of Canada, di cui mi innamorai grazie al video di Davyan cowboy che riesce sempre a mettermi in pace con me stesso, più una lunga serie di approcci poco approfonditi: mi vergogno ad ammettere che ad esempio con Aphex Twin non riesco a entrare in sintonia, vista la caratura del personaggio lo prendo come un fallimento personale. Due su tre dei nomi elencati sopra sono sotto contratto con un’etichetta, la Warp Records, che nel Regno Unito è diventa simbolo di una svolta amata o odiata a seconda di chi ascolta (e di chi ne parla: per un’approfondita conoscenza sulla questione consiglio, anche a me, massicce dosi di Simon Reynolds e Mark Fisher, che analizzano anche le implicazioni sociali della musica elettronica del periodo rave): quella della IDM, acronimo che sta per Intelligent Dance Music, caratterizzata dal porsi in contrasto con la musica “da ballo” e tentare un approccio più cerebrale e ragionato, teso verso il minimalismo o la complicazione a seconda degli artisti coinvolti. In quel calderone ci sguazza come un pesce ormai da anni anche Tom Jenkinson, bassista e manipolatore sonoro gallese meglio conosciuto col moniker di Squarepusher.
Se i già citati Boards of Canada hanno pubblicato nella loro ultratrentennale carriera solo quattro album, forse spinti in questa direzione dalla natura in qualche maniera contemplativa della loro musica, Squarepusher si può invece considerare un maestro della sovraproduzione: quattordici dischi dal 1995 a oggi solo con questo moniker, più una galassia di Ep, qualche progetto parallelo e acerbe uscite con il proprio nome o altri alter ego negli anni iniziali. Altrettanto diverso è l’approccio musicale, molto più frenetico e improntato a un connubio fra drum’n’bass, house e jazz, mondi apparentemente lontani che nelle sue canzoni a volte si amalgamano e a volte si scontrano. Non fingerò di conoscere vita, morte e miracoli di Squarepusher, perché è una scoperta recentissima a cui devo ancora dedicare il tempo necessario per capire quanto e se resisterà nelle mie orecchie: se volete approfondire vi consiglio di leggere questo articolo su Ondarock, esaustivo, interessante e capace di dare una lettura personale della sua frenetica produzione musicale.
Perché dedicare un racconto alla musica di un artista che conosco poco, nome noto di un genere che frequento di rado? Semplicemente perché sono stato stregato dalla sua Unreal square, seconda traccia del disco Ufabulum del 2012: fra momenti semi-contemplativi e assalti ritmici il brano crea un mondo sonoro schizofrenico e allucinato, in cui sonorità che ricordano quelle delle giostre per bambini accelerano e si frantumano in un caleidoscopio incredibile. Il racconto che è nato dall’ascolto prolungato e ossessivo della canzone (che è risuonata nelle mie orecchie anche durante la gestazione di un altro racconto, troppo lungo per trovare spazio qui) è debitore di una delle mie influenze letterarie fondamentali, Chuck Palahniuk, non tanto per lo stile quanto per ciò che racconta: una parata improvvisata di scoppiati in città, simile a ciò che mi immagino accada nelle azioni folli (tra cui la mitica parata dei Babbi Natale) organizzate dalla Cacophony Society di cui lo scrittore di Portland fa parte. Trovate il racconto subito dopo il brano, come al solito non mi resta che augurarvi buon ascolto e buona lettura.
Se volete ascoltare questo e tutti gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti, questo è l’unico dove sono riuscito a trovare tutte le canzoni).
La conquista della città
Ci hanno detto che stasera è la sera. Un messaggio ci ha indicato il luogo e l’ora, nessun’altra indicazione a parte la solita. Siate estremi, siate liberi.
Quando esco in strada i gruppi di bambini sono gli unici che hanno il coraggio di guardarmi, se sono accompagnati dai genitori quelli gli mettono una mano davanti agli occhi e scappano via come se avessero visto il diavolo. E dire che ho l’aureola, le ali e dei bei riccioli biondi.
Siate estremi, siate liberi, così ci hanno detto. La blasfemia ho voluto aggiungercela da solo.
Di solito quando cammino per strada la gente si volta per compassione. Gliela vedo quell’espressione negli occhi, un attimo prima che si fingano interessati dalla vetrina di una copisteria o si concentrino sulla loro birra finita come se potessero farne sgorgare altra. Stasera, quando mi guardano, hanno la faccia spaventata di chi non capisce cosa ci faccia un putto gigante per la strada, con solo le mutande, un piccolo arco e una faretra piena di dildo di tutti i colori. La mia ciccia straborda libera, per un giorno sento di non dovermene vergognare.
All’incrocio con un’altra via vedo due trampolieri che camminano abbracciati l’uno all’altro, poi guardo meglio e noto che non potrebbero staccarsi neanche volendo: sono legati insieme da una camicia di forza. Ci salutiamo con un cenno del capo e procediamo insieme, mentre tutto attorno a noi le finestre si aprono e la gente si affaccia a guardarci. Altre persone si aggiungono alla nostra parata, qualcuno si è messo solo dei vestiti sgargianti ma ce ne sono altri che dimostrano una grande fantasia. Tre persone si sono fatte un costume da verme da cui escono solo le loro braccia e le teste del primo e dell’ultimo, scivolano in avanti spingendosi su skate appoggiati al ventre molle della loro corazza. Non so come faccia quello in mezzo a respirare, ma ci sono così tante cose strane intorno a me che non mi faccio domande.
Ci sono così tante cose strane che mi sento normale.
Qualcuno dalle finestre e dai marciapiedi comincia a fischiare e incitarci, la gente ci filma e sorride. Ora sono in tanti quelli che non si voltano dall’altra parte, ma non lo stiamo facendo per loro: lo facciamo per noi stessi.
Quando arriviamo alla piazza la troviamo gremita di ogni tipo di umanità strana, sboccata, estrema. Mi confondo in quel circo improvvisato di scoppiati, senza sapere da chi sia partita l’idea. Non abbiamo più una forma, non abbiamo più un ideale standard a cui aderire. Da qualche parte esplode forte la musica e ci mettiamo tutti a ballare, un girone dell’inferno per tutti i benpensanti apparso all’improvviso nel bel mezzo della città.
Ballo, sudo, abbraccio e rido. Non so quanto ci vorrà prima che vengano a scacciarci, ma per ora la città è nostra e me la godo. Sono estremo. Sono libero.
Ti è piaciuto questo racconto/articolo? Segui la pagina Facebook di Tremila Battute!
Una opinione su "Racconto in musica 59: La conquista della città (Squarepusher – Unreal square)"