
Manuel Agnelli, leader storico degli Afterhours, giudice di X Factor. Basta questa mezza riga a definire un personaggio che ha scritto la sua pagina di storia della musica dagli anni 90 a oggi? Ovviamente no, e non basterebbe per definire nessuno di noi, ma quanto sopra rischia di essere ciò che ci rimarrà di un personaggio che, con la sua partecipazione al talent di Sky, è sicuramente entrato nelle case di molti italiani che prima non lo conoscevano (se non magari per la partecipazione a Sanremo) ma al prezzo di un certo amaro in bocca lasciato a tutti i teorici dell’essere alternativi a tutti i costi. Anche a costo dell’apocalisse, come direbbe Rorschach di Watchmen.
Ci rimasi male pure io nel 2016, come ci rimasi male quando fece la stessa scelta Elio prima di lui. In questi giorni però, ragionando in notevole ritardo sui tempi, ho cominciato a chiedermi “e se Agnelli l’avesse fatto perché ci credeva veramente?”. Sarà che vedere Eugenio degli Eugenio in via di gioia chiedere al pubblico milanese dell’Idroscalo se il loro era il primo concerto post-lockdown, con stragrande maggioranza di braccia alzate, mi ha fatto riflettere su cosa potremmo e dovremmo fare per evitare di dare per scontata una simile risposta.
E qualunque cosa ci inventeremo, Manuel Agnelli lo ha già fatto.

Il festival: Tora! Tora! (2001-2005)
È il 2001, gli Afterhours hanno da poco fatto uscire il loro primo e unico disco live Siam tre piccoli porcellin e di lì a poco Xabier Iriondo avrebbe lasciato il gruppo (tornerà sui suoi passi nel 2014). L’etichetta della band è ancora la mitica Mescal di Valerio Soave e, rullo di tamburi, Ligabue, che ai tempi produceva quasi tutta la musica bella e strana che nonostante tutto riusciva a passare un poco in tv e in radio (un po’ come fa La tempesta oggi, con quel pizzico di autogestione in più), e proprio grazie al finanziamento della label e all’idea visionaria di Agnelli parte uno dei progetti più belli degli ultimi anni: il festival itinerante Tora! Tora!.
Avete mai sentito parlare di Hoghwash, Yuppie Flu, Gatto Ciliegia Vs. Il Grande Freddo, GoodMorningBoy, Midwest, Settlefish, Bartok, Appaloosa, Anonimo FTP? Sono solo alcune delle band che calcarono il palco del Tora! Tora! nell’arco di quei cinque anni, aperti con una data a Rimini il 10 giugno 2001 e chiusi sempre lì, questa volta al Velvet Rock Club, il 27 agosto 2005. Band a cui quel festival diede spazio nonostante sul palco ci andassero anche nomi già affermati come gli stessi Afterhours (presenti a ogni data), i Marlene Kuntz, i Subsonica, i Bluvertigo e i Modena City Ramblers, a cui vanno aggiunte tutte quelle band che di lì a poco avrebbero sfondato come i Baustelle, che allora non avevano ancora fatto uscire La moda del lento, o i Linea 77, che al massimo andavano a notte fonda su MTV nella striscia settimanale che serviva da contentino per metallari e affini.
Non so dire se il Tora! Tora! fosse il primo tentativo di portare in giro della musica per tutta Italia (non voglio contare il Festivalbar), di certo fu una vetrina per molti gruppi e, soprattutto, una spinta incredibile per chi la musica iniziava timidamente a suonarla e vedeva che da qualche parte si poteva arrivare, che un pubblico c’era e che gli spazi esistevano. Il mio ricordo del festival (a cui pure Perry Farrell dei Jane’s Addiction fece i complimenti, e lui aveva creato il Lollapalooza) è relativo al 7 giugno 2003, quando con registratore scalcagnato e senza pile io e un mio amico andammo a intervistare gli One Dimensional Man in una delle date organizzate a Nizza Monferrato, casa base della Mescal: gli facemmo un po’ di domande nel primo pomeriggio, scrivendo tutto a mano perché non avevamo il coraggio di dire che il registratore non andava e uscendocene con un “non si sa mai”, ma loro tanto stavano già bevendo e ci facemmo anche una canna in compagnia; suonarono nel tardo pomeriggio, già abbastanza stracciati, e al levarsi del grido “nudo nudo” il batterista Dario Perissutti si levò tutto a parte i calzini e suonò così per tutto il tempo (oltre a intonare sgraziatamente al microfono, sempre con le palle al vento, uno strano sproloquio sul fatto che “agosto è il mese più caldo”); a fine concerto barcollavano in giro per il backstage. C’era una bella atmosfera, nessuno sembrava tirarsela, la musica stava vincendo.

