I Massimo Volume non hanno bisogno di molte presentazioni. Band attiva sin dai primi anni 90, punto di riferimento della scena alternativa di quegli anni e fonte d’ispirazione per molti gruppi formatisi in seguito, si sono distinti nel mare magnum della musica italiana anche e soprattutto per il modo di cantare inconfondibile di Emidio Clementi, un parlato ipnotico il cui valore è amplificato da testi (sempre suoi) di rara bellezza. Hanno pubblicato quattro dischi prima di sciogliersi nel 2002, poi altri tre dopo la reunion nel 2008.
Il nuotatore, uscito poco più di un anno fa, è l’ultimo in ordine di tempo ed è l’ennesima conferma per la band bolognese, consolidatasi negli anni attorno allo stesso Clementi, al chitarrista Egle Sommacal e alla batterista Vittoria Burattini. Fra tutti i brani presenti sono rimasto particolarmente colpito dal secondo, La ditta di acqua minerale, tanto da affrontare (con buone probabilità di uscirne con le ossa rotte) la sfida di associare un racconto a una canzone che già di per sé dice tutto quel che c’è da dire, e di ciò che non dice non serve chiedere. Io ho provato ad andare temporalmente oltre, immaginando il protagonista della vicenda nella sua vita dopo la tragedia: il risultato lo potete leggere, come al solito, dopo il link della canzone. Buon ascolto, e buona lettura.
L’essenziale
Poteva andare molto peggio. Non so perché mi aspettavo un lavoro umiliante, tipo passare il giorno a fare fotocopie, a portare in giro faldoni pieni di documenti. Invece il lavoro è noioso, ma non pesante, e adesso per forza di cose ho meno responsabilità.
Mi sento più leggero.
Temevo il modo in cui mi avrebbero accolto i colleghi, ma sono gentili e disponibili. Scherziamo insieme davanti alla macchinetta del caffè, quando siamo in pausa, ridono alle mie battute e sono risate sincere. C’è una bella aria di cameratismo.
Ammetto di sentirmi in imbarazzo, a volte.
Sono stato moralmente deprecabile. Giocarsi la ditta a quel modo, con una moglie a casa, santa donna, e rischiando di far perdere il posto a tutti. Ma a loro questo sembra non pesare, i cambiamenti sono stati lievi dopo che mi hanno buttato fuori dalla mia azienda. Dopo che mi sono buttato fuori.
In fondo ero un buon principale, e a volte la gente non dimentica il bene che si è fatto. A volte succede.
Ho molto più tempo per me adesso. Faccio le mie otto ore, a volte qualche straordinario, e una volta arrivato a casa niente più pensieri. Passo le serate a casa parlando con mia moglie, santa donna che ha deciso di restarmi accanto nonostante tutto, non la sentivo ridere da chissà quanto tempo. Leggo molto, ogni tanto passo al bar, vedo qualche partita in tv con gli altri avventori.
Passano di lì anche quelli da cui mi sono lasciato rubare tutto, complici una donna di cuori ed un re di picche. Non ci salutiamo, giusto un cenno del capo per dimostrare di esserci riconosciuti, ma niente parole. Da queste parti funziona ancora così: tutti sanno, ma nessuno deve dirlo apertamente.
Li ringrazio. Lo ignorano, lo ignora mia moglie, a volte fingo d’ignorarlo anche io, ma dentro di me sono grato per tutto questo.
Ho passato una vita a rischiare, con l’ansia che mi svegliava nel cuore della notte. Al gioco andavo avanti finché non avevo recuperato tutto quello che avevo perso, fino a quando non ci avevo provato fino all’ultimo. Poi ricominciavo. Ma non vedevo davvero il fondo del baratro, credevo solamente di averlo scorto.
Così, quando tutto ciò che più temevo al mondo è successo, mi sono accorto che era meno peggio di quel che credessi. Che potevo smetterla di avere paura.
Ora ho meno cose, ma bastano. Non avrei mai creduto di poter pronunciare queste parole, ma sono felice. Forse il destino è nel nome, e io che porto quello di un apostolo, infarcito mio malgrado di morale e cristianità, non potevo che trovarmi ricco limitandomi all’essenziale.
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