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Caring about something utterly useless, musica fra inquietudine e introspezione per i FLeUR

Se siete dei buoni lettori potreste avere presente il racconto Casa occupata di Julio Cortázar, o magari aver letto qualcosa di Shirley Jackson o Amparo Dávila. Se non l’avete fatto sappiate che sono tre esempi di letteratura capace di inquietare in maniera sottile, attraverso la creazione di un’atmosfera claustrofobica o tramite elementi esterni e anomali che arrivano silenziosamente a cambiare la vita dei protagonisti. Ascoltare Caring about something utterly useless, secondo disco dei FLeUR, mi ha lasciato sensazioni simili, quasi una colonna sonora perfetta per storie barocche in cui l’inaspettato si manifesta in maniera lenta e inesorabile.

Duo torinese composto da Enrico Dutto e Francesco Lurgo (quest’ultimo ormai milanese d’adozione), i FLeUR arrivano a questo disco dopo un percorso che li ha portati a esordire con l’Ep Supernova, urgent star sette anni fa ed è proseguito con il primo album, The space between, tappa che li ha portati alla Bosco Rec. che licenzia anche il loro ultimo parto creativo. Tutti i brani di Caring about something utterly useless sono sospesi fra due anime, suoni elettronici da una parte e chitarre e tastiere dall’altra, una coesione tutt’altro che forzata che porta a creare quell’atmosfera di cui parlavo in precedenza. Ce ne si accorge già con The lowest tide (for Matteo G.), traccia che apre il disco e primo singolo estratto (il cui video è stato girato da Lurgo, film maker oltre che musicista), in cui un giro di chitarra malinconico, affiancato dai fiati, viene inesorabilmente soppresso col passare dei minuti da sonorità sempre più sintetiche e distorte: come se i Goodspeed You! Black Emperor si incontrassero/scontrassero coi Sunn O))).

“La musica è in effetti inutile, quando non ha voci umane alle quali aggrapparsi, eppure ci teniamo tanto, alla musica, perché ci aiuta a raccontare quello che non è raccontabile”. Questa frase, espressa dagli stessi FLeUR, fa capire molto di ciò che si trova all’interno del disco. Nessuna voce innanzitutto, con l’unica concessione di alcuni inserti in secondo piano nella conclusiva The highest tide, e l’impressione continua di trovarsi di fronte a un mondo che non si può raccontare ma solo esperire. Musica come quella dei FLeUR si valuta attraverso le sensazioni che provoca e le atmosfere che tesse, come l’inquietudine barocca che emerge dal piano di Unnatural Grace, un tappeto sonoro su cui lottano per portarci in un altrove percussioni riverberate e inserti elettronici divisi fra l’oscuro e l’angelico. For Pierre Brasseau (alter ego di uno scimpanzé spacciato per artista francese da un giornalista svedese nel 1964) usa invece toni industrial per catapultarci in un incubo distopico, lasciando spazio a rade note di piano solo per lenirci le ferite, in attesa di un ritorno ineluttabile dell’oscurità che prende la forma di un finale ascendente ma tronco, proprio come quei racconti in cui non serve aggiungere parole per capire che le cose andranno male.

Caring about something utterly useless è un disco crepuscolare, coi suoni che si agitano come ombre al limitare del proprio spazio visivo, portatore della nostalgia per un mondo che non abbiamo conosciuto ma di cui abbiamo percepito qualcosa proprio attraverso le note: ascoltando My battery it’s low and it’s getting dark, testo dell’ultimo messaggio inviato dal rover della NASA su Marte prima di spegnersi, non si può evitare di pensare ad un requiem in cui la musica fa proprie nel miglior modo possibile le parole del titolo. Sembra di sentire qualche eco di Vangelis in alcuni punti, soprattutto nel duo conclusivo composto da The Philadeplhia experiment (for Gwydion) e The highest tide, e come un cerchio perfetto il disco si chiude sulle stesse note con cui era iniziato, intrise di speranza più che di malinconia grazie ad un tappeto sonoro leggiadro.

Prodotto da Emilio Pozzolini dei port-royal, autore anche dell’alt mix del secondo singolo Narcissus scream (for Sarah K.), Caring about something utterly useless è un album complesso sotto la sua scorza quasi minimalista. Al loro secondo disco i FLeUR sono già riusciti a creare un proprio suono riconoscibile, forse non adatto a tutti ma di cui nessuno può negare il valore: come l’ottima letteratura, che per quanto ostica o addirittura ostile possa essere riesce comunque a trasmettere qualcosa. Buon viaggio.

 

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Pubblicato da Ficky

Nel (poco) tempo libero scrivo racconti, guardo film e serie tv, leggo libri, recito in una compagnia teatrale, partecipo a eventi culturali e vado a vedere un sacco di concerti. Ho scritto per anni di musica (Indie-zone, Stordisco, Asapfanzine) e spero di trovare il tempo di farlo ancora per molti anni a venire.

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