Ci dev’essere qualcosa nell’aria del biellese che trasuda di frontiera. Qui su Tremila Battute ho già avuto modo di parlare dei Sabbia, band di stoner psichedelico che trasuda deserto fin dal nome, e dalle stesse zone arrivano ora gli HO.BO, band attiva dal 2017 e formata da membri di svariati altri progetti musicali. A man with a gun lives here è il loro primo album, pubblicato a distanza di un anno e mezzo dal primo Ep 2/10, e anche nelle note di questi nove brani si possono cogliere gli echi della frontiera: in questo caso, però, sono il blues e il country a farla da padrone, proiettandoci in un viaggio fra un’umanità per cui il lieto fine è spesso utopia.

Già dall’iniziale Hoboes that pass in the night si capisce che le tinte scure saranno predominanti. Ad accoglierci è infatti una voce roca e sussurrata, accompagnata da una chitarra solitaria che scandisce accordi radi, un blues scarnificato sugli hoboes, i vagabondi per scelta, che fa subito drizzare le antenne. Se ci sono due cose che non mancano certo agli HO.BO sono infatti la personalità, che emerge fin da questa breve apertura, e la varietà stilistica, che si può invece apprezzare lungo tutto l’album.
Ballate dolenti e spiritual, echi di Tom Waits e di Nick Cave, persino una parentesi bluegrass in cui compare la voce inconfondibile di Swanz The Lonely Cat dei Dead cat in a bag: il repertorio della band biellese è ampio e maneggiato con cura, accompagnato da testi di livello che ci fanno sprofondare nei meandri più torbidi dell’America e da una cura per i suoni encomiabile. Veniamo accompagnati lungo la parabola discendente di Henry, uno per cui l’unica soluzione è pensare che “two rifle shots could change his destiny”, nel rock-blues di Falling down, Henry, ci lasciamo cullare nell’illusorio ottimismo della parabola country di Smith, finito sepolto in un campo di grano a causa di uno scambio di persona (A tiny man called Smith), accogliamo le parole dello spiritual Psalm come piccole e dolenti verità di cui fare tesoro, osserviamo le vicende di una coppia mischiarsi con quelle di un rapimento finito male lungo le dolenti e scarne note di In cold blood. All’apice del percorso ci si arriva, a parere strettamente personale, con The curse of Peak Hill, un vero e proprio racconto in musica di sette minuti abbondanti, scanditi da pochi accordi dilatati sporcati dai feedback e batteria minimale cui si aggiungono, in un’escalation perfettamente orchestrata, prima il piano e poi in punta di piedi gli altri strumenti: ennesima storia che finisce male, ma con l’enfasi poetica dei grandi.
Funziona tutto in A man with a gun lives here, dalla voce di Samuel Manzoni che è semplicemente perfetta per il genere fino allo stuolo di strumenti che si alternano fra le varie tracce, dai più classici agli ottimamente inseriti banjo, cigar box guitar e l’immancabile armonica, che si palesa nella conclusiva Bones Orchard. L’album è stato registrato in analogico su nastro nello studio della band, il NOSTUDIOREC, ed esce per le etichette Kono dischi (già dietro ai Sabbia citati in precedenza) e I dischi del Minollo, un’etichetta che ultimamente proprio non ce la fa a buttar fuori dischi meno che bellissimi. Prendetevi un’ora libera e immergetevi nella musica degli HO.BO, mi e soprattutto li ringrazierete per l’esperienza: è facile, basta andare qui.
Una opinione su "Il vecchio west sta nel biellese: l’esordio degli HO.BO, fra pistole, vagabondi e del sano blues"