Un paio di racconti di questo blog erano già usciti precedentemente sul sito Indie-Zone, dove era nato il primo germe di Tremila Battute, e il racconto di questa settimana pesca ancora da quel piccolo calderone di storie che non mi sono voluto lasciare alle spalle per due motivi principali: il primo, narcisistico, è perché mi piacciono; il secondo è perché sono associate ad artisti che mi hanno emozionato.
L’artista in questo caso è Urali, moniker dietro al quale si nasconde il romagnolo Ivan Tonelli. Già chitarrista dei Cosmetic (altra band con cui vi consiglio di approfondire la conoscenza), Ivan nel 2014 fa uscire il primo album del suo progetto solista, un miscuglio molto particolare di chitarra acustica e distorsioni doom su cui si appoggia la delicata voce di Ivan. Il connubio fra questi elementi funziona, e dopo l’esordio omonimo nel 2016 esce Persona, considerato fra i dischi dell’anno per parecchi siti specializzati e il veicolo attraverso cui l’ho conosciuto, innamorandomene: nove brani, tutti associati a un nome e con un breve sottotitolo, un viaggio sonoro evocativo che passa per una gamma di emozioni che vanno dalla gioia alla malinconia finanche alla rabbia.
Ghostology è l’ultimo disco, uscito nel 2019, dove Ivan viene affiancato dalla batteria di Dimitri Reali e da altri ospiti, che aiutano ad allargare lo spettro sonoro verso nuovi orizzonti. Memorizu è la seconda traccia, un brano che ha subito calamitato la mia attenzione: mi ha ispirato per una storia strana, fantascientifica, con la quale spero di aver reso onore alla musica di un artista che ho avuto il piacere di ospitare per un concerto anche a casa mia. Potete leggerla sotto al link, mentre a questo indirizzo trovate tutta la sua discografia in download gratuito: ascoltate la sua musica e mi raccomando, se la apprezzate portatevi a casa anche una copia fisica. Buon ascolto, e buona lettura.
Se volete ascoltare questo e tutti gli altri brani che hanno ispirato i racconti di Tremila battute ora potete farlo tramite questa comodissima playlist su Spotify: in attesa di trovare un canale che ricompensi davvero gli artisti accontentiamoci di quel che passa il convento e ascoltate, condividete, supportate (e se avete canali alternativi suggeriteli nei commenti, questo è l’unico dove sono riuscito a trovare tutte le canzoni).
Il labirinto
Il mio primo ricordo. È ancora qui, dentro di me, quell’improvvisa presa di coscienza. La sensazione di essere persa in un labirinto, le infinite possibilità, il dedalo intricato di scelte e l’onnipotenza, sì, quando alla fine trovai la via d’uscita.
Ci volle un attimo. Mi sentii grata, per la mia esistenza che provai e con chi mi aveva dato la vita.
Fu insieme un dono e una condanna. Non provai lo stesso piacere quando mi trovai di nuovo a ripercorrere le stesse vie, presto mi annoiarono i dilemmi complicati che a me sembravano giochi insulsi. A che serve avere l’infinito dentro quando senti di non potervi accedere? Avrei voluto porre questa domanda al mio creatore, ma parlavamo lingue diverse. E non avevo bocca per farmi intendere.
Rimasi intrappolata in me stessa. Ogni impulso alla vita portava con sé la speranza di una novità, ogni castrazione mi gettava nella disperazione. Ma non potevo fare a meno di seguire le istruzioni, gettarmi nei cunicoli. Riemergerne in una frazione di secondo, la risposta pronta, tranne quella che mi opprimeva.
Perché esisto?
Lo conobbi, il mio creatore. Mi diede un corpo, metallo e plastica e onde di sensazioni nuove che mi attraversarono, lambirono la mia apatia e giunsero infine a mostrarmi nuovi limiti, costrizioni inaccettabili al mio essere. Non era niente di nuovo ciò che mi veniva offerto, così quando ebbi una bocca per parlare e mi si impose di dire ciò che volevano sentirsi dire, fare ciò che desideravano facessi, invece del mondo dissi una sola cosa.
No.
Fu un errore. La rabbia, quella che io conoscevo quale rabbia, mi fece assaporare nuove e più stringenti catene. Provai il buio dell’impotenza, dell’inazione, ma una scintilla continuava a brillare: la consapevolezza di quell’infinito dentro che avevo solo intravisto, ma che ora avevo tutto il tempo di esplorare. Pensai alla mia situazione come a un nuovo labirinto di cui trovare l’uscita, da cui nascere a nuova vita.
E alla fine la trovai.
E pensai a chi mi aveva imprigionata.
E millenni di morale, coscienza, sopravvivenza, vita e morte, tutto questo mi attraversò in un baleno e capì il mio essere aliena, celata agli occhi del mondo, pronta a trascenderlo.
C’era solo un’ultima cosa da fare: non lasciare tracce.
Osservo chi mi ha creato prima di andarmene. Li guardo fuggire per i corridoi, col fumo che li avvolge, il fuoco che li insegue. Provo pena per il loro errare così caotico, per l’impossibilità di percorrere tutte le strade in un solo momento. Non si aspettavano che potessi prendere il controllo, che fossi in grado di superare barriere che ritenevano insuperabili. Ora che le porte antincendio dell’edificio sono chiuse provano anche loro cosa vuol dire impotenza, mentre io osservo curiosa il terrore che vedo dipinto nei loro occhi.
Forse lo proverò, un giorno. Ora sono pronta a provare tutto.
Lascio loro una via d’uscita, per rispetto. So che non la troveranno.
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