Poi gli Afterhours passarono alla Universal, lasciando la Mescal e terminando una collaborazione che aveva aiutato una fetta consistente di pubblico (a Fossacesia il 19 luglio 2003 c’erano 40000 persone) a conoscere nuova musica semplicemente andando a vedere le band che già conosceva. Rimasero le compilation commemorative delle varie edizioni, un libro fotografico per l’ultima, e probabilmente un germe nella testa di Agnelli che già pensava a come proseguire il discorso. E germe è una parola che ritornerà.
La compilation: Il paese è reale (2009)

Di solito chi partecipa a Sanremo fa uscire il proprio disco subito dopo la kermesse, sfruttando il traino della canzone presentata in concorso, o fa uscire una nuova versione del disco già uscito con l’aggiunta della canzone sanremese (lo fecero i Subsonica ad esempio, già usciti mesi prima con Microchip emozionale). Anche gli Afterhours potevano percorrere questa strada, a maggior ragione contando che la critica non si era entusiasmata per l’ultimo disco I milanesi ammazzano il sabato (io l’ho adorato, ma come al solito non faccio testo). Invece Il paese è reale, il brano portato per volere (pare) dello stesso presentatore Paolo Bonolis sul palco della città dei fiori finì su una raccolta, ma non quella ufficiale del festival: era nato il nuovo progetto aggregativo di Manuel Agnelli, ospitato dalla Casasonica di Max Casacci.
“Non una compilation, ma un’affascinante rassegna di proposte musicali di varia ispirazione, stimolante, ricca di spunti che speriamo venga trainata dalla nostra presenza al festival, che nel nostro piccolo vuole contribuire ad infrangere quella cortina d’indifferenza che penalizza la nuova musica.”
Manuel Agnelli
Con una formula simile a quella che aveva funzionato bene col Tora! Tora! anche in questo caso a nomi già noti vennero affiancati band e artisti che il grande pubblico non aveva mai sentito nominare (senza nulla voler togliere ai Disco Drive o a Reverendo: il pubblico sanremese di allora, e probabilmente anche di oggi, non conosceva nemmeno i Calibro 35). Alcuni erano reduci dal festival organizzato anni prima, altri erano nomi nuovi, ma quello che univa tutti era la convinzione che ci fosse una scena musicale fertile e che promuoverla significasse (copio da wikipedia) “lanciare un messaggio di sollecitazione verso una maggiore produttività mentale agli italiani […] dare quindi vita alla propria creatività e personalità e migliorare le cose che ci circondano, nonché dimostrare il proprio talento”. Quando Agnelli sul palco cantava “Io voglio far qualcosa che serva”, insomma, non lo faceva solo per aggiudicarsi il Premio della critica.
“Sicuri di poter essere noi stessi anche all’interno di un mondo molto distante dal nostro. Indipendenti dalle major, indipendenti dalle indipendenti, senza barriere ghetti e imposizioni da parte di nessuno. Per far conoscere a un pubblico più vasto l’esistenza di una scena fertile e ricchissima di talento.”
Manuel Agnelli
L’iniziativa si sviluppò anche in un live, in Piazza Duca d’Aosta a Milano, e vi parteciparono Amerigo Verardi e Marco Ancona, Calibro 35, Marco Iacampo, Marco Parente, Mariposa e Zu, oltre agli stessi Afterhours, in un tour de force sensazionale per Enrico Gabrielli (al tempo nella formazione degli Afterhours e tuttora impegnato con Mariposa e Calibro 35) e con una fiducia smisurata nel fatto che il pubblico medio potesse digerire le bordate degli Zu e le bislaccherie dei Mariposa.
Il paese divenne migliore? Non penso, certo le cose da lì in avanti andarono molto bene per un certo Dente o per gli Zen Circus, che partecipando con Gente di merda potevano sembrare i meno convinti di una buona riuscita dell’operazione. Fra gli altri Paolo Benvegnù ha appena provato per la seconda volta l’amarezza di arrivare secondo al Premio Tenco, Beatrice Antolini l’abbiamo vista fare la direttrice d’orchestra per Achille Lauro al Festival di Sanremo, Jonathan Clancy dei Settlefish ha avviato vari progetti fra cui il più longevo sono gli His Clancyness e gli Il teatro degli orrori, in cui erano confluiti buona parte dei vecchi (poi riformatisi) One Dimensional Man, si sono sciolti da poco. Se volete recuperare quella bella immagine di ormai un decennio fa ecco qui sotto un link che vi potrà essere utile, affinché anche gli esclusi dalla parziale disamina di qui sopra abbiano la loro fetta di gloria.
Il locale: Germi (2019)

A marzo del 2019 Manuel Agnelli, assieme a Gianluca Segale, al compagno di band Rodrigo D’Erasmo e alla compagna di vita Francesca Risi, ha aperto nel posto dove sorgeva il compianto circolo Arci Cicco Simonetta un nuovo locale. Germi (titolo del primo album cantato in italiano degli Afterhours) è tante cose insieme, pur nel suo spazio piccolissimo: è un locale dove bere qualcosa, una libreria dal catalogo ristretto ma invidiabile e, soprattutto, un posto dove andare a vedere spettacoli dal vivo. Ci sono stato un paio di volte, per uno spettacolo di Giovanni Succi su Dante e per una lettura di Chiara Gamberale, fermandomi a chiacchierare di libri con la padrona di casa Francesca e godendomi le iniziative in uno spazio intimo e confortevole, in cui è facile ritrovarsi a casa.
Come tutti i locali, particolarmente quelli ristretti, anche Germi è stato penalizzato dalle politiche di distanziamento sociale e riaprirà solamente a settembre. In attesa di capire cosa organizzeranno potete eventualmente ordinare libri da loro piuttosto che da Amazon, mantenendo viva una realtà che è l’ennesimo tentativo di un uomo di aggregare le persone usando come collante la cultura, sia essa musicale o di più ampio respiro. E la prossima volta che penserete a Manuel Agnelli spero che non sia di nuovo X Factor la prima cosa che vi verrà in mente, o almeno fatelo credendo come me, forse ingenuamente, che possa credere davvero di trovare anche in quel format della buona musica da portare all’attenzione del pubblico.
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Una opinione su "Apologia non richiesta di Manuel Agnelli e della musica alternativa